Ulisse
Molti di noi sono cresciuti con le Sirene nei libri, nei film e persino come giocattoli.
Ci meravigliamo della loro bellezza, di come possano esplorare le meraviglie dell’Oceano e farci sentire magici.
Ma chi sono e da dove vengono le Sirene?
La verità sulle esse è molto più complessa di quanto immaginiamo.
La Sirena, nella mitologia greca, era una creatura ibrida con il corpo di uccello e la testa di donna, a volte con braccia umane, che attirava i marinai con la dolcezza del suo canto.
Infatti, le Sirene avevano belle voci melodiose ed erano suonatrici di lira.
Così meraviglioso era il loro talento musicale, che si diceva che potessero persino calmare i venti.
Tradizionalmente, le Sirene erano figlie del Dio fluviale Acheloo e di una Musa, ma altre fonti affermano che la madre delle Sirene era in realtà una delle Pleiadi, Sterope.
In ogni caso, la maggior parte concorda sul fatto che vivessero su tre piccole isole rocciose, chiamate dai Romani “Sirenum scopuli”.
Si diceva, che la dimora delle Sirene fosse uno spettacolo orribile da vedere: un grande mucchio di ossa giaceva tutt’intorno a loro, con la carne delle vittime ancora in decomposizione.
L’aspetto più famoso delle Sirene nella mitologia classica si trova nell’Odissea di Omero; tuttavia, le ritroviamo anche in altri miti.
Secondo Omero, c’erano due Sirene su un’isola nel mare occidentale tra Aeaea e le rocce di Scilla.
Successivamente divennero tre e vivevano sulla costa occidentale dell’Italia, vicino Napoli.
Nell’Odissea di Omero, l’eroe greco Odisseo (Ulisse), consigliato dalla maga Circe, scampò al pericolo del loro canto, tappando le orecchie del suo equipaggio con la cera, in modo che fossero sordi alle Sirene.
Lo stesso Odisseo voleva ascoltare la loro canzone, ma si legò all’albero maestro della nave, in modo da non andare fuori dalla sua rotta.
Le Sirene erano destinate a morire, se qualcuno fosse sopravvissuto al loro canto, quindi, quando Odisseo le superò illeso, si gettarono in mare e annegarono.
Ovidio, nella sua opera Metamorfosi, ha scritto che le Sirene erano compagne umane di Persefone.
Dopo che fu portata via da Ade, la cercarono ovunque e alla fine pregarono di poter avere le ali, affinchè potessero volare attraverso il mare.
Così, gli Dei ascoltarono la loro preghiera.
In alcune versioni Demetra, madre di Persefone, le trasformò in uccelli per punirle, per non aver sorvegliato sua figlia.
Per quanto incantevole potesse essere il canto delle Sirene per i mortali, sembra che non fosse all’altezza dei musicisti divini.
Gli Argonauti (gruppo di 50 eroi che navigano alla ricerca del “vello d’oro”, comandati da Giasone), ad esempio, non ebbero alcun problema a sfuggire a queste terribili creature, poiché a bordo della nave avevano il famoso Orfeo, un cantore che piegava al suono della sua lira gli animali e tutta la natura.
Nel momento stesso in cui udì le voci delle Sirene, il divino poeta estrasse la sua lira e iniziò a strimpellare una melodia così forte e adorabile, che il canto ammaliante delle creature fu immediatamente soffocato.
A dire il vero, questo canto delle Sirene fu però sufficiente, per attirare un membro dell’equipaggio degli Argonauti particolarmente sensibile, l’ateniese Boutes, il quale saltò fuori bordo e iniziò a nuotare verso di loro.
Fortunatamente, fu salvato da Afrodite la quale, successivamente, lo prese come suo amante e gli diede un figlio, Erice.
Si narra, che le Sirene furono umiliate da Era, che le convinse a sfidare le Muse in una gara di canto.
Naturalmente le Muse vinsero e, come punizione, strapparono le penne alla Sirene, e ne fecero corone per se stesse.
Ma come mai, parlando di Sirene, noi subito pensiamo a creature metà donna e metà pesce?
Infatti, abbiamo visto che, sebbene attirassero i marinai “nel loro prato di stelle”, per i Greci le Sirene non erano divinità marine.
Invece, gli scrittori romani collegavano le Sirene più strettamente al mare, come figlie di Phorcys (Forco).
Egli, nei mosaici romani esistenti, è raffigurato come un Tritone dalla coda di pesce, con zampe anteriori a forma di granchio e pelle rossa e appuntita.
Per quanto riguarda le Sirene, quando veniva dato loro un nome proprio, erano considerate le figlie del Dio fluviale Acheloo, diversamente erano figlie del Dio Phorcys.
A partire dal Medioevo, la tradizione cominciò a immaginare e a raffigurare le Sirene, con l’aspetto di belle fanciulle con la coda di pesce al posto delle gambe.
Però bisogna anche aggiungere, che raffigurazioni di entità con la coda di pesce e la parte superiore del corpo di esseri umani, compaiono già nell’Arte mesopotamica.
L’Assiria era un Impero dell’antico Oriente.
Qui, già dal 25 a C., la Dea Atargatis si trasformò in una Sirena, per la vergogna di aver ucciso accidentalmente il suo amante umano.
Principalmente, era una Dea della fertilità, ma era anche responsabile della protezione e del benessere dei suoi Regni.
In seguito i Greci la chiamarono Derceto ed i Romani la chiamarono Dea Syriae, la Dea assira.
Nella mitologia babilonese, si parla della divinità Era o Oannes, il Dio-pesce, solitamente raffigurato con una testa barbuta, una corona e un corpo umano, che dalla vita in giù ha la forma di un pesce.
La mitologia greca narra storie del Dio Tritone, il messaggero del mare (di cui scriverò in seguito), e diverse religioni moderne, tra cui l’Induismo e Candomblé (leggi articolo) adorano ancora oggi le Dee Sirene.
Il mito delle Sirene si diffuse molto durante il Medioevo, quando esse venivano raffigurate accanto a noti animali acquatici come le balene.
Centinaia di anni fa, marinai e residenti nelle città costiere di tutto il Mondo, raccontavano di aver incontrato le fanciulle del mare.
Una storia risalente al 1600 affermava, che una Sirena era entrata in Olanda attraverso una diga, rimanendone ferita.
Fu portata in un lago vicino e presto guarita.
Alla fine, divenne una cittadina a tutti gli effetti, imparò a parlare olandese, a svolgere le faccende domestiche e si convertì al Cattolicesimo.
Sembra che Cristoforo Colombo, nel 1493, mentre navigava vicino alla Repubblica Dominicana, vide tre Sirene.
L’esploratore avvistò Sirene o un mammifero chiamato “lamantino”?
Infatti, i lamantini, anticamente, sicuramente sono stati scambiati per Sirene, a causa dei loro occhi così simili a quelli umani e le mammelle in sede pettorale.
Proprio per questo, i marinai di un tempo con molta fantasia scambiavano i lamantini dei Caraibi per le mitiche Sirene.
Lo storico Washington Irving spiega “Colombo, disposto a dare un carattere meraviglioso a tutto in questo Nuovo Mondo, aveva identificato come Sirene della storia antica, i lamantini”.
Nella cappella normanna del Castello di Durham, in Inghilterra, costruita intorno al 1078 da scalpellini sassoni, si trova la prima rappresentazione artistica di una Sirena.
Nel folclore britannico, le Sirene sono presagi da parte di creature che predicono disastri.
Una storia narra, che il Lord di Lorntie andò ad aiutare una donna, che pensava stesse annegando in un lago vicino a casa sua.
Ma un suo servitore lo tirò indietro, avvertendolo che si trattava di una Sirena, mentre la creatura urlava loro, che avrebbe ucciso il Lord, se non fosse stato per il suo servo.
All’interno della St. Senara’s Church, chiesa del XII secolo situata a Zennora, in Cornovaglia, si trova una delle più note rappresentazioni di una Sirena, una scultura lignea in altorilievo sul lato di una sedia, simbolo che ha avuto diverse interpretazioni da parte dei fedeli medievali.
La leggenda locale sostiene, che questa figura commemori un evento reale dalla storia parrocchiale, quando il canto di un corista di nome Mathew Trewhella, adescò una Sirena, spingendola ad emergere dalle profondità del mare.
Secondo il racconto, ogni domenica la Sirena si sedeva in fondo alla chiesa, incantata dalla bella voce del corista.
Un giorno, non riuscendo più a contenere la sua infatuazione, invitò Mathew al piccolo ruscello, che scorreva attraverso il centro del paese e portava in mare, a Cove Pendour.
Mathew Trewhella non fu mai più rivisto.
Nelle calde serate estive, se si va a piedi nella pittoresca insenatura, ora chiamata “Mermaid Cove”, si dice che si sentano i due amanti cantare felici insieme, e le loro voci riescono a sovrastare il fragore delle onde che si infrangono.
Ne “Incredible Mysteries and Legends of the Sea”, di Edward Snow, viene descritto un incontro con una Sirena.
Un capitano di mare, al largo della costa di Terranova, descrisse il suo incontro nel 1614: “Il capitano John Smith vide una Sirena ‘nuotare con tutta la grazia possibile’.
La descrisse con occhi grandi, un naso finemente sagomato, e orecchie ben formate, ma piuttosto troppo lunghe.
Smith proseguì dicendo, che i suoi lunghi capelli verdi le conferivano un carattere originale, oltre a renderla molto attraente.
In effetti, Smith era così preso da questa adorabile donna, che iniziò a sperimentare i primi effetti dell’amore, nonostante la triste consapevolezza che lei fosse un pesce dalla vita in giù.
Nel 1840, il grande showman P.T. Barnum espose nel suo circo la “Sirena di Fiji”, che divenne una delle sue attrazioni più popolari.
Coloro che pagarono 50 centesimi, sperando di vedere una meravigliosa creatura longilinea, con lunghissimi capelli e coda di pesce, sicuramente rimasero delusi.
Infatti, videro invece un grottesco finto cadavere lungo pochi centimetri.
Aveva il busto, la testa e gli arti di una scimmia e la parte inferiore di un pesce.
Agli occhi odierni è evidente il falso, ma all’epoca ingannò e incuriosì molti.
Nel 1836, Hans Christian Andersen scrisse il capolavoro “La Sirenetta”.
La fiaba narra, che alla Sirenetta, principessa del regno del Mare, venne concesso di visitare la superficie del mare, per il proprio quindicesimo compleanno.
In questa occasione, si innamorò di un principe al comando di una nave, che era affondata durante una tempesta.
Ella lo salvò dai flutti e lo portò a riva, dove poi fu trovato da una principessa.
Tormentata dal desiderio di diventare umana, per stare accanto a lui e acquisire un’anima immortale (non concessa alla sua specie, destinata con la morte a trasformarsi nella spuma del mare), comprò dalla Strega del Mare una pozione, per avere delle gambe in cambio della propria voce.
Le venne tagliata la lingua, e ogni passo sulla terra fu come camminare sulla lama di un coltello.
Se fosse riuscita a conquistare l’amore del principe, avrebbe potuto avere un’anima immortale, altrimenti si sarebbe dissolta in schiuma.
La Sirenetta riuscì a essere accolta alla corte del principe, che però la considerava una sorella minore, e decise invece di sposare la principessa che lo aveva ritrovato sulla spiaggia, il giorno del naufragio.
La creatura marina rifiutò il consiglio delle sorelle, di uccidere il principe con un pugnale magico, che le avrebbe permesso di ritornare Sirena, e si dissolse in schiuma.
La schiuma evaporò e la trasformò in uno spirito dell’aria, forma nella quale le fu permesso piangere.
Nell’arte, il pittore surrealista Rene Magritte ha raffigurato una sorta di Sirena al contrario nel suo dipinto del 1949, “The Collective Invention”.
Hendrick Hamel, un marinaio olandese, ha pubblicato un diario, che descrive i suoi 13 anni di detenzione a Jeju, in Corea del Sud, dopo aver distrutto lo yacht “Sperwer”, nel 1653.
Egli descrive strane signore, chiamandole Sirene dell’isola.
Jeju, in realtà, è la patria delle “Haenyeo” (donne subacquee).
Esse si immergono più volte al mese, quando le maree sono favorevoli, per raccogliere tesori marini: abalone, ricci di mare, polpi, alghe e crostacei.
Le loro fatiche erano, e sono tuttora, un’importante fonte di reddito per le loro famiglie.
Queste Sirene asiatiche, descritte fantasticamente un tempo dai marinai, esistono nella vita reale, ma senza la coda.
In Africa, nei Caraibi e nel Sud America, si venera “Mami Wata” (Madre dell’Acqua).
Simile alla Sirena, è descritta come un essere diabolico, che attira gli uomini verso la morte.
Mami Wata è spesso rappresentata come una figura simile a una Sirena, con la parte superiore del corpo di una donna e la restante a forma di pesce o di un serpente.
Nelle antiche credenze dei popoli africani alcuni spiriti acquatici erano per metà pesci e per metà umani, ma molti altri sembravano serpenti o coccodrilli.
Nel 1500, iniziarono ad arrivare dall’Europa navi con statue di Sirene sulle prue, così le leggende africane si mescolarono con quelle europee.
Negli “Annali dei Quattro Maestri”, una cronaca medievale della storia d’Irlanda, si narra di “Lí Ban”, una ragazza che venne trasformata in una Sirena immortale, mentre stava affogando nel Lough Neagh, vasto lago situato al centro dell’Irlanda del Nord.
Dopo 300 anni, la Sirena fu battezzata dal monaco irlandese Comgall di Bangor e scelse di rinunciare alla sua immortalità, per salire in paradiso.
Nelle genealogie dei Santi irladesi, Lí Ban compare canonizzata sotto il nome di Santa Muirgen (che significa “nata dal mare”) e la ricorrenza del suo onomastico è assegnata al 27 gennaio.
Nel folclore scozzese, “Ceasg” è una Sirena dalla coda di salmone che, se catturata, in cambio della libertà esaudisce tre desideri.
Si pensa, che anticamente Ceasg potrebbe essere stata una divinità delle acque, a cui venivano offerti sacrifici umani.
Nella tradizione danese, le Sirene possono far sparire la loro coda di pesce, per poter camminare sulla terra come gli esseri umani.
A volte vanno a bussare alle case dei pescatori, fingendosi ragazze bisognose d’aiuto e, se un incauto osa farle entrare, viene poi trascinato nell’acqua e annegato.
Queste Sirene possiedono inoltre poteri particolari: secondo una leggenda, una Sirena predisse la nascita del Re Cristiano IV di Danimarca.
In Polonia, si narra che una Sirena uscì dall’acqua, per riposarsi ai piedi della Città Vecchia di Varsavia.
Questo posto le piacque talmente tanto, che decise di stabilirvisi.
I pescatori, che vivevano nella zona, ben presto si accorsero che, quando pescavano, qualcuno agitava le acque del fiume, aggrovigliando le reti e liberando i pesci che vi si erano impigliati.
Decisero allora di dare la caccia al colpevole, ma quando sentirono il canto ammaliante della Sirena, se ne innamorarono, rinunciando ai loro propositi.
Da quel momento, la Sirena ogni sera intratteneva i pescatori con le sue meravigliose canzoni, finché un giorno un ricco mercante, che passeggiava lungo la riva del fiume, posò lo sguardo sull’affascinante creatura.
Subito pensò che, se l’avesse catturata, avrebbe potuto guadagnare molto denaro, esibendola alle fiere.
Il mercante con un trucco catturò la Sirena e la rinchiuse in una baracca di legno, senza accesso all’acqua.
I pianti della donna-pesce arrivarono a un giovane bracciante, figlio di un pescatore che, con l’aiuto di un amico, una notte riuscì a liberarla.
La Sirena, riconoscente dell’aiuto ottenuto dagli abitanti della città, promise che, se mai fossero stati in pericolo, lei sarebbe tornata per proteggerli.
È per questo motivo che la Sirena di Varsavia, nello stemma ufficiale della città, è raffigurata mentre brandisce una spada e uno scudo.
Un’altra versione della leggenda, narra che le sirene fossero due e anche sorelle.
Una delle due decise di allontanarsi, nuotando verso lo stretto di Danimarca e oggi la si può ammirare seduta su uno scoglio all’ingresso del porto di Copenaghen.
L’altra nuotò fino al fiume Vistola, e oggi la si può ammirare nel centro storico di Varsavia.
Nell’opera epica orientale “Ramayana”, che racconta le vicende della guerra tra Rama e Ravana con il suo esercito di scimmie, appare la figura di “Suvannamaccha”, una principessa-Sirena.
Sirene e Tritoni sono figure molto popolari nel folklore filippino, dove sono localmente noti rispettivamente come Sirena e “Siyokoy” e, solitamente, nuotano assieme a tartarughe marine e delfini.
In alcuni racconti antichi provenienti dalla Cina, le lacrime delle Sirene si trasformano in perle.
In Giappone, le Sirene si chiamano “Ningyo”.
Una leggenda narra, che un pescatore uscì in mare aperto e si imbattè in una Ningyo, che si trovava su di uno scoglio.
Senza pensarci due volte, la arpionò e la uccise.
Sulla strada di casa, l’uomo si pentì di aver compiuto un tale atto e la ributtò nel mare dal quale era venuta ma, da quel momento, per diciassette giorni una tempesta si abbattè sulla costa.
A questa cosa fece seguito un terribile terremoto, che distrusse e fece sparire nelle viscere della terra, il villaggio di Otomi.
Ciò venne interpretato come la volontà vendicativa del Dio del Mare, infuriato per la morte della Sirena.
Un’altra versione racconta, che il pescatore non rigettò il corpo della Ningyo nel mare, ma lo portò a casa e lo cucinò, invitando a casa i suoi amici per assaggiare quella particolarissima ed insolita prelibatezza.
Tuttavia, uno di loro andò per caso in cucina e vide che, tra gli scarti della pulitura del pesce, c’era una testa umana, allora avvertì gli altri invitati a non mangiarne, di riporre i bocconi nella carta e di buttarli sulla strada del ritorno verso la loro abitazione.
Uno di loro non fece come era stato stabilito, portò la carne a casa e la diede da mangiare a sua figlia.
Non fu subito chiaro quali effetti avrebbe avuto la carne di una divinità sul corpo umano e, nell’immediato, non successe nulla alla bambina che, anzi, crebbe sana e forte.
Ma ad un certo punto della sua esistenza, ella smise di invecchiare e visse fino ad ottocento anni.
IL REGNO DI ADE
Ade era il mondo degli Inferi, la casa del Dio omonimo e dell’oltretomba.
Infatti, in greco antico, Hádēs identifica il regno delle anime greche e romane (chiamato anche Orco o Averno).
Nella tradizione greca, uno degli ingressi all’Ade si trovava nel paese dei Cimmeri, che si trovava al confine crepuscolare dell’Oceano, regione remota in cui Ulisse dovette recarsi per discendere all’Ade e incontrare l’ombra dell’indovino Tiresia.
Nella mitologia romana, invece, uno degli ingressi infernali si trovava vicino al lago dell’Averno, divenuto poi il nome del regno infernale stesso, dal quale Enea discese insieme alla Sibilla cumana.
Per accedervi, bisognava superare prima Cerbero, poi attraversare l’Acheronte pagando un obolo al terribile traghettatore Caronte e raggiungere i tre giudici Minosse, Eaco e Radamanto, i quali emettevano il loro verdetto.
Zeus, dopo la sconfitta del padre Crono e dopo avere precipitato i Titani nel Tartaro, nominò dio degli Inferi suo fratello Ade.
L’Ade accoglieva le anime di tutti i defunti, tranne dei morti rimasti insepolti.
L’Ade, quindi, era un luogo tenebroso situato all’interno della Terra, temuto persino dagli Dei dell’Olimpo.
Secondo Esiodo, primissimo tra tutti nacque il Caos, poi la Terra (Gea), il Tartaro (luogo di punizione delle anime malvagie) ed Eros (l’amore). Da Caos nacquero Erebo e la nera Notte.
Tutti i morti, fossero stati in vita buoni o malvagi, giungevano nell’Ade attraverso una qualsiasi voragine aperta nel terreno.
L’Ade comunicava con l’esterno tramite tutti quei luoghi della superficie terrestre, che emanavano vapori sulfurei, ribollivano di lava o si spalancavano in tetre voragini.
Raramente, anche i vivi potevano accedere al Regno dei Morti, tra cui Ulisse, Enea, Ercole, Orfeo, Teseo, Pirotoo.
Si racconta che l’entrata era situata nella più remota parte occidentale, dove non giungevano i raggi del sole.
In Sicilia, si trovava sul monte Etna; nel Peloponneso a Capo Tenaro; ad Atene nelle caverne di Colono; nella costa ionica della Grecia ad Ammoudia.
Ma si trovavano anche presso Cuma, in Campania, nelle vicinanze del lago Averno, formato dal cratere di un vulcano profondo, circondato da rupi e pieno di esalazioni mefitiche.
Secondo l’etimologia, Averno vuol dire “senza uccelli” ed effettivamente gli uccelli non vi potevano vivere a causa delle esalazioni.
I Greci, che da tempo popolavano le colonie campane, non accettando come dimora dei morti, una terra d’origine troppo lontana dalla baia di Ammoudia, scelsero un luogo più vicino, i Campi Flegrei.
Nell’Ade si riversavano principalmente cinque fiumi ed una palude: Stige, Acheronte, Cocito, Flegetonte, Lete e palude Acherusiade.
Lo Stige, fiume dell’odio. Secondo Platone è una palude di colore blu cupo, formata dal fiume Stigia.
Stige è considerata essa stessa una terribile divinità figlia della Notte e di Erebo.
L’ acqua dello Stige ha proprietà magiche e la Nereide Teti avrebbe immerso il figlio Achille per renderlo invulnerabile.
Se gli Dei non rispettano un giuramento fatto sull’acqua dello Stige, subiscono castighi terribili, giacendo per un anno senza respiro, avvolti nel torpore e non possono avvicinarsi al nettare e all’ambrosia, oltre a non potersi avvicinare agli altri Dei per nove anni.
L’ Acheronte, fiume del dolore o dei guai, è descritto come il fiume principale che circonda l’Ade ed è situato subito dopo l’ingresso. La sua riva è sempre colma della infinita torma dei morti, in attesa di Caronte, il traghettatore.
Questi è un vecchio di orribile squallore, dagli occhi fiammeggianti come brace e dalle membra muscolose. Per traghettare le anime dei morti sull’altra riva, si serve di una grossa barca, vecchia e malandata. Trasporta solo i morti che possono pagarlo con l’obolo (antica moneta greca) che i parenti pongono in bocca del defunto prima degli onori funebri .
Gli altri devono aspettare 100 anni (secondo alcuni, per l’eternità), in una lunga attesa che è per loro causa di indicibile tormento anche se sanno che, al di là del fiume, li attende una pena terribile ed eterna.
Il Cocito, fiume dei lamenti o del pianto, affluente dell’Acheronte e ramo dello Stige.
In esso sono immersi gli omicidi.
Il Cocito acquista una corrente violenta a partire dalla palude Stige, si inabissa e scorre a spirale, in senso contrario al Flegetonte, fino a toccare, dalla parte opposta, le sponde della palude acherusiade.
Dopo aver compiuto un largo giro, si getta nel Tartaro dalla parte opposta al Flegetonte.
Secondo Virgilio, il Cocito è una palude stagnante di fango nero e canne deformi invece, per Dante, è la confluenza di tutti i fiumi infernali ed è ghiacciato nell’ultimo girone dei traditori.
Il Flegetonte, fiume del fuoco, circonda il Tartaro e, ogni tanto, lo rischiara con le sue vampe di fuoco. Il fiume si unisce al Cocito nel formare l’Acheronte.
Secondo Platone, invece, si riversa in una grande pianura arsa da fuoco violento e forma una palude più grande del mare, tutta ribollente d’acqua e di fango; da qui scorre circolarmente, torbido e fangoso e, sempre sotto terra, volge a spirale il suo corso fino a giungere alle estreme rive della palude acherusiade, ma senza mescolare le sue acque.
Dopo molti altri giri sotterranei, si getta in un punto del Tartaro che è più in basso. Il Flegetonte riversa sulla terra torrenti di lava, ovunque trovi uno sbocco. Si immagina che in quel fiume si punissero i violenti.
Il Lete, fiume dell’oblio, attraversa l’Elisio; chi beve o si immerge nella sua acqua, perde la memoria della sua vita passata e può quindi reincarnarsi in un altro corpo.
In un’altra versione, non c’è il Lete, ma due cipressi bianchi vicino cui sgorgano due fontane: quella dell’Oblio e quella della Memoria. Le acque della prima cancellano il ricordo della vita passata, quelle della seconda rinnovano la memoria delle cose amate.
-PRATO DEGLI ASFODELI-
La palude Acherusiade è la palude principale situata all’ingresso dell’Ade. E’ formata dalla acque dell’Acheronte, del Flegentonte e del Cocito. Secondo Platone, qui si raccolgono le anime di coloro che hanno condotto una vita mediocre.
Quando muoiono, tutte le anime subiscono la stessa sorte. Raggiungono l’Ade, dove vivranno per sempre sotto forma di ombre incorporee, che hanno le sembianze dei loro corpi.
Risiedono probabilmente tutte nel Prato degli Asfodeli, luogo monotono, senza dolori, ma anche senza gioie, senza un futuro e senza la luce del sole.
Col passare del tempo, gli spiriti dei morti entrano in uno stato di semi coscienza, chi più chi meno.
A parte Tiresia l’indovino, nessuno possiede il dono della preveggenza. Ognuno però mantiene i ricordi della vita terrena. Vengono attirati dai sacrifici offerti dai vivi, che consistono in un rituale con preghiere e sangue di alcuni animali uccisi. Ottenuto il permesso di bere il sangue, riacquistano completa coscienza e, se lo vogliono, possono parlare.
L’Ade è stato anche suddiviso in vari settori, a seconda delle azioni commesse in vita.
– Atropo (una delle Parche) decide di tagliare il filo della vita di un uomo. Ipno (il sonno) e Tanatos (la morte), adolescenti alati, allontanano il corpo di un guerriero morto sul campo di battaglia.
– Ermes Psicopompo (Mercurio) prende in consegna le anime dei morti e le trasporta alle porte dell’Ade o le consegna a Caronte.
– Caronte traghetta le anime al di là del fiume Acheronte, al prezzo di un obolo. Oltrepassato il fiume, i morti percorrevano un lungo viale con pioppi e salici ed arrivavano ad una grandissima porta da cui tutti potevano passare. Lì c’era un terribile guardiano che vegliava rabbioso contro i vivi che tentavano di entrare e contro i morti che cercavano di uscire: Cerbero.
-Cerbero era un cane mostruoso fornito di tre teste, sempre vigile e pronto a scagliarsi contro i trasgressori delle leggi divine.
– Prateria degli Asfodeli (dal greco “a”= non, “sphodos”= cenere, “elos”= valle, ovvero “valle di ciò che non è stato ridotto in cenere”). Varcata la soglia, le anime degli eroi attraversavano questa prateria, vagando tra altri morti, che svolazzavano qua e là come pipistrelli. Il loro unico piacere era bere il sangue delle offerte dei vivi.
– Erebo (coperto), Palazzo di Ade e di Persefone, cinti da possenti mura sulle quali stavano le Furie. Le Furie o Erinni sono tre: Tisifone, Aletto e Megera, con il compito di torturare le anime che si sono macchiate di gravi colpe verso i familiari e gli Dei. Solo quando la a pena era stata interamente scontata, la loro persecuzione cessava, ed allora, diventate benevole, erano venerate col nome di Eumenidi. Ai lati del Palazzo sorgono due cipressi bianchi, da cui sgorgano due fontane: quella dell’Oblio e quella della Memoria. Le acque della prima cancellano il ricordo della vita passata, quelle della seconda rinnovano la memoria delle cose amate.
– Minosse, Radamanto ed Eaco sono i giudici infernali, che stanno su un incrocio di tre strade: da qui loro giudicano le anime e le indirizzano verso una delle tre aree o le isole. La leggenda narra che Eaco, anche custode delle chiavi, si dovesse occupare delle anime di provenienza europea, Radamanto di quelle di provenienza asiatica e Minosse dei casi più difficili.
– Le tre aree in cui risiedono i morti sono:
1) Prateria degli Asfodeli, in cui si riunivano le anime degli ignavi e di coloro che in vita non si erano macchiati di colpe gravi, ma nemmeno erano stati buoni e virtuosi. La prateria è caratterizzata da un tedio senza fine, dove solo il cacciatore Orione, inseguendo eternamente dei daini, sembra godere del conforto di avere qualcosa da fare
2) Tartaro, destinato agli empi, che nella vita si sono macchiati di colpe verso gli Dei o verso i propri simili (per esempio, i Titani, Tantalo, Issione, Tizio). Il Tartaro è immerso nel buio ed ogni tanto è rischiarato dalle vampe di fuoco del fiume Flegetonte. I dannati vengono perseguitati da mostri infernali, che rimproverano loro le colpe di cui sono macchiati.
3) Campi Elisi (o Elisio) sono riservati ai giusti, ai virtuosi, ai saggi e agli eroi, dove essi vivono eternamente sereni, in luoghi pieni di luce e di fiori, dediti alle occupazioni che più li avevano dilettati in vita. Ad allietare questo luogo ridente ci sono musiche, danze, canti e banchetti. Qui abitano due figli della Notte, Thanatos, il demone della morte, e Hypnos, il sonno. Figli di questi sono i Sogni, che abitano in una grande casa al di là dell’Oceano. Questa casa ha due grandi porte, una di avorio e una di corno. Dalla prima escono sogni falsi e ingannevoli, dalla seconda escono sogni premonitori.
4) Isole Beate, riservate a coloro che nacquero tre volte e ogni volta vissero virtuosamente.