Tag:
storie e leggende vegetali
L’Alliaria (Alliaria petiolata), conosciuta anche come Alliaria officinalis ed Erba aglina, è una pianta alta fino ad un metro, con fiori bianchi, molto profumati, che attirano api e farfalle, i quali provvedono all’impollinazione.
Questa pianta era molto usata dai Babilonesi e, sin dal 3.000 a.C., era consumata in grandi quantità da Greci e Romani.
In Egitto, sono addirittura stati ritrovati resti di Alliaria nella Tomba di Tutankhamon, il famoso Faraone egizio.
L’Allaria cresce comunemente in tutta Italia, nei boschi e nelle siepi, dalla zona marina a quella montana, tranne che in Sardegna.
Predilige luoghi freschi ed è considerata infestante.
Tutta la pianta, se stropicciata, emana un marcato odore di aglio, che sembra permanere nel latte delle mucche, quando se ne cibano; anche il sapore è agliaceo, da qui deriva il nome.
Le foglie ed i fiori, di sapore molto simile all’aglio quindi, ma più digeribili di questo, vengono utilizzati nei misti di insalate e cicorie, con varie carni, ottimi anche in padella e nelle farciture di arrosti.
I semi contengono un olio, che viene utilizzato per dare sapore a vari piatti, simile a quello della senape.
Nella medicina naturale, si utilizza la pianta fresca (secca perde tutte le sue proprietà) di Alliaria come sudorifero, diuretico e stimolante.
In America, l’Alliaria è considerata pianta infestante, addirittura “una grave minaccia per le piante e gli animali autoctoni nelle comunità forestali in gran parte degli Stati Uniti orientali e del Midwest“.
Raccolta in primavera, perché in seguito diventa troppo amara, con l’Alliaria si prepara una gustosa salsa, utilizzata per insaporire bolliti e pesce, o come complemento di farcitura in toast, panini, tramezzini.
Ecco la ricetta:
GARLIC MUSTARD
Ingredienti:
50gr di mandorle
100gr di Alliaria
3 cucchiai di parmigiano grattugiato
1 tazzina di olio di semi
scorza grattugiata di mezzo limone
succo di mezzo limone
Raccogli dell’Alliaria fresca se ti trovi in campagna, o magari al mercato contadino trovi chi l’ha raccolta per te.
Scegli quella con i gambi più teneri, in modo da poterli usare, altrimenti userai solo le foglie.
In un mortaio, metti le mandorle e pestale.
Aggiungi l’Alliaria (foglie, fiori e stelo se tenero), il formaggio grattugiato e l’olio poco per volta.
Pesta energicamente ed infine aggiungi il succo e la scorza del limone.
Buon appetito!
L’Alisso (Alyssum) è un genere di piante appartenente alla famiglia delle Brassicaceae, il cui nome deriva dal greco e significa “contro la rabbia”, perché sembra che alcune specie di questo genere abbiano delle proprietà medicinali, utilizzate un tempo per guarire gli infermi, e in particolare per curare l’idrofobia.
Un’altra interpretazione traduce il termine come “senza collera”, in quanto nell’antichità la pianta era ritenuta un ottimo rimedio contro l’ira.
Originario dell’Europa, dell’Asia e dell’Africa settentrionale, con la più alta diversità di specie nella regione mediterranea, l’Alisso comprende piante erbacee annuali e perenni, di cui alcune possono raggiungere 1 metro di altezza.
I fiori che produce sono piccoli e delicatamente profumati; sono riuniti in infiorescenze ad ombrella e sono di colori differenti, rosa, bianchi, porpora, gialli.
Alcune specie sono l’Alyssum maritimum o Alisso odoroso con fiori bianchi o viola, l’Alyssum montanum diffuso allo stato spontaneo nelle regioni montane d’Italia di colore giallo limone, giallo-vivo o giallo-dorato.
L’Alisso sassicolo (Alyssum saxatile) è una pianta perenne alta fino a 20 cm, con fiori gialli.
Nel linguaggio dei fiori e delle piante simboleggia la pace del cuore e la tranquillità interiore.
L’Albicocca è il frutto dell’Albicocco (Prunus armeniaca), albero della famiglia delle Rosacee, dalle foglie di color verde intenso, proveniente dalla Cina e dall’Asia Centrale, Armenia ed introdotto dagli Arabi nel bacino del Mediterraneo.
La pianta arrivò a Roma, appunto grazie agli Arabi, nel I secolo D.C e fu successivamente diffusa anche in Andalusia, Sicilia ed Africa del nord.
Dioscoride Pedanio (medico, farmacologo e botanico greco) chiamò il frutto “armeniakòn milon” = “mela dell’Armenia”.
Il nome ‘Albicocca’ invece deriva dall’arabo “al-barquq”, che significa prugna.
L’Albicocca e’ stata considerata fin da subito un frutto esotico e rarissimo.
I medici arabi la usavano per curare il mal d’orecchi e anche per lenire i fastidi delle emorroidi.
Il succo fresco dell’Albicocca è un eccellente tonico per la pelle del viso.
La mandorla contenuta nel nocciolo, oleaginosa, è commestibile solo quando è dolce; di solito è invece amara: contiene, in tal caso, una sostanza che genera acido cianidrico, un potente veleno.
Si ricordano molti casi mortali di intossicazione, soprattutto fra i bambini.
Secondo una leggenda, l’Albicocco era considerato inizialmente una pianta ornamentale dalla folta chioma, dal fogliame verde e dai fiori bianchi.
Quando l’Armenia fu invasa da un esercito nemico, si dovettero abbattere gli alberi improduttivi per farne legname.
Una fanciulla, essendo molto affezionata ad un Albicocco, trascorse la notte precedente alla guerra piangendovi vicino.
Il mattino seguente si risvegliò e vide che sull’albero erano cresciuti frutti dorati, le Albicocche.
Si racconta, che i frutti che crescono nella Valle dell’Ararat (Provincia dell’Armenia) siano i più rigogliosi, succosi e gustosi che si possano mangiare.
Non è una sorpresa, considerando che crescono ai piedi del maestoso Monte Ararat, che ha la forma di una piramide, così il riflesso del sole risplende sui raccolti.
La Valle dell’Ararat è nota per le sue uve molto dolci e le albicocche dal sapore più sorprendente.
Le Albicocche sono coltivate in tutta l’Armenia ma, fin dall’antichità, quelle coltivate nella valle dell’Ararat sono conosciute come le “regine” e quelle coltivate altrove sono i “cortigiani”.
Per questo motivo, l’Armenia è conosciuta come la “Terra delle Albicocche”.
Secondo un’altra leggenda, l’Albicocco è l’unico albero che Noè portò dall’Arca, per piantare nel nuovo terreno e farlo crescere per il popolo.
Il diluvio aveva distrutto molti alberi da frutto, tuttavia l’Albicocco era sopravvissuto.
In Italia, a Galatone (Puglia), esiste l’unica varietà autoctona di Albicocco pugliese, quasi scomparso a causa dell’industrializzazione agricola, ma ora tutelato da un Presidio Slow Food.
L’Albicocco del Galatone, come molte varietà antiche, può fruttificare più a lungo delle varietà più comuni, spesso arrivando a produrre frutti per oltre 50 anni.
Si narra, che furono i Cavalieri Templari a portare questo albero nel Salento, tornando dall’Oriente.
Nel dialetto locale, questa Albicocca è chiamata “arnacocchia”, ed è più piccola delle altre varietà e caratterizzata da macchie scure vicino al fusto, “dipinte da San Luca”.
In Pakistan, il seme amaro , per intonacare pareti e tetti, mentre si ritiene che l’olio sia benefico per gli animali in lattazione e per usi cosmetici.
In Esoterismo, l’Albicocca è un frutto eccellente da usare nelle ricette d’amore, sia che si mangi il frutto o si usi semplicemente il succo in incantesimi, lozioni o pozioni.
La sua polpa, unita ad una grandissima quantità di zucchero o miele, viene bevuta dalle Streghe prima dei rituali, per alleviare eventuali disturbi della gola ed ottenere un` appropriata intonazione della voce.
Mangiare il frutto, porta a una “disposizione dolce” verso il prossimo e, aggiungendo una piccola parte di polpa d’Albicocca a qualsiasi cibo, alterandone il gusto, esso risulterà gradito a chiunque.
Il nocciolo di Albicocca può essere portato sempre con sé, per attirare amore; ma anche regalarne uno, rappresenta un gesto d’amore per chi lo riceve.
Foglie e fiori essiccati possono essere mescolati nei sacchetti d’amore.
Si racconta, che eccessivi sentimenti di gelosia possano impossessarsi di chi abbia fatto uso di prodotti contenenti parti di quest’albero.
Alcuni parlano di ossessione verso le persone, altri di ossessione verso cibi o oggetti, ed è ciò che, in fondo, accomuna le persone legate a questo splendido albero: ovvero una spiccata propensione ai legami, spesso morbosi e totalizzanti.
PIANETA: Venere
ELEMENTO: Acqua
SEGNO ZODIACALE: Cancro-Capricorno
Vi lascio con la ricetta di un liquore all’Albicocca, che vi ricorderà l’Estate nelle fredde serate invernali.
LIQUORE ALLE ALBICOCCHE
– 500 g di Albicocche
– 400 g di zucchero
– 500 ml di alcol puro 95°
– 500 ml di acqua
– 1 stecca di cannella
Lavare le Albicocche, aprirle a metà e metterle, insieme con 2 noccioli schiacciati, in un contenitore di vetro capiente.
Aggiungere la cannella, coprire con l’alcol e chiudere il contenitore.
Tenere al buio e al fresco per 20 giorni, agitando ogni giorno il contenitore.
Trascorsi i giorni, preparare lo sciroppo, facendo sciogliere lo zucchero in una pentola con l’acqua, portato a bollore e poi fatto intiepidire.
Filtrare l’alcol del contenitore ed aggiungerlo allo sciroppo; fare riposare una settimana e filtrarlo nuovamente, imbottigliare.
Aspettare un paio di mesi, prima di gustarlo.
…Lo so, l’attesa sarà triste…
L’Alaterno (Rhamnus alaternus), chiamato anche Linterno, Purrolo o “Legno puzzo” a causa dell’odore sgradevole della sua corteccia, è un arbusto che può addirittura raggiungere i 7 metri d’altezza.
Ha fiori giallo-verdastri e frutti rossi, che diventano neri a maturazione e velenosi per l’uomo.
E’ una pianta tipica della macchia mediterranea, nonché esclusiva.
Cresce nei litorali, radure di boschi, pinete, ecc.
Nell’antichità, l’Alaterno era usato per tingere di giallo i tessuti, mentre il suo legno per lavori di ebanisteria.
In Sardegna, una leggenda racconta che, con il legno della pianta, veniva creato un amuleto, chiamato “Stella a quattro punte della Dea Madre”, che proteggeva da ogni pericolo, chi lo indossava.
Inoltre, venivano preparate collane fatte con varie parti della pianta, da indossare per combattere l’itterizia.
Oppure con gli infusi di foglie si imbevevano gli abiti, per il medesimo motivo.
Questo perché la pianta era associata al giallo e quindi, per affinità, doveva curare tutte le patologie che causavano colorito giallastro.
La pianta è utilizzata nella medicina popolare in molti paesi del Mediterraneo, in quanto possiede virtù antiossidanti ed è considerata anche antibatterica, antidiabetica, astringente, digestiva, diuretica, ipotensiva e lassativa.
Viene anche usata, per il controllo della pressione sanguigna e nel trattamento delle complicanze epatiche e dermatologiche e per alleviare i dolori dentali o parodontali.
Ma attenzione, l’Alaterno è tossico e può diventare velenoso, se assunto in modo improprio o in grandi quantità.
L’Aichornia o Giacinto d’acqua (Eichhornia crassipes) è una pianta acquatica galleggiante, fortemente invasiva.
Infatti, trapiantata dall’uomo in altri Paesi a clima tropicale od umido, ha rapidamente colonizzato i corsi d’acqua, entrando in competizione con le specie autoctone.
E’ alta fino a 15 cm ed ha bellissimi fiori blu-violetti.
Originaria di tutto il bacino amazzonico, cresce in laghi, fiumi, stagni, ecc., dove rappresenta una fonte alimentare per gli animali erbivori, che vivono in questi corsi d’acqua.
E’ una pianta metallofita, dotata di notevoli proprietà di assorbimento di metalli pesanti, idrocarburi ed altri composti chimici inquinanti.
Per questo motivo, la pianta viene studiata allo scopo di utilizzarla in sistemi di decontaminazione naturale dai metalli pesanti.
L’Aichornia può crescere nelle acque reflue delle raffinerie di petrolio, dopo che l’acqua ha subito un trattamento iniziale di separazione dell’olio, flottazione e aerazione.
Questa pianta possiede funzioni antinfiammatorie, antimicotiche e antibatteriche.
Anticamente, era usata come profumo per capelli, per curare il colera, il mal di gola e i morsi di serpente.
Oggi le radici, le foglie e i fiori del Giacinto d’acqua sono stati scientificamente testati e sembra che posseggano le potenzialità, per essere utilizzati come alternativa all’antinvecchiamento, oltre a dimostrare capacità antitumorale.
L’Agrostide stolonifera o Cappellini comuni (Agrostis stolonifera) è una graminacea con fusti nodosi e prostrati, che può raggiungere un metro d’altezza.
Presenta fiori biancastri riuniti in spighette.
Cresce in Europa, Siberia, Estremo Oriente (dove è considerata pianta infestante), Asia, nei prati, pianure alluvionali, rive di laghi, sabbia dei fiumi, nella ghiaia, nelle foreste umide delle zone montuose.
E’ possibile trovarla anche sui bordi delle strade, in prossimità di città e villaggi.
L’insieme di piante forma un tappeto erboso di altissima qualità, molto apprezzato ed utilizzato per campi da golf, o prati erbosi ornamentali.
Infatti, per la sua caratteristica di essere stolonifera, è possibile tosarla bassissima.
Ciò la rende resistente al calpestio, oltre ad essere anche resistente al gelo.
E’ apprezzata anche dal bestiame pesante come pascolo.
L’Agnocasto (Vitex agnus castus) appartiene alla famiglia delle Verbenacee, è originario del bacino del Mediterraneo e del Medio Oriente ed è attualmente coltivato in molti paesi del mondo a clima temperato.
E’ un arbusto ornamentale con fiori violacei e color lavanda, con frutti piccoli di colore marrone.
Era noto già nell’antichità come ‘anafrodisiaco’, da cui la denominazione greca “a-gonos” (senza prole), che comparve in Dioscoride, ma successivamente fu mutata in “agnus” e privata così del suo significato.
L’Agnocasto era già citato da Omero come “lyos”, termine di probabile radice indo-europea che permane in vari dialetti dell’Italia meridionale e della Sicilia (lágano, láganu, lácana, lágomu), con lo stesso significato del latino ‘Vitex’ : viticcio o virgulto flessibile adatto a legare.
Un tempo era coltivato nei monasteri, perché sembrava avere la proprietà di sedare il desiderio sessuale, una credenza successivamente smentita.
Si è scoperto che la pianta di Agnocasto è utile per modulare le turbe della menopausa, dolori al seno prima delle mestruazioni e favorire l’allattamento.
Il medico greco Dioscoride, del I secolo d.C., lo suggeriva come rimedio per diminuire la libido; secondo il naturalista romano Plinio il Vecchio, veniva sparso sui letti delle mogli dei soldati ateniesi, per preservarne la fedeltà coniugale quando i soldati andavano lontano in battaglia.
Questo frutto, dal sapore pungente, è noto col nome di “Pepe falso” o “Pepe dei monaci” perché questi ne facevano uso come ipotetico anafrodisiaco, per far fede al voto di castità.
I rami flessibili e robusti venivano usati nella costruzione di palizzate di canne.
Il nome inglese dell’Agnocasto, “Chaste tree” = “albero casto”, deriva dalla credenza, che la pianta fosse in grado di sopprimere la libido nelle donne che l’assumevano.
L’Agnocasto era un indispensabile nell’antica festa greca Tesmoforie, tenuta in onore di Demetra.
Durante questa festa, le donne rimanevano “caste” e usavano fiori e rami di Agnocasto per ornamento, oltre che decorare il tempio di Demetra con mazzi dei suoi fiori viola brillante.
A Roma le vestali portavano ramoscelli di Agnocasto come simbolo della loro castità e fedeltà allo spirito divino.
Gli sposi novelli venivano incoronati con i fiori di questa pianta, per dimostrare la loro fedeltà reciproca e ai loro voti.
In Europa, la Chiesa cattolica sviluppò una variante di questa cerimonia, mettendo i boccioli di Agnocasto nei vestiti dei monaci novizi, per sopprimere la libido.
I piccoli frutti rotondi (semi) dell’Agnocasto hanno un profumo pungente e un sapore che ricorda il pepe nero.
Le foglie profumate sono state utilizzate anche come sostituto del luppolo nella produzione della birra.
Per tutto il diciottesimo e diciannovesimo secolo, i frutti furono poco usati dai medici europei.
Alla fine del XIX secolo, Felter e Lloyd (1898) suggerirono l’uso di una tintura delle bacche fresche a medici eclettici, per aumentare le secrezioni di latte e utili come agente nei disturbi mestruali.
A piccole dosi, si diceva che fosse utile nel trattamento dell’impotenza, e forse utile per il nervosismo o una lieve demenza.
Se vuoi proteggere o salvaguardare un’unione o un legame sacro che condividi con un’altra persona, oppure una causa importante; o volessi un supporto nella creazione di cicli e ritmi salutari nella tua vita; o ancora se stai cercando di aumentare la tua fertilità fisica o creativa:
posiziona alcuni rametti di Agnocasto su un altare e recita una preghiera ogni notte, per la protezione dei tuoi cari e della tua famiglia.
Indossa i suoi fiori tra i capelli o come amuleto, per ricordarti di conservare le tue risorse emotive e materiali.
Le bacche di Agnocasto vengono trasformate in una tintura, che può essere assunta quotidianamente per aiutare le donne a regolare i loro cicli mestruali, bilanciare i ritmi profondi del corpo e nutrire i flussi psichici di creatività.
L’Agnocasto è usato molto comunemente come incenso durante le cerimonie della Luna e ha diversi usi per affrontare i problemi delle donne del sistema riproduttivo, oltre a migliorare il lavoro delle capacità psichiche e promuovere la trasformazione spirituale.
Pianeta : Plutone
Elemento : Acqua
L’Aglio orsino (Allium ursinum) appartiene alla famiglia delle Liliacee e cresce spontaneo in Europa e Asia; in Italia è presente in tutto il territorio, eccetto la Sardegna.
Vegeta talvolta a lato dei ruscelli, che penetrano in boschi densi, formando dei tappeti omogenei.
E’ una pianta erbacea perenne con fiori, bianchi e a forma di stella, riuniti in ombrelle.
Le foglie emanano un forte odore agliaceo quando vengono stropicciate e, quelle giovani, sono utilizzate per dare sapore ai piatti di pesce, insalate, formaggi teneri e patate lessate.
Sono commestibili anche i fiori.
Le proprietà di tutte le parti della pianta dell’Aglio orsino sono praticamente corrispondenti a quella dell’Aglio comune.
Terapeuticamente, dell’Aglio orsino si sfrutta principalmente l’azione depurativa.
La denominazione Allium non è facilmente ricostruibile, poiché sia la coltivazione, sia l’utilizzo di questa piantina risale ad almeno 3000 anni a.C.
Il termine era già in uso presso le popolazioni romane, ma si ritiene che la sua origine sia celtica.
Potrebbe derivare da “all” che significa caldo, cioè acre come l’odore dell’aglio appena degustato.
Anche i Greci conoscevano questa pianta “bruciante”, per il suo odore.
Mentre il nome specifico “ursinum” (degli orsi) forse in riferimento agli ambienti boschivi su cui preferibilmente cresce oppure, in base ad alcune credenze popolari, potrebbe derivare proprio dagli “orsi” che, appena svegliati dal letargo invernale, sarebbero ghiotti dell’Aglio orsino, col quale depurano l’organismo rimasto a lungo fermo.
In gergo è chiamato anche Aglio del diavolo, Aglio romano, Aglio selvatico, Cipolla della zingara, Ramsons.
Nell’industria, con esso si ricavano disinfettanti e repellenti.
In Germania, e probabilmente in altre parti dell’Europa Centrale, l’Aglio orsino ha acquisito una popolarità crescente nel giro di pochi anni.
In base a questa sua popolarità, molti hanno tentato di raccogliere la pianta selvatica, con la conseguenza che sono stati segnalati diversi casi di avvelenamento, dovuto all’esistenza di alcune piante tossiche con foglie simili, in particolare il Mughetto ed il Croco d’autunno.
Entrambe le piante non mostrano alcun odore d’Aglio e le similarità sono, nel migliore dei casi, superficiali o inesistenti.
Utilizzato tradizionalmente in tutta Europa come tonico primaverile, per le sue proprietà purificanti del sangue, analogamente all’Aglio a bulbo, si pensa che anche l’Aglio orsino abbassi il colesterolo e la pressione sanguigna, il che a sua volta aiuta a ridurre il rischio di malattie come infarto o ictus.
Si dice che il suo odore respinga i gatti, quindi si potrebbe piantare vicino alle piante in cui questi deliziosi animali vanno a giocare, distruggendole.
Nelle prime tradizioni cristiane, i fiori di Aglio selvatico venivano usati per decorare le chiese il giorno della festa di Sant’Elfego di Canterbury (19 aprile).
La pianta compare nelle leggende e nelle poesie irlandesi.
La poesia “Sulla collina di Howth”, nel nord della contea di Dublino, cita l’erba:
“la vetta luminosa al di là di tutte le colline … piena di aglio selvatico e alberi”.
L’antico medico greco Dioscoride scrisse nel I secolo, che l’Aglio orsino poteva curare i morsi dei serpenti, sebbene questo rimedio fosse poco menzionato nelle opere dei primi erboristi in Gran Bretagna e Irlanda.
I primi guaritori tra i Celti, le tribù teutoniche e gli antichi Romani conoscevano quest’erba selvatica e la chiamavano “herba salutaris” , che significa “erba curativa”.
L’Aglio orsino veniva portato nelle tasche dalle persone, per scongiurare l’influenza durante la pandemia del 1918 in Irlanda.
In altre parti delle isole britanniche, le foglie di Aglio orsino venivano messe sotto la pianta dei piedi, per impedire alle persone di contrarre tosse e raffreddore.
Sull’isola di Man, i bulbi venivano messi in salamoia nello zucchero di canna e nel rum, per essere conservati durante l’inverno, come rimedio contro la tosse e il raffreddore.
L’Aglio orsino era considerato un buon preventivo nella medicina popolare irlandese, per scongiurare tosse, raffreddore e influenza, una credenza condivisa in altre parti della Gran Bretagna.
In Irlanda, l’aglio selvatico veniva talvolta impiegato come rimedio veterinario per vari disturbi nei cavalli e nei bovini, come la tigna nei vitelli.
Le proprietà magiche dell’Aglio orsino includono protezione, guarigione, allontanamento delle energie negative.
Gli spicchi d’Aglio orsino venivano piantati come portafortuna nel tetto di paglia dei cottage irlandesi; questa usanza era anche pensata per scoraggiare le fate.
Nella magia e nei rituali, si pensava che l’Aglio selvatico spaventasse le creature velenose.
Un’usanza strana diceva agli atleti di masticare un pezzo della pianta prima di una gara, per assicurarsi la vittoria, e una credenza simile era tenuta per gli uomini che andavano in battaglia.
In astrologia, l’Aglio orsino è governato da Marte e Nettuno.
Se veniva piantato durante la Luna piena, si pensava che crescesse come una cipolla con un solo bulbo.