Tag:
scopolamina
Atropa Belladonna è il nome scientifico di una pianta medicinale, molto tossica, che appartiene alla famiglia delle Solanacee.
E’ una pianta erbacea rizomatosa che cresce in montagna, alta anche un metro e mezzo, che produce dei graziosi fiori violacei (giugno-settembre) e delle bacche nere velenose ma molto invitanti, che possono essere confuse dai bambini come frutti mangerecci e, se ingerite, provocano diversi problemi.
Esse sono, invece, un pasto ghiotto per bovini, ovini, conigli e uccelli, i quali, questi ultimi, ingerendone in gran quantità, sono i principali veicoli di diffusione.
Proprio per questo, in alcune aree è considerata infestante in quanto, diffusa dagli animali, finisce per insediare territori dove non è desiderata.
È curioso, che il suo seme non germogli tanto facilmente, perché necessita o di un lungo periodo di vernalizzazione, oppure di passare attraverso lo stomaco di qualche animale.
ATTENZIONE, però, perché la Belladonna è velenosa per cani e gatti.
In Germania, la Belladonna è conosciuta come “Ciliegia della pazzia”.
Sembra che il nome Belladonna derivi dal fatto che, nel Rinascimento, le gentildonne veneziane la utilizzavano per preparare un cosmetico, capace di dilatare le pupille degli occhi, dando un’intensità un po’ vitrea, caratteristica al tempo considerata attraente.
Ciò è dovuto al ‘midriasi’, un effetto dovuto all’atropina, un alcaloide presente nella Belladonna, che agisce direttamente sul sistema nervoso parasimpatico.
Inoltre, con le foglie e le bacche si preparava un tonico di bellezza usato dalle donne veneziane, per arrossare il pigmento della loro pelle, per ottenere un aspetto simile al rossore.
Altre fonti, invece, dicono che si riferisca al francese ‘belle-femme’, termine usato nel Medioevo per indicare le streghe, che utilizzavano questa pianta, per creare “l’unguento delle Streghe”.
Nella sua classificazione delle specie vegetali, Linneo chiamò questa pianta “Atropa”, richiamandosi al nome di una delle tre Parche omeriche, Atropo, che erano preposte alla vita ed alla morte: Cloto tesseva i fili della vita, Lachesi stabiliva quanto lunghi dovessero essere, ed Atropo doveva reciderli.
La Belladonna contiene anche un altro alcaloide, la scopolamina, anch’esso adoperato in farmacopea.
Una delle associazioni più famose della Belladonna è il suo legame con la mitologia, il folklore e la stregoneria.
Nell’antichità, la pianta era associata al culto di Dioniso, il Dio greco del vino e dell’estasi, ed era presumibilmente mescolata a questa bevanda, inducendo in trance i fedeli.
Nel mito di Ulisse, i suoi uomini furono avvelenati con Belladonna e poi trasformati in maiali dalla strega Circe.
Ai tempi dell’Impero Romano, si diceva che la ‘Strega Notturna’, ovvero la Belladonna, fu l’arma utilizzata da Livia, per avvelenare suo marito, l’imperatore Augusto.
Gli antichi Romani spesso imbevevano la punta delle frecce nell’estratto di Belladonna, in modo da amplificare il potere letale dei loro tiri contro i nemici.
La Belladonna è stata, quindi, un’assassina di re, imperatori e guerrieri nel corso della storia.
Macbeth, re di Scozia, gli imperatori romani Augusto e Claudio furono tutti sepolti per mano della micidiale pianta.
Il motivo per cui questa pianta era così usata, stava nel fatto che le sue bacche hanno un sapore dolce.
In una bevanda fermentata, probabilmente non si poteva capire la differenza tra vino, idromele o birra.
Di conseguenza tutto ciò che, al massimo, si sarebbe potuto pensare, era che ci fosse una dolcezza extra.
I re intelligenti trovarono il modo di aggirare i tentativi di omicidio nei loro confronti con la Belladonna, circondandosi di ‘tester’, che avevano sviluppato l’immunità alle sostanze mortali, bevendo per anni piccole quantità meno tossiche.
Le cavie umane avvertivano il re, che qualcosa non andava quando, assaporando una pietanza o bevanda troppo dolce, sospettavano che contenesse le ‘deliziose’ bacche di Belladonna.
Fu solo nel XIX secolo che, il famigerato ‘Veleno dei Re’ si reinventò un’ultima volta.
Infatti, dopo secoli di utilizzo come veleno e cosmetico, gli usi medicinali della micidiale Belladonna furono finalmente realizzati e resi disponibili, per curare una varietà di malattie e disturbi.
Le sue applicazioni mediche includono l’uso come antidolorifico, rilassante muscolare, antinfiammatorio e come trattamento per la pertosse e il raffreddore da fieno.
La Belladonna era molto presente nei cosiddetti ingredienti delle streghe ed era strettamente associata al diavolo.
Ad esempio, i genitori a volte dicevano ai loro figli che, se avessero mangiato le bacche della pianta, avrebbero incontrato il Diavolo in persona: questa era una storia raccontata per aiutarli ad evitare le bacche.
Si narra, che fosse anche uno degli ingredienti, che permetteva alle streghe di volare, che sperimentavano nelle allucinazioni causate da una combinazione di piante.
Un’antica leggenda inglese sostiene, che la Belladonna appartenesse al diavolo che provvedeva, personalmente, a ogni sua necessità, giorno e notte: la dimenticava solo la notte di Walpurga, perdendo tempo a prepararsi per il sabba delle streghe.
In magia, la Belladonna veniva utilizzata nella preparazione di unguenti che, assorbiti attraverso la pelle, provocavano allucinazioni, leggerezza e sensazione di volare.
Ciò a causa dei principi attivi di questa pianta che sono, oltre alle già citate atropina e scopolamina, anche iosciamina, atropamina, e belaplomina, presenti in tutta la pianta, ma con maggiore concentrazione nelle foglie.
Queste sostanze tossiche provocano euforia e allucinazioni e, a dosi elevate, disorientamento, perdita di memoria, coma e persino la morte.
Solitamente, quindi, nel Medioevo le streghe preparavano ‘unguenti volanti’, ovvero oli e unguenti a base di Belladonna che, unti sul corpo o assorbiti nelle mucose, davano uno “sballo” alla strega o al mago, producendo allucinazioni e visioni con l’impressione di volare.
Probabilmente è questo che ci ha portato all’immagine della strega, che vola su un manico di scopa…
La Belladonna è associata ad Ecate Chthonia, o “Ecate degli Inferi“, Dea greca della magia, del crocevia, degli spiriti e dei morti irrequieti, delle transizioni e dei cambiamenti, del futuro, della negromanzia e di molti altri elementi della vita, della morte e di tutto il resto.
Visto che Ecate è spesso raffigurata come una triplice Dea ed i suoi luoghi più sacri sono i luoghi in cui tre percorsi si incontrano a un bivio, trovare la Belladonna in questi siti è un segno sicuro dell’attività magica in questi luoghi, che sono sicuramente benedetti dalla Dea Vecchia della magia e della stregoneria e dalla stessa Ecate.
Le bacche fresche o essiccate e in polvere, anticamente venivano mescolate con alcol e Sangue di Drago, per creare un inchiostro, progettato per disegnare maledizioni o sigilli spirituali.
Rami essiccati e conservati venivano posti intorno agli altari, per invocare le anime e la magia degli spiriti.
Con foglie e bacche si preparavano pozioni, da NON ingerire, che dovevano essere applicate agli oggetti da utilizzare, per aumentare la potenza magica.
Oppure erano usati come elementi in un altare, borsa totem, sacchettino per erbe o qualsiasi altro dispositivo magico, per aumentare la propria capacità di entrare nel mondo degli spiriti, durante la meditazione.
Messa in una sacchettino di pelle e appesa al collo, oppure posizionando 5 rami di Belladonna in un pentagramma su un altare davanti a sé, mentre si medita, aumenta notevolmente la facilità di accesso e la potenza dei viaggi astrali.
La Belladonna viene usata ancora oggi, spruzzata intorno alla porta d’ingresso della casa, di colui al quale si vuol provocare sventura.
Nel linguaggio dei fiori è simbolo di fierezza ed eleganza.
Curiosità: La coltivazione di Belladonna è legale in Europa meridionale ed orientale, Pakistan, Nord America e Brasile.
Le foglie e le radici di Belladonna possono essere acquistate, con prescrizione medica, nelle farmacie di tutta la Germania.
Negli Stati Uniti esiste un solo farmaco da prescrizione approvato, contenente alcaloidi della Belladonna come l’atropina, e la FDA considera illegale qualsiasi prodotto da banco, che rivendichi l’efficacia e la sicurezza come farmaco anticolinergico.
ATTENZIONE:
SE LA MANEGGI, USA I GUANTI!
NON BRUCIARE, INALARE, INGERIRE
VAPORIZZARE, APPLICARE SULLA PELLE
O CONSUMARE IN QUALSIASI MODO.
RICORDA:
LA BELLADONNA E’ PERICOLOSA!
PIANETA: Saturno
ELEMENTO: Terra
SEGNO ZODIACALE ASSOCIATO: Capricorno
CHAKRA: 3, Manipura (C. del Terzo Occhio)
ll Giusquiamo, il cui nome botanico è Hyoscyamus, è un membro dell’ordine delle piante delle Solanacee, che comprende membri innocui come l’umile patata ed il pomodoro, ma anche quelli altamente velenosi e famigerati come la belladonna, la mandragora e le datura.
E’ conosciuta anche come: Alterco, Erba apollinaria o apollinea, Erba càmola, Erba d’I mal di dent, Endormie, Oppio dei forti, Zambugnara, Grassuda.
È una delle leggendarie piante “streghe”, rinomata nel folklore per le sue pretese qualità magiche ed è presente in molte delle ricette per unguenti volanti delle streghe, che sono state conservate nei registri dei processi alle streghe nei vari secoli.
Il Giusquiamo comprende undici specie, di cui due sono diffuse in Europa: la varietà “nera”, cioè lo Hyoscyamus niger, e quella “bianca”, lo Hyoscyamus albus.
La varietà più usata è quella “nera” e la sostanza attiva viene ricavata dalle foglie e dai fiori.
Il Giusquiamo nero è la specie più diffusa di tutte.
Cresce dall’Europa all’Asia, dalla penisola iberica alla Scandinavia.
Ora è stato naturalizzato in Nord America ed Australia.
Questa solanacea, di origine orientale, è facile da trovare su terreni poveri di sostanze nutritive.
Riesce a crescere fino a mille metri di quota ed è diffusa in molte parti d’Europa.
Come altre piante della famiglia quindi, il Giusquiamo contiene delle sostanze allucinogene e tossiche.
Negli organi di questa particolare specie sono contenuti due alcaloidi che hanno proprietà psicoattive, chiamati “scopolamina” e “hyoscyamina”.
E’ molto probabile che, anticamente, i Druidi ne abbiano fatto uso nei loro riti divinatori, ma anche per scopi decisamente meno nobili, dato che la pianta è altamente velenosa.
Si ritiene che queste persone avessero una conoscenza approfondita delle piante nocive, delle loro parti e delle preparazioni atte ad esaltarne selettivamente i principi tossici.
Questa pianta dedicata dai Celti al dio del sole e degli oracoli Belenos, era consacrata dai Romani al suo omologo latino Apollinaris.
In Carnia lo si piantava nelle vicinanze delle stalle, per tenere lontane le vipere.
Alberto Magno indica il Giusquiamo in un suo elenco delle erbe magiche.
Nell’antichità veniva comunque utilizzato, sia nella preparazione di anestetici e sia come sonnifero.
Veniva utilizzato anche nella composizione dei filtri delle streghe. Infatti ben si adattava alla funzione di preparare la strega per il viaggio, vero o finto che fosse, verso il Sabba.
Alcuni dicevano che era una pianta magica consacrata a Giove, e poteva essere utilizzato nelle operazioni occulte, se queste si tengono il giovedi, nelle ore diurne sacre a Giove; in questo caso la pianta portava all’illuminazione, al benessere ed alla prosperità.
Il Giusquiamo compare, assieme ad altre erbe e droghe magiche, in un trattato del 1699, opera di Ludovico Maria Sinistrari, un frate francescano che si occupava di demonologia.
Tutte le parti della pianta sono altamente tossiche, le foglie sono la parte più velenosa della pianta, tanto che è stato scoperto, che il semplice odore delle foglie fresche causa vertigini e stupore in alcune persone.
Il Giusquiamo era utilizzato nell’odontoiatria antica, in quanto alleviava rapidamente un mal di denti con i suoi effetti allucinogeni e soporiferi.
I semi venivano riscaldati a carbone, fino a quando non producevano fumi, che venivano inalati.
Inoltre, si dice che gli antichi Egizi fumassero la pianta di Giusquiamo per i problemi dentali.
La radice essiccata di Giusquiamo veniva appesa come collana intorno al collo dei bambini piccoli, per favorire una facile dentizione e prevenire le convulsioni.
Esso era utilizzato per scopi rituali e sciamanici in Eurasia sin dal Paleolitico, così come era usato come pianta rituale dai popoli pre-indoeuropei dell’Europa centrale.
Un’urna di semi di Giusquiamo, insieme con ossa e gusci di lumaca, risalente alla prima età del bronzo, è stata portata alla luce in Austria.
Secondo Carl Ruck (professore della Boston University), si credeva che fosse sacro alla Dea Demetra (Persefone), perché il suo animale sacro era la scrofa, e una traduzione del nome Giusquiamo deriva dal termine “fagiolo di maiale”.
Nelle regioni celtiche, la pianta era chiamata “belinuntia” (pianta del Dio del sole Bel).
I Galli avvelenavano i loro giavellotti con un decotto di Giusquiamo, mentre gli erbari anglosassoni medievali ne menzionavano gli usi medicinali.
Alberto Magno, nel suo “De Vegetabilibus et plantis” ( nel 1250) affermava che i negromanti usavano il fumo per invocare le anime dei morti, oltre che i demoni. Il Giusquiamo prese una piega più erotica negli stabilimenti balneari medievali del tardo Medioevo, dove i semi venivano sparsi sui carboni ardenti per incitare, come si dice, sentimenti eccitanti.
Le associazioni tra Giusquiamo e stregoneria, come le conosciamo oggi, iniziarono nel Medioevo:
“Le streghe bevevano il decotto di Giusquiamo e facevano quei sogni per i quali furono torturate e giustiziate. Era usato per gli unguenti delle streghe ed era usato per creare il clima e evocare gli spiriti. Se ci fosse stata una grande siccità, allora un gambo di Giusquiamo verrebbe immerso in una sorgente e la sabbia cotta dal sole ne sarebbe cosparsa” (Perger 1864).
In esoterismo, il Giusquiamo era particolarmente associato alla divinazione e alla magia dell’amore.
Era anche una delle piante preferite dai monaci avvelenatori.
Si credeva anche che portare la radice sulla propria persona li avrebbe resi invulnerabili alla stregoneria degli altri.
Inoltre, il fumo delle foglie serviva per diventare invisibili, e veniva fumato in una pipa per ottenerne lo scopo.
“Oleum hyoscyamin infusum” (olio di Giusquiamo) era ottenuto mettendo in infusione le foglie a fuoco dolce nell’olio.
Ciò rendeva un raffinato olio da massaggio erotico o un trattamento terapeutico per il dolore.
I semi erano usati anche dagli Assiri, combinati con lo zolfo, per proteggersi dalla magia.
I visionari persiani intrapresero anche viaggi astrali sotto l’influenza di vini e intrugli di Giusquiamo.
Druidi e Bardi (cantori sacri e poeti) inalavano il fumo, per viaggiare nei regni delle Fate e degli Esseri ultraterreni.
I Vichinghi attribuivano una notevole importanza al Giusquiamo, che conosciamo grazie alle centinaia di semi trovati nelle tombe.
Una donna conosciuta come la donna Fyrkat è stata portata alla luce in Danimarca, con indosso un sacchetto di semi di Giusquiamo.
Il primo documento conosciuto, che menziona gli usi germanici della pianta, risale al tempo del vescovo Burchard von Worms, che morì nel 1025.
Esso descrive un confessionale in grande dettaglio, che illustra un rituale della pioggia:
“… raccolgono diverse ragazze e scelgono tra queste una piccola fanciulla come una specie di leader. La spogliano e la portano fuori dall’insediamento in un posto dove possono trovare Giusquiamo, che è noto come Bilsein in tedesco. Le fanno tirare fuori questo con il mignolo della mano destra e legano la pianta sradicata al mignolo del piede destro con qualsiasi tipo di corda. Quindi le ragazze, ognuna delle quali tiene una verga tra le mani, conducono la suddetta fanciulla al fiume successivo, trascinandosi dietro la pianta. Le ragazze poi usano le bacchette per cospargere la giovane fanciulla con acqua di fiume, e in questo modo sperano di far piovere con la loro magia. Prendono la giovane fanciulla, nuda com’è, che posa i suoi piedi e si muove come un granchio, per le mani e la conducono dal fiume indietro all’insediamento “.
I semi del Giusquiamo servivano come fumiganti per le arti necromantiche e per evocare i morti per i praticanti magici del Rinascimento.
L’occultista fondatore Henry Cornelious Agrippa scrive nel 1531:
“Così, dicono, che se il coriandolo, il piccione, il Giusquiamo e la cicuta si trasformano in un fumo, gli spiriti si riuniranno subito; per questo sono chiamate erbe dello spirito. Inoltre, si dice, che il fumo fatto dalla radice dell’erba canina sagapen, con il succo di cicuta e Giusquiamo, e l’erba tapsus barbatus, levigatrici rosse e papavero nero, facciano apparire spiriti e strane forme; e se si aggiunge loro un po’ di piccolezza, il fumo scaccia gli spiriti da qualsiasi luogo e distrugge le loro visioni “.
La radice del Giusquiamo era anche usata come amuleto.
Alessandro di Tralles (550 d.C.) prescriveva spesso una miscela fatta con un amuleto di Giusquiamo e sagge parole progettate per creare protezione magica.
Egli era un seguace dello Gnosticismo, un movimento religioso complesso che fiorì nell’era pre e paleocristiana.
Uno dei suoi amuleti prescritti era, appunto, la radice di Giusquiamo appesa al collo di un paziente, per un magico sollievo dal dolore.
Poi ancora per la gotta: “un po’ di Giusquiamo, quando la luna è in Acquario o Pesci, prima del tramonto, deve essere scavato con il pollice e il terzo dito della mano sinistra”.
In Germania si credeva anche che il Giusquiamo producesse sterilità nella terra e nel bestiame. (Thiselton-Dyer).
Poiché l’aumento delle tempeste e la rovina dei raccolti e del bestiame erano tra le accuse più comuni, poste alle “streghe” accusate dal popolo, non è impossibile che questo folclore tedesco possa derivare dall’associazione della pianta con le streghe; se le streghe, infatti, sollevavano tempeste e rovinavano i raccolti, forse lo facevano con Giusquiamo e altre piante nocive.
D’altra parte, se il bestiame era stato avvelenato da foraggi contenenti Giusquiamo (e altre piante simili), potrebbe essere stato più facile presumere, che la morte improvvisa e inspiegabile delle bestie fosse dovuta alla stregoneria, piuttosto che tentare di scoprire cosa li aveva uccise davvero.
Gli antichi Greci credevano che le persone sotto l’influenza dell’erba, diventassero profetiche, e si dice che le sacerdotesse dell’Oracolo di Delfi avessero inalato il fumo dal Giusquiamo fumante.
Questa pianta era così intimamente legata ai pensieri di stregoneria, che il possesso di essa era sufficiente per condannare una persona per stregoneria.
Ci sono molte menzioni nei processi alle streghe del XVI e XVII secolo, come prova di intenti malevoli.
Il Giusquiamo era anche usato come ingrediente nella birra psicoattiva, che fu messa al bando, con le leggi bavaresi sulla purezza nel 1516.
Anche se l’uso di questa pianta nei rituali era in particolare come incenso (semi), i Tedeschi amavano le birre al Giusquiamo, quindi piantarono giardini di Giusquiamo solo per questo scopo, i quali erano sotto la protezione di Odino, padre di Donar.
Questi giardini di Giusquiamo hanno lasciato il segno nella storia della Germania con nomi di luoghi come Bilsensee (lago di Giusquiamo) e Billendorf (villaggio di Giusquiamo).
Quindi, come detto sopra, con l’avvento delle leggi bavaresi sulla purezza della birra, il Giusquiamo fu bandito dall’uso popolare, per essere poi riscoperto da parte di coloro che avevano fame di magia secoli dopo.
Henbane Pilsener (pilsener di Giusquiamo)
– 20 litri di acqua
– 1 litro di malto
– 1/2 litro di miele
– 40 grammi di Giusquiamo foglie essiccate
– lievito per birra (la quantità dipende dal prodotto)
Trova un contenitore abbastanza grande da contenere tutti gli ingredienti.
Cuoci il Giusquiamo in acqua per 5-10 minuti.
Nel frattempo, sciogliere il malto in un paio di litri d’acqua, sciogliervi il miele e aggiungere l’acqua delle foglie di Giusquiamo.
Quindi aggiungere il lievito. Potrebbe essere utile aggiungere un po’ più di lievito di quanto raccomandato, perché gli alcaloidi influenzano il lievito.
Non sigillare il contenitore, in quanto potrebbe esplodere.
L’infuso dovrebbe iniziare a fermentare dopo circa un giorno e la fermentazione dovrebbe terminare dopo 4 o 5 giorni.
La birra è ora pronta per essere bevuta.
Puoi anche imbottigliarla, nel qual caso puoi aggiungere qualche goccia di miele a ciascuna bottiglia e lasciarla fermentare per un’altra settimana o due.
Servire preferibilmente freddo.
Conservare come una normale birra.
Un’ ultima curiosità.
Sere fa ho visto un bellissimo thriller del 2018: “Paziente 64 – Il giallo dell’isola dimenticata”, di Jussi Adler-Olsen, diretto da Christoffer Boe, con Nikolaj Lie Kaas e Fares Fares.
Narra di due poliziotti che, mentre indagano su alcune sparizioni sospette, ritrovano tre corpi mummificati seduti attorno a un tavolo, con un quarto posto rimasto vuoto. Mentre tentano di svelare l’identità delle tre mummie e di capire a chi fosse destinato il posto libero, scoprono che le ultime persone che hanno abitato quell’appartamento sono collegate al famoso ospedale sull’isola di Sprogø (Danimarca), luogo in cui venivano internate e sottoposte a sterilizzazione forzata le donne che all’epoca erano considerate promiscue o con inclinazioni omosessuali.
Si scoprono così gli orrori commessi nella struttura, che rappresentano una delle pagine più deprecabili nella storia della Danimarca, ma man mano che le indagini proseguono emergono elementi che fanno ritenere che gli esperimenti, che si compivano a Sprogø, continuano anche nel presente.
La struttura sull’isola in cui è ambientata la narrazione esiste veramente: fu attiva dal 1922 al 1961, e si trattava di un vero e proprio centro d’internamento per giovani donne indesiderate dalla società (a cominciare dai loro genitori), per i loro comportamenti giudicati trasgressivi o asociali.
Essa rappresenta una delle pagine più deprecabili nella storia della Danimarca.
Ma la curiosità di cui parlavo, sta nel fatto che il Giusquiamo è un po’ l’elemento dominante della narrazione in quanto, dall’inizio alla fine, è nominato ed usato.
Viene usato come infuso e bevuto dalle ragazze dell’isola di Sprogø come allucinogeno, a parer loro, con effetti simili alla marijuana, ma anche bevuto dai protagonisti in età adulta.
Oltre ad essere la causa della morte delle tre mummie, perché somministrato in dosi massicce e, quindi, mortali.