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Valeriana è un genere di piante appartenenti alla famiglia delle Caprifoliaceae, che comprende circa 150 specie, utilizzate prevalentemente come calmante naturale.
La più famosa è senz’altro Valeriana officinalis, di origine europea e di alcune zone dell’Asia, che può raggiungere i 150 cm d’altezza, presenta rizoma, fusto eretto e radici con odore sgradevole e penetrante.
Le foglie sono opposte, i fiori hanno colorazione dal bianco al rosa e sono leggermente profumati, il frutto provvisto di setole piumose che si disperdono per mezzo del vento.
Il nome ha diverse interpretazioni circa la provenienza:
1) deriva dal latino “valere”, ossia stare bene in salute;
2) deriva dal X sec., dalla provincia ungherese Pannonia Valeria, in cui la pianta era abbondante;
3) deriva da diversi personaggi latini di nome Valerius o Valerianus;
4) deriva dal sassone “baldrian”, collegato al Dio della luce Baldur, alludendo alle proprietà magiche della pianta come scaccia-diavoli.
Altri nomi popolari sono: All-heal, Amantilla, Cappon’s tail, Cat’s valerian, Fu, Garden heliotrope, Garden valerian, Genicularis, Marinella, Phu, Setwall, St George’s Herb, Terdina, Theriacardia, Van, Vandal root, Wenderot.
Questa pianta ha un penetrante e gradevole aroma, quando è fiorita, emanando un gradevole profumo etereo, che risulta particolarmente attraente per i felini: da questa caratteristica deriva il nome popolare “Erba dei gatti“.
La Valeriana era usata come medicamento già nell’antico Egitto.
Nel Medioevo, era considerata una panacea e si dice che Fabio Colonna, famoso scienziato del 1500, abbia curato l’epilessia grazie a questa pianta.
Già gli antichi Greci e Romani conoscevano la Valeriana, che era apprezzata anche come rimedio contro la gotta e le fitte ai fianchi.
Fu solo intorno al 1800 che Christoph W. Hufeland (medico tedesco considerato il promulgatore della Medicina olistica) scoprì le sue proprietà tranquillanti e neurotoniche.
Considerato che la Valeriana conferisce un cattivo sapore quando si fuma tabacco, è pure in grado di aiutare a smettere di fumare.
La radice di Valeriana ha una lunga storia di utilizzo come sedativo, in quanto agisce come un sedativo nel cervello e nel sistema nervoso.
Soprannominata il “valium della natura”, è usata principalmente nei disturbi del sonno, in quanto l’assunzione giornaliera di estratto di radice di Valeriana per via orale sembra migliorarne la qualità, anche se potrebbe essere necessario un uso continuo, prima che l’effetto sia evidente.
ATTENZIONE: la Valeriana è generalmente ben tollerata, ma se ne deve fare un uso non prolungato, onde evitare alcuni effetti collaterali che possono essere anche gravi.
Inoltre, potrebbe causare sintomi di astinenza, se interrotta dopo un uso a lungo termine.
Pertanto è meglio ridurre lentamente la dose nell’arco di una o due settimane, prima di interromperla completamente.
Infine, non assumere la Valeriana durante la gravidanza o l’allattamento, non darla a bambini o adolescenti, a meno che non sia raccomandata e monitorata da un medico.
Le radici, i rizomi e gli stoloni della Valeriana sono usati per fare integratori alimentari come capsule e compresse, così come tisane e tinture.
Altri potenziali benefici della radice di Valeriana includono riduzione delle vampate di calore nelle persone in menopausa e post-menopausa; beneficio nella sindrome mestruale; miglioramento dei sintomi della sindrome delle gambe senza riposo.
Durante entrambe le guerre mondiali, la Valeriana è stata utilizzata come nervino, per trattare lo shock da granata ed è stata inclusa in compresse per aiutare a calmare i cittadini che vivevano sotto la minaccia dei bombardamenti notturni.
Nel folklore, tra i popoli nordici si diceva che Hertha, la Dea dei cicli della vita e delle stagioni, mettesse la Valeriana sul suo frustino, facendo aumentare la velocità del cervo che cavalcava.
Poiché si raccontava che la briglia del cervo fosse fatta di luppolo (Humulus lupulus, Cannabaceae), la combinazione potrebbe aver contribuito a facilitare il viaggio tra i Regni, lo spazio liminale dello sciamano e della strega, o tra la veglia e il sonno.
Si narra che il pifferaio magico di Hamelin si sia messo in tasca la Valeriana, o si sia strofinato con essa, per attirare i topi dalla città, perché ne amano l’odore.
I Greci usavano la Valeriana per allontanare il male, appendendone mazzi alle finestre.
I Celti l’appendevano nelle loro case per scongiurare i fulmini.
Una convinzione riguardante il suo potere era che, se l’avessi lanciata in un combattimento, le persone coinvolte sarebbero decedute all’istante.
Esotericamente, la Valeriana è sempre stata inclusa sia nelle pozioni d’amore che in quelle per dormire quindi, può essere usata nel lavoro magico per offuscare i sensi altrui.
Altri usi magici includono la purificazione, come la consacrazione di strumenti rituali, la promozione della pace, la rottura di fatture e la fornitura di stabilità e felicità.
La Valeriana è usata per radicarsi durante le turbolenze emotive e per favorire la creatività.
Viene anche impiegata per aiutare nella comunicazione durante i conflitti, e connettere gli umani agli Esseri nell’Altro Regno.
Quando si cerca la verità dietro i segreti, si pensa che la Valeriana aiuti ad accedere alla conoscenza nascosta.
La Valeriana è stata a lungo associata all’amore e si ritiene che possieda proprietà magiche, in grado di attrarre partner romantici o migliorare le relazioni esistenti.
Inoltre, avere radici di Valeriana nelle vicinanze, risolve una discussione tra una coppia, pone fine a litigi e crea una famiglia pacifica.
È utile nei rituali di celebrazione di Samhain e Yule, negli incantesimi relativi alla fine del senso di colpa ed al dialogo interiore negativo, allo sviluppo dell’accettazione di sé.
La Valeriana si usa a proprio vantaggio, quando ci si trova in circostanze sfortunate, per scoprire il bene anche in situazioni apparentemente terribili.
È anche utilizzata nella Magia degli animali, in particolare in quella dei gatti e nell’evocazione degli spiriti degli animali.
I fiori o le foglie di Valeriana sono talvolta usati come offerte in rituali e cerimonie, per onorare divinità o spiriti associati all’amore, al sonno o alla divinazione.
A volte, nei rituali è usata come sostituto della terra del cimitero nella Magia nera (per evocare fantasmi che eseguano i propri ordini), oltre ad essere utilizzata per rituali più oscuri, per evocare demoni e spiriti, e come ingrediente in incantesimi funesti.
Gli steli di Valeriana possono essere essiccati ed immersi in sego o olio, quindi usati come torcia per incantesimi e rituali.
La torcia può quindi essere utilizzata per accendere fuochi sacri e, meditare con la sua luce, migliora la chiarezza per una data situazione.
Per evitare visitatori indesiderati, cospargi Valeriana in polvere sulla veranda e pronuncia il loro nome mentre, per eliminare i problemi, scrivili su carta pergamena, quindi bruciala e mescola le ceneri con questa pianta in polvere, quindi seppellisci il tutto.
Infine, ricorda… che un rametto di Valeriana appuntato alla propria veste, induce gli uomini a “seguirti come bambini”…
PIANETA: Giove, Venere, Mercurio, Luna
ELEMENTO: Acqua
SEGNI ZODIACALI ASSOCIATI: Vergine, Acquario
CHAKRA: 2, Svadhisthana (C. sacrale)
Tlachtga, o Tlachta, era una potente Druida nella mitologia irlandese, figlia dell’Arcidruido Mug Ruith, che accompangnava nei viaggi per il Mondo, imparando i suoi segreti magici e scoprendo pietre sacre in Italia.
Essi volavano in una macchina chiamata ‘roth ramach’, la “ruota a remi“.
Nel folclore irlandese, Tlachtga fu violentata da Simon Magus (o dai suoi tre figli), mentre suo padre stava imparando da lui i segreti magici, e diede alla luce tre gemelli Dorb (o Doirb), Cuma (o Cumma) e Muach, nel giorno di Samhain (leggi articolo: https://www.madameblatt.it/2020/11/01/samhain-il-capodanno-celtico/), morendo subito dopo.
I figli di Tlachtga nacquero sulla collina che portava il suo stesso nome.
La collina, situata ad una ventina di km a nord-ovest della collina di Tara (la distesa di torba più sacra d’Irlanda), era il luogo di un grande ‘oenach’ (raduno), dove i Druidi accendevano il ‘bruane Samhna’ (falò di Capodanno) a Samhain.
In seguito, cambiò il suo nome in Ward Hill (o Hill of Ward), collina di Ward.
La collina di Tlachtga all’epoca era il punto in cui i Druidi sentivano, che questo mondo e l’altro mondo erano più vicini al nuovo anno; questa tradizione fu poi fusa con quella di Tara, che sarebbe poi stata associata al Centro santo d’Irlanda.
La collina era costituita da un recinto rialzato, circondato da quattro sponde e fossati con una serie di anelli, che furono rovinati nel 1641 ed era il Tempio sacro alla Dea Tlachtga.
Un’altra versione, narra che la Dea druida Tlachtga arrivò con i Firbolg, molto prima dei Tuatha De Dannan e dei Milesiani.
Il significato del suo nome è “Earth Spear” (Lancia della Terra), probabilmente in relazione al fulmine.
Era figlia del druido capo Mogh Ruith di Munster, che visse al tempo del re Cormac McAirt (metà del III secolo d.C.), anche se potrebbe essere stato un Dio in una forma precedente, ed il suo nome significa ‘devoto della ruota ‘, che probabilmente si riferisce al Sole.
Si dice che Tlachgta, dai rossi capelli, abbia creato una pietra pilastro chiamata Cnamhcaill, che significa “danno osseo”, da un frammento della ruota di suo padre Roth Ramach.
Questa pietra uccideva tutti coloro che la toccavano, accecava coloro che la guardavano ed assordava coloro che l’ascoltavano.
Si pensa, che questo pilastro rappresenti un fulmine, che si legherebbe al significato del suo nome, poiché il fulmine era paragonato ad una lancia scagliata a terra.
Molto probabilmente, Tlachtga non era solo un’antica Dea, screditata e retrocessa dagli scribi cristiani, ma una Dea della morte e della rinascita, del Sole e del Fulmine.
Qualunque siano le circostanze della sua morte, o la paternità controversa, è sicuro che Tlachtga abbia dato alla luce tre maschi: Doirb, Cumma e Muach.
Nella versione più antica della storia, essi divennero sovrani di Munster, Leinster e Connaught, tre province d’Irlanda.
Si diceva che, fintanto i loro nomi fossero stati ricordati, l’Irlanda sarebbe stata al sicuro dal dominio degli estranei.
Certo è, che furono davvero dimenticati e l’Irlanda, come tutti sappiamo, cadde sotto il giogo dei Normanni.
Il triplice parto di Tlachtga e la successiva morte ricordano la doppia nascita e morte di Macha per il dolore, conferendole nel processo, potere sulla Terra, e portando alcuni a vederla come una forma della triplice Dea.
Nonostante sia chiaro che Tlachtga è intimamente legata alla morte simbolica ed alla rinascita della terra a Samhain, la sua storia è stata riscritta e quasi dimenticata, per ridurre il suo impatto e garantire, che lei e il suo tempio sacro fossero dimenticati dalla società tradizionale.
E’ stato svolto un lavoro così efficiente, che la maggior parte dei pagani moderni non è a conoscenza né di lei e dell’antico tempio, né dei suoi legami con Samhain.
Fortunatamente, nonostante i grandi sforzi per eliminare Samhain, (così come altre tradizioni pagane) esiste ancora un legame diretto tra l’antico Fuoco sacro di Tlachtga, la moderna accensione dei falò e l’antica Festa dei morti.
L’augurio è che Tlachtga, questa Dea quasi dimenticata, riprenda il suo legittimo posto all’interno della cultura celtica e, per una rinnovata comprensione del suo significato nel Paganesimo, nella storia della Terra d’Irlanda e nei costumi e tradizioni celtiche, che sopravvivono non solo nelle isole britanniche, ma anche tra noi.
Il Púca (al plurale Púcaí), dall’irlandese ‘spirito, fantasma’, chiamata anche Pooka o Phouka, solitamente è una creatura del folklore celtico, considerata portatrice di buona o cattiva sorte.
Esso può decidere di aiutare o ostacolare le comunità rurali e marine.
Il Púca può avere pelliccia o capelli scuri, o bianchi ed appartiene al genere di creature mutaforma (leggi articolo: https://www.madameblatt.it/2021/06/09/i-mutaforma/), che potevano assumere l’aspetto di cavalli, capre, gatti, cani e lepri, o addirittura assumere una forma umana, includendo varie caratteristiche animali, come orecchie o coda.
Quindi, in alcune storie, sentirai dire che questa creatura ha assunto l’aspetto di un cavallo nero con una criniera selvaggia, i cui occhi dorati brillavano luminosi; in altre, sentirai parlare di persone, che affermano di aver incontrato un Púca che aveva assunto la forma di un essere umano, con i capelli nerissimi ed occhi dorati, ecc.
Questo essere ha controparti in tutte le culture celtiche dei vari Paesi europei.
Per esempio, nella mitologia gallese è chiamato Pwca; in Cornovaglia si chiama Bucca; nelle Isole del Canale (Normandia) è Pouque (e s’intende come una fata che vive vicino a pietre antiche); in altre isole franco-normanne, si trova vicino ai Cromlech (tombe preistoriche, dolmen), ed indicato come Pouquelée o Pouquelaye; in Bretagna, Poulpiquet e Polpegan.
Nella leggenda irlandese, il Púca era noto per apparire solo di notte ed era temuto da molti umani, poiché si diceva che portasse fortuna o sfortuna a coloro a cui si mostrava.
Poteva essere trovato negli angoli rurali dell’Irlanda, anche se pare prediligesse piccoli laghi nelle profondità delle montagne.
In effetti, alcuni di questi laghi sono conosciuti come “Pooka Pools” (“Piscine del Pooka”), traslitterato approssimativamente in “The Demon’s Hole” (“Il buco del Diavolo”).
Le montagne, le colline ed i laghi erano i domini di questa creatura e, a seconda della parte dell’Irlanda in cui si viveva, si pensava che il Púca fosse utile o minaccioso.
Infatti, era noto per aiutare gli agricoltori, ma poteva anche causare il caos.
In generale, tuttavia, la saggezza percepita sosteneva, che un incontro con Púca non era da considerarsi propizio, poiché questa creatura fatata era un presagio di imminente rovina.
Conosciuto per la sua astuzia e arguzia, nonché per le bugie e l’inganno, l’archetipo di Púca è l’imbroglione.
Però è anche uno spirito di fertilità, poiché ha il potere di creare o distruggere, oltre alla capacità del linguaggio umano, e di essere un profeta dotato.
Nel corso degli anni, ho sentito molte storie di persone, che hanno intrapreso un viaggio alla ricerca del Púca e del suo vero nascondiglio.
Tra le più conosciute, una riguarda la storia di un Púca un po’ pazzo.
Si racconta che il Púca assumesse spesso la forma di un cavallo amichevole e si presentasse agli umani stanchi, che di solito erano appena usciti incespicando da una casa o da un pub, un po’ brilli.
Quindi il Púca accompagnava il suo passeggero ubriaco in un terrificante viaggio di ritorno a casa, galoppando all’impazzata per tutta la piccola città rurale.
Il passeggero stanco si rendeva presto conto, che qualcosa non andava, mentre il cavallo saltava oltre le siepi e galoppava per l’area, per tutta la notte, in cerca di modi per spaventare il suo cavaliere.
Il giorno dopo, essendo ancora sotto l’incantesimo del Púca, la persona non ricordava cosa fosse successo.
Questo quindi spiegava perché alcune persone, essendosi ubriacate, riferivano di non avere idea di cosa fosse successo la notte precedente.
Sembra, che l’unico uomo ad aver mai cavalcato con successo un Púca sia stato il Sommo Re d’Irlanda e fondatore della dinastia O’Brien, Brian Boruma Mac Cennetig (941-1014), più comunemente noto come Brian Boru.
Egli riuscì a controllare la magia della creatura, utilizzando una speciale briglia formata da tre peli della coda del Púca.
L’abilità fisica di Brian consistette nel rimanere agganciato sulla schiena della creatura, fino a quando il Púca, esausto, non gli si arrese.
A quel punto, il re costrinse il mutaforma ad accettare due promesse: in primo luogo, che non avrebbe più tormentato i cristiani e rovinato le loro proprietà; e in secondo luogo, che non avrebbe mai più attaccato un Irlandese, tranne coloro che erano ubriachi o erano all’estero con intenzioni malvagie.
Sebbene il Púca fosse d’accordo, sembra aver dimenticato le sue promesse nel corso degli anni.
Per questo, è soprannominato “il principe delle bugie”.
L’altra storia narra di quanto sia facile incontrare un Púca, sulle panchine più solitarie dei parchi.
Infatti, è noto che i Púcaí amano interagire con il mondo umano e, sebbene le loro azioni siano talvolta considerate turbolente, sono spesso utili (anche se si divertono un po’ a recitare).
E’ risaputo di quanto essi godano a farsi delle chiacchierate per ore ed ore, con persone ignare di trovarsi davanti ad un mutaforma, prendendosi il tempo per dare consigli e condividere i loro pensieri sui problemi.
Appena essi vedono una persona sola su una panchina, si avvicinano ed iniziano una conversazione.
Questa creatura mitica è anche ben documentata nella letteratura classica irlandese e britannica.
Il poeta e drammaturgo irlandese William Butler Yeats descrive il Púca come un’aquila, mentre il romanziere e drammaturgo irlandese Brian O’Nolan, che scriveva con lo pseudonimo di Flann O’Brien, ne è stato così ispirato.
Nel suo capolavoro “At Swim-Two-Birds”, presenta un personaggio chiamato Pooka MacPhillemey, un “membro della classe del diavolo”.
“In Sogno di una notte di mezza estate” di William Shakespeare, Puck è uno spirito malizioso ed arguto, responsabile di mettere in moto molti degli eventi dell’opera attraverso la sua magia.
La storia passata registra molti avvistamenti di Púcaí in tutta l’Irlanda, ma il racconto più famoso è quello su uno spirito animale, che ha dato il nome a Poulaphuca (da Pooka Pools) al confine del fiume Liffey, tra le contee di Kildare e Wicklow.
Attualmente questo è il sito di una centrale idroelettrica, dove il fiume scorre attraverso una stretta gola, prima di precipitare di 46 metri in tre fasi.
Lì sotto c’è una piscina, chiamata Hole of Pooka e l’autore irlandese Padraig O’Farrell (1932-2004) racconta questa storia, che è stata ispirata dal racconto scritto da un anonimo di Kildare.
Alla fine, lo scrittore ha aggiunto un poscritto interessante:
“Nel novembre 1813, Kildare Hunt, noto come Killing Kildares, partì.
Dopo aver gustato la tradizionale coppa con staffa all’incrocio di Tipper, vicino a Naas, andò a caccia di volpi senza successo, finchè si avvicinò alla contea di Kildare.
Qui apparve una grossa volpe, che proseguì verso Liffey e, contemporaneamente, apparve un cavallo nero, che non apparteneva a nessuno dei cavalieri.
Era un Pooka!
Il terreno era difficile e la volpe correva veloce, così che vicino a Liffey, solo uno dei membri della caccia, un uomo di nome Grennan, e il cavallo, che in realtà era Pooka, rimasero con il branco.
Mentre stavano guadagnando terreno, la loro preda iniziò a farsi strada attraverso le rocce.
Vedendo il pericolo, Grennan tentò di richiamare i cani, ma il Pooka davanti a loro stava tentando di proseguire.
La volpe si diresse verso la sporgenza sulla parte stretta della gola, vedendo gli occhi rossi del Pooka sputare fuoco, e saltò, mancò la sporgenza e cadde nelle acque turbolente sottostanti.
Il Pooka saltò facilmente attraverso la gola, scomparendo nei boschi, ma un branco di cani, sentendo l’odore della volpe, si gettò a capofitto nell’acqua.
Guardando in basso, Grennan vide la volpe ed i cani, che cercavano disperatamente di mettersi in salvo a nuoto attraverso le onde vorticose; altri cani lanciati contro le rocce stavano urlando di dolore e morendo.
Pianse, mentre la maggior parte del branco andava a fondo. All’improvviso il suo dolore cedette il passo al terrore, quando sentì un nitrito diabolico, come un animale che ride, dal bosco di fronte. Grennan capì allora, che era il Pooka.“
Il Púca esiste anche nell’Irlanda contemporanea, avendo una forte risonanza con gli eventi del recente passato, e non solo simbolicamente.
Il folclorista dell’800 Thomas Crofton Croker, in “Fairy Legends and Traditions” sostiene che il Púca appaia come una vera persona in carne e ossa.
Con le sembianze umane si avvicina a qualcuno, si fa strada nelle sue simpatie, facendo l’amico, e successivamente prevede eventi sfortunati che accadranno a questa persona.
Naturalmente, quando le avversità colpiscono, questa creatura non è mai presente, nascosto nel suo regno soprannaturale, gode della gioia di guardare gli umani sopportare gli effetti di eventi catastrofici.
Novembre è il mese dei Púcaí.
Anticamente in Irlanda, ad Halloween, molti bambini uscivano “durante Púcaí”, ma altri restavano in casa, timorosi delle storie che avevano sentito, su ciò che i Púcaí facevano ai bimbi.
Oggi, invece, esiste il Púca Halloween Festival, che si svolge durante il capodanno celtico a fine ottobre, nelle contee di Meat e di Louth nel cuore dell’Ireland’s Ancient East (costa orientale e parti delle Midlands e delle coste meridionali dell’Irlanda).
È impossibile non venire catturati dalle atmosfere gotiche tra le rovine del Trim Castle, nell’abbazia di St Mary, o lungo le stradine di Drogheda, nella contea di Louth: per tre notti, alla fine di ottobre, a cavallo di novembre, qui si susseguono abbaglianti spettacoli di luci, eventi musicali, narrazioni interattive con teste parlanti e performance musicali, che spaziano dalla musica da camera alla musica elettronica.
Il tutto, quindi, durante il Capodanno celtico, quando vagano gli spiriti di Halloween, quando la luce diventa oscurità ed il velo tra il mondo dei vivi e quello dei morti si assottiglia, e le creature di Samhain, l’antica tradizione irlandese di Halloween, prendono vita.
Vagando nell’oscurità come uno spettro oscuro, lo spirito mutaforma di Púca prende vita, cambiando le sorti di tutti coloro che incrocia il suo cammino, mentre trasforma la notte in un colorato parco giochi di celebrazioni sacre.
Attraverso le spettacolari notti del Festival di Púca, si rende omaggio agli spiriti di Halloween, riaprendo i percorsi di riflessione e celebrazione scolpiti dai viaggiatori oltre 2000 anni fa, ed illuminando il cielo notturno con illuminazioni maestose e soprannaturali.
Anche la città di Athboy è un importante centro della tradizione di Halloween, durante il Festival di Púca.
Antichi manoscritti dicono che The Hill of Ward (la Collina di Ward) era un luogo di grande raduno di Samhain, a fine ottobre.
Infatti, nell’antico capodanno celtico, le regole possono essere infrante e gli spiriti si muovono tra i mondi.
Anche lo spirito mutaforma Púca prende vita, vagando per la notte e cambiando le sorti di coloro che incrociano il suo cammino.
Fai attenzione, potresti incontrarlo anche tu…
La “Magia apotropaica” (dal greco =”allontanare”), o “Magia protettiva” è un tipo di magia inteso a respingere il male o le influenze del male, oltre al danno delle energie maligne, deviando la sfortuna o scongiurando il Malocchio (leggi articolo: https://www.madameblatt.it/2022/01/05/il-malocchio/).
Le culture antiche invocavano regolarmente i poteri di simboli e rituali magici, o apotropaici, per proteggere se stesse ed i loro cari dal male.
Nell’antica Grecia, per queste credenze superstiziose, si usava il termine ‘Deisidaimonia’, che si fondava sulla convinzione che le persone, sia vive che morte, avessero la capacità di inviare sfortuna ed energia negativa ad altre persone.
Per i vivi, potevano farlo contro un nemico, o contro qualcuno che li aveva offesi in qualche modo.
Per i defunti, se non veniva loro concessa un’adeguata sepoltura, o il dovuto rispetto, si credeva che avrebbero perseguitato coloro che avevano fatto loro il torto, portandogli sfortuna come punizione.
Infatti, personaggi e spiriti così vendicativi sono un tema comune nell’antica tragedia greca.
I Greci facevano offerte agli “Dei devianti” (Apotropaioi theoi), divinità ctonie (divinità generalmente femminili, legate ai culti di Dei sotterranei e personificazione di forze sismiche o vulcaniche), i quali garantivano sicurezza e deviavano il male.
Per questo, si usava la Magia apotropaica per allontanare qualsiasi danno, scongiurare il male e deviare la sfortuna inviata da esseri vendicativi.
Nacque, così l’Apotropaion, ovvero un qualsiasi oggetto o simbolo, ritenuto in possesso del potere di proteggere il suo proprietario dall’energia negativa, proprio come un portafortuna.
Poteva essere una statuetta femminile, infilata su una collana da portare al collo, o indossata su una fascia sul corpo, per esempio.
Ma, oltre ad essere esposti sul corpo, le donne usavano spesso amuleti per la protezione dei propri figli, poiché sono stati trovati molti vasi, che raffigurano bambini, che indossano una varietà di amuleti diversi.
Le donne dell’antica Grecia, quindi partecipavano ed usavano i poteri della Magia apotropaica.
Mentre alcune di queste immagini sembrano essere svanite nell’oscurità, se ne possono ancora trovare altre in varie forme, spesso ‘nascoste in bella vista’.
Tradizionalmente trovati incisi o bruciati nelle aree di ingresso, in particolare finestre, caminetti e porte, i simboli apotropaici sono apparentemente comuni negli edifici antichi, con abitanti che temevano gli spiriti maligni.
Essi si ritrovano su case, fienili, chiese e porte delle cantine.
I simboli apotropaici erano più comunemente creati in 3 forme: cerchio, pentacolo e una forma “VV“, mentre meno frequentemente, erano linee diagonali, scatole e labirinti, ed altre centinaia di variazioni su questi temi.
Il più usato era il ‘Fiore della vita’ (o ‘Ruota a margherita’, ‘Daisy wheel’), un simbolo che ricorda un fiore a sei petali racchiuso in un cerchio, simbolo delle streghe.
Si credeva, che la sua linea unica e continua fosse seguita da spiriti maligni e fosse usata per confonderli ed intrappolarli.
Due piccole margherite sono state persino scoperte vicino alla porta, che conduce a una cantina di birra nella casa natale di Shakespeare a Stratford-upon-Avon, e molte si trovano ancora nelle chiese, case ed edifici medioevali.
Molto usato era anche il simbolo del Pentacolo, attualmente associato al Paganesimo, che nel Medioevo era considerato un segno cristiano, intriso del potere di allontanare le streghe.
Infatti, si credeva che i cinque punti su questa stella rappresentassero le cinque ferite di Cristo, ed il Pentacolo era spesso indossato come amuleto protettivo, non era inciso negli edifici.
Oltre ai disegni, si ritiene che varie lettere dell’alfabeto abbiano un potere significativo, a seconda delle loro associazioni.
Il più popolare al culmine dell’uso apotropaico era il “VV“, pensato per evocare la protezione della Vergine delle Vergini, o la Vergine Maria.
Appaiono anche variazioni su questo simbolo, tra cui “AM” per “Ave Maria” e “M” per “Maria”.
Nei villaggi medioevali, gli abitanti attribuivano malattie, raccolti infruttuosi e una serie di disgrazie al male degli spiriti maligni, come streghe, demoni, il diavolo, ecc.
Per questo motivo utilizzavano questi segni rituali, che venivano ritagliati, graffiati o scolpiti nelle travi, nei muri e nelle soglie di case e chiese, nella speranza di rendere il mondo un luogo più sicuro e meno ostile.
Ed erano azioni normali e comuni nella vita quotidiana, mentre oggi sono considerate rappresentazioni inquietanti e curiose di un’Era passata di un popolo superstizioso.
Spesso, nella Magia apotropaica, si utilizzavano animali, come i gatti.
A volte addirittura membri amati della famiglia, quando morivano, venivano sepolti nei muri delle case della gente.
Si credeva, che incastonare il gatto nei muri, avrebbe protetto la casa dalla sventura, dal malocchio e, in alcuni casi, anche dalle streghe.
È interessante notare che coloro che hanno seppellito questi gattini nelle loro mura, non penserebbero mai di aver fatto magie.
Oltre a questi animali, venivano sepolti nei muri delle case per proteggere la famiglia dalla Stregoneria, ‘Bottiglie delle Streghe’ appositamente preparate, teschi di cavallo e scarpe.
Ciò perché la Magia apotropaica è stata così radicata nella storia e nella cultura delle piccole città per decenni, persino secoli, che questa pratica probabilmente sembrava un modo normale per proteggere la propria casa.
In Irlanda, nel giorno dedicato a Santa Brigida (1 febbraio), era consuetudine tessere una ‘Croce di Brigida’ (Cross Bride) di giunco, che veniva appesa a porte e finestre, per proteggere la casa da fuoco, fulmini, malattie e spiriti maligni.
Così come, anticamente a Samhain, era consuetudine tessere una croce di bastoncini e paglia, chiamata ‘Parshell‘ o ‘Parshall‘, che veniva fissata sopra la porta, per scongiurare la sfortuna, la malattia e la Stregoneria.
Nell’antica Grecia, l’immagine più usata, per scongiurare il male, era quella delle Gorgoni, mostri di aspetto stupendo, con ali d’oro, mani di bronzo e serpenti al posto dei capelli.
Chiunque le guardasse direttamente negli occhi, rimaneva pietrificato.
Questa immagine della testa era chiamata ‘Gorgoneion’, ed aveva anche occhi selvaggi, zanne e lingua sporgente.
La gente credeva, che le porte e le finestre degli edifici fossero particolarmente vulnerabili all’ingresso o al passaggio del male, quindi, oltre ad utilizzare le Gorgoni, usavano volti barbuti grotteschi, simili a satiri, spesso con il berretto appuntito, i quali venivano scolpiti sulle porte delle fornaci, per proteggere da incendi ed incidenti.
Successivamente, su chiese e castelli iniziarono ad apparire Gargoyle o altri volti e figure grotteschi, come Sheela na Gig (una serie di sculture medievali rappresentanti donne nude che mostrano una vulva ingigantita) e Hunky punk (incisioni grottesche sui lati degli edifici, in particolare delle chiese tardo gotiche, simile nell’aspetto a un Gargoyle), per spaventare streghe ed altre influenze maligne.
Il legno più utilizzato era quello di Corniolo .
Allo stesso modo, le facce grottesche scolpite nelle Zucche ad Halloween, avevano lo scopo di scongiurare il male, tra l’altro nella stagione di Samhain, il capodanno celtico.
Ciò in quanto, a quei tempi, si credeva che fosse il periodo in cui le anime dei morti ed altri spiriti pericolosi camminavano sulla Terra.
E’ molto interessante sapere che, nell’antica Grecia, si credeva che i ‘Phalloi’ (Falli) avessero qualità apotropaiche.
Spesso, riproduzioni in pietra venivano posti sopra le porte e le versioni tridimensionali venivano erette in tutto il mondo greco.
I più notevoli di questi sono i monumenti urbani trovati sull’isola di Delo.
Il Fallo era anche un simbolo apotropaico per gli antichi Romani, che però lo chiamavano ‘Fascinum’.
Nell’antica Roma, si pensava che l’invidia portasse sfortuna alla persona invidiata, per cui, per non essere invidiati, i Romani cercavano di incitare alle risate i loro ospiti, usando immagini umoristiche, spesso prendendo di mira persone deformi, come i gobbi o i pigmei.
Infatti, essi consideravano la deformità, una condizione comica e credevano che tali immagini potessero essere utilizzate per deviare il malocchio.
Rappresentazioni falliche, per scongiurare il malocchio si trovano ed usano ancora nel Bhutan moderno, associate al monaco buddista, missionario e poeta della tradizione tibetana Mahamudra, Drukpa Kunley.
Anche in Asia meridionale, il simbolo fallico è utilizzato, con il nome di ‘Lingam’.
Rituali magici apotropaici erano praticati anticamente in tutto l’estremo Oriente e in Egitto, dove divinità spaventose venivano invocate tramite rituali, per proteggere gli individui, allontanando gli spiriti maligni.
Nell’antico Egitto, questi rituali eseguiti nelle case, erano personificati dalla divinità associata alla magia stessa, Heka (o Hike).
Altre due divinità più spesso invocate in questi rituali, erano la Dea della fertilità Taweret, sotto forma di ippopotamo e il demone-leone Bes (che si sviluppò dall’antico Dio demone nano apotropaico, Aha, letteralmente “combattente”).
Anche l’acqua era usata frequentemente nei rituali, in cui venivano utilizzati vasi per libagioni a forma di Taweret, per versare acqua curativa su un individuo.
In seguito, quando l’Egitto passò sotto i Tolomei greci, le stele recanti il Dio Horus furono usate in rituali simili: l’acqua veniva versata sulla stele e, dopo aver effettuato rituali poteri curativi, veniva raccolta in una bacinella, per abbeverare un malato.
Tutti questi oggetti venivano spesso usati nei rituali, per facilitare la comunicazione con gli Dei.
Un altro di questi, ritrovato molto spesso, è la bacchetta apotropaica d’avorio, “Zanna di nascita” (Birth tusk), che aveva un’ampia popolarità nel Regno di Mezzo (1550-1069 a.C.) ed era usata, per proteggere le donne incinte ed i bambini dalle forze maligne.
In alcune culture dei Nativi americani, un Acchiappasogni, fatto di filo come una ragnatela, veniva posizionato sopra un letto o una zona notte, per proteggere i bambini addormentati dagli incubi.
L’uso degli oggetti riflettenti era molto apprezzato, in quanto si pensava che deviassero il malocchio.
Per esempio, le “Sfere delle streghe” (Witch’s balls) sono ornamenti in vetro soffiato, simili a palline di Natale, che venivano appese alle finestre.
Allo stesso modo, lo specchio cinese Bagua (o Pa kua) veniva solitamente installato, per scongiurare l’energia negativa e proteggere gli ingressi delle residenze.
Nella cultura occidentale, il Ferro di cavallo era spesso inchiodato sopra o vicino alle porte.
Si credeva anche, che proiettili d’argento, rose selvatiche, crocifissi ed aglio allontanassero o distruggessero i Vampiri.
In Europa, venivano scolpite sulla prua dei velieri, Polene apotropaiche, considerate un sostituto del sacrificio di uno schiavo, durante l’Età delle invasioni da parte di marinai sassoni e vichinghi, per evitare sfortuna durante il viaggio.
Il dragaggio (pulizia dei fondali) del Tamigi sotto il London Bridge ha portato alla scoperta di un gran numero di coltelli, pugnali, spade e monete piegati e rotti, del periodo moderno e risalenti all’epoca celtica.
Sembra che questa usanza fosse quella di evitare la sfortuna, in particolare quando si partiva per un viaggio.
Nel Regno Unito, si pensava che le Gazze portassero sfortuna, per cui si coniavano varie rime o saluti personalizzati, per placarle.
I viaggiatori irlandesi e gli zingari vendevano spesso l’Erica bianca o Limonium bianco, per “portare fortuna”.
In realtà, è difficile distinguere tra oggetti, che dovrebbero scongiurare il male, ed oggetti destinati a portare fortuna, anche se, generalmente, un talismano porta fortuna, mentre un amuleto scongiura o protegge (è quindi apotropaico).
Fatto sta che, ancora oggi, questi oggetti, questi rituali e queste scritture sono utilizzati come ‘portafortuna che allontanano il male’, e quindi credenze superstiziose, ed i loro amuleti associati, non perirono con i loro antichi seguaci.
Piuttosto, molti sono sopravvissuti nel mondo moderno e rimangono una parte importante di numerose culture in tutto il globo.
Per esempio in Australia, in particolare tra le comunità di Greci ed Italiani, è facile vedere che, contro il Malocchio, si indossino anche oggi amuleti come “Occhio di Horus”, oppure di colore celeste-blu.
Ma anche indossare abiti neri ai funerali, è un’antica superstizione, ancora osservata nel Mondo occidentale moderno.
Infatti, anticamente si riteneva che, vestirsi di nero, mostrasse rispetto per il defunto e la sua famiglia, mentre indossare colori vivaci avrebbe insultato il defunto, in quanto sarebbe stato simbolo della luce della vita, di cui il trapassato non poteva più goderne.
Oppure ai matrimoni, oggigiorno piccoli ferri di cavallo di carta sono presenti nei coriandoli.
Insomma, amuleti, talismani e gesti di buona fortuna abbondano nei tempi moderni, così come Ghiande, Quadrifogli, Monete, Dita incrociate, Coccinelle, Dadi, Numeri fortunati, una lista infinita…
I miei inseparabili sono gli specchietti (che restituiscono al mittente l’energia negativa) ed i tintinnii (che tengono lontani gli spiriti malvagi).
Ed i vostri?
SAN MARTINO
“La nebbia a gl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;
ma per le vie del borgo
dal ribollir de’ tini
va l’aspro odor de i vini
l’anime a rallegrar.
Gira su’ ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
su l’uscio a rimirar
tra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero migrar.”
-Giosuè Carducci-
L’Estate di San Martino è un periodo di clima insolitamente caldo all’inizio di novembre, quando si aprono le botti di vino per degustare quello novello accompagnato da castagne arrostite.
Si verifica solitamente intorno all’11 novembre e la sua durata è espressa da un famoso detto popolare che recita:
‘L’Estate di San Martino dura tre giorni e un pochino’
In realtà, la durate del periodo mite, con assenza di precipitazioni e prevalenza di schiarite, non ha un limite specifico secondo la scienza.
L’Estate di San Martino si verifica nell’Emisfero boreale proprio in concomitanza del giorno in cui si celebra il Santo, mentre nell’emisfero australe, lo stesso fenomeno si manifesta tra i mesi di aprile e maggio.
Martino, in seguito Santo, nacque a Sabaria in Pannonia, oggi Ungheria, nel 316 d.C., da genitori pagani.
Venne istruito sulla dottrina cristiana ma non fu battezzato.
Figlio di un ufficiale dell’Esercito romano, si arruolò a sua volta giovanissimo nella cavalleria imperiale, prestando poi servizio in Gallia.
Lasciato l’esercito nel 356, raggiunse a Poitiers il Vescovo Ilario, che lo ordinò esorcista.
Dopo alcuni viaggi, Martino tornò in Gallia, dove fu ordinato prete da Ilario.
Nel 361, fondò a Ligugé una comunità di asceti, che è considerata il primo monastero databile in Europa.
A 18 anni, donò metà del suo mantello ad un povero di Amiens tremante di freddo, e la notte seguente, Cristo gli apparve rivestito di quello stesso mantello: fu allora che decise di farsi battezzare.
Alcuni resoconti dicono, che Gesù restituì miracolosamente l’altra metà del mantello a Martino ma, un’altra versione, narra che Martino incontrò poi un secondo mendicante e diede via anche la seconda metà del suo mantello.
Al suo risveglio, però, trovò il suo mantello integro, il quale venne conservato come reliquia miracolosa ed entrò a far parte della collezione di reliquie dei re Franchi e Merovingi.
In seguito, il termine latino medievale per “mantello corto”, ‘cappella’, venne esteso alle persone incaricate di conservare il mantello di san Martino, i cappellani, e da questi venne applicato all’oratorio reale, che non era una chiesa, chiamato cappella.
Comunque sia, come riconoscimento della buona azione di Martino, di aver donato il suo mantello, Dio mandò un sole improvviso e glorioso, in modo che l’uomo non soffrisse il freddo.
Quindi, la tradizione vuole che la festa di San Martino coincida ogni anno con un periodo di clima più caldo, anche dopo l’arrivo delle prime gelate, la famosa ‘Estate di San Martino’.
Martino morì l’8 novembre a Candes, in Francia, ma la data della sua sepoltura è l’11, data che diventò una festa straordinaria in tutto l’Occidente, grazie alla sua popolare fama di santità e al numero notevole di Cristiani che portavano il suo nome.
Egli divenne Vescovo di Tours nel 371 d.C, anche se qualcuno dissentiva a causa delle sue origini plebee.
Come vescovo, Martino fece costruire monasteri, curò le anime dei suoi fedeli e, secondo la tradizione cristiana, compì diversi miracoli che gli valsero la santificazione.
Il Santo è legato anche ad altre leggende, una è quella delle ‘Oche di San Martino’.
Si narra, infatti che, quando Martino venne acclamato dal popolo come nuovo Vescovo, l’umile prete, che voleva rimanere un semplice monaco, si nascose in un tugurio di campagna.
A smascherarlo, però, fu il gran baccano provocato dalle oche che scorrazzavano per l’aia e quindi Martino, scoperto dai paesani, dovette accettare l’incarico.
Affascinante è anche la storia delle ‘Lanterne di San Martino’.
Durante il seppellimento di San Martino a Tours, partecipò una grande folla composta da gente di tutte le età.
Si trattava di persone grandi e bambini, che amavano San Martino, le quali decisero di accompagnare il santo con luci, torce e lanterne.
Da allora, l’11 novembre quando cala la sera, le bambine e i bambini portano per le strade le loro lanterne, raffigurando una vera e propria Festa della Luce, durante la quale, insieme alle loro famiglie, vanno in processione al buio illuminato dalle lanterne, cantando le canzoni tradizionali.
Un accenno va fatto anche alle tradizioni celtiche pagane.
Infatti, il giorno dell’11 novembre coincideva con la fine delle celebrazioni del Capodanno dei Celti, ‘Samhain’, che si svolgevano proprio nei primi dieci giorni del mese.
Il retaggio di questa festa pagana era ancora presente nell’Alto Medioevo, e la Chiesa sovrappose il culto cristiano di San Martino (il più amato dell’epoca) alle tradizioni celtiche.
Molte usanze di ascendenza precristiana sopravvissero, così, nel corso dei secoli, confluendo nelle celebrazioni di San Martino, che diventò una sorta di capodanno contadino, nel corso del quale si mangiava e beveva in abbondanza.
Anticamente infatti, il periodo di penitenza e digiuno, che precede il Natale, cominciava il 12 novembre e prendeva il nome di “Quaresima di San Martino“.
In molte regioni d’Italia, l’11 novembre è simbolicamente associato alla maturazione del vino nuovo:
‘A San Martino ogni mosto diventa vino’
ed è un’occasione di ritrovo e festeggiamenti, durante i quali si brinda, stappando il vino appena maturato (vino novello), accompagnato da caldarroste.
C’è un altro detto popolare:
‘Fare San Martino’
che si riferisce al fatto che, fino a molti anni fa, nelle aree agricole tutti i contratti di lavoro, o di affitto, mezzadria, ecc, iniziavano l’11 novembre, terminando lo stesso giorno dell’anno successivo.
Questa data era scelta, in quanto in quel periodo i lavori nei campi erano già terminati, senza però che fosse già arrivato l’inverno.
Per questo, scaduti i contratti, chi aveva una casa in uso la doveva lasciare libera proprio l’11 novembre e non era inusuale, in quei giorni, imbattersi in carri strapieni di ogni masserizia, che si spostavano da un podere all’altro, facendo “San Martino”, nome popolare, proprio per questo motivo, del trasloco.
A San Martino, si svolgono varie celebrazioni e festeggiamenti, alcuni molto folcloristici.
Per esempio, la “Processione dei cornuti”, che si svolge a San Valentino in Abruzzo Citeriore (PE), in cui gli uomini sfilano per le strade, indossando grandi corna e portando in processione un simbolo fallico coperto da un velo.
Alla fine della festa, tutti si riuniscono per mangiare il tradizionale spezzatino.
A Scanno (AQ), si mangia la “Pizza con i quattrini”, in quanto San Martino è riconosciuto anche come simbolo di abbondanza e, in suo onore, viene preparata da tutte le famiglie una focaccia di farina gialla, con miele, noci e fichi secchi, al cui interno viene nascosta una monetina.
In quasi tutto il Veneto, l’11 novembre è usanza preparare il ‘Dolce di San Martino’, un biscotto dolce di pasta frolla con la forma del Santo con la spada a cavallo, decorato con glassa di albume e zucchero, ricoperta di confetti e caramelle.
Inoltre, i bambini di Venezia intonano un canto d’augurio, casa per casa e negozio per negozio, suonando padelle e strumenti di fortuna, in cambio di qualche monetina o qualche dolcetto.
Nel palermitano, si mangia ‘u viscottu di San Martino abbagnatu’, biscotti rotondi aromatizzati con semi d’anice, che vengono bagnati nel vino moscato.
Altri dolci tipici di San Martino sono tanti e diffusi in tutta la Sicilia: il ‘tricotto’ (biscotto croccante), il ‘rasco’ (pasta morbida, inzuppata di liquore, ripiena di crema di ricotta) e la versione del biscotto decorato (pasta morbida, scavato e riempito di conserva, glassato e merlettato con zucchero e decorato con un cioccolatino e frangette d’argento).
Nel Salento si gusta il vino novello accompagnato dalle ‘pittule’, pallottole di pasta lievitata e fritta da sola o condita con verdure varie.
Nei Paesi anglosassoni, l’Estate di San Martino è chiamata ‘Indian Summer’, e sembra che sia stata chiamata così, perché questo fenomeno atmosferico fu notato per la prima volta nelle regioni abitate da Nativi americani, (o forse i Nativi lo descrissero per primi agli Europei) e si basava sulle condizioni calde e nebbiose in autunno, quando i Nativi americani cacciavano.
Poiché il clima caldo non era un dono permanente, fu fatto il collegamento con il termine ‘donatore indiano’.
Si pensa anche che il termine si riferisse a leggende storiche dei Nativi americani, che si riferivano a una concessione fatta da un Dio o “Datore di vita” a vari guerrieri o uomini, per consentire loro di sopravvivere dopo grandi disgrazie, come la perdita dei raccolti.
In Svizzera, Germania e Danimarca, il legame del Santo con la celebrazione è dato dalla leggenda dell’oca, che viene cucinata in vari modi, ripiena di fette di mele o castagne, interiora, uvetta passita e miele.
Inoltre, sempre l’11 novembre, in Germania i bambini sfilano la sera per le strade, portando delle lanterne colorate costruite il giorno prima e cantando: ”Laterne, laterne, sonne, mond un sterne” (Lanterne, lanterne, sole, luna, stelle).
La processione è proceduta da un uomo a cavallo, che rappresenta il Santo e, lungo il cammino, i più piccoli con le loro lanterne bussano alla porta delle case, ottenendo dai più grandi soldini e dolcetti.
In Boemia si traggono presagi dall’oca, che viene degustata: se le sue ossa saranno bianche, l’inverno sarà breve e mite.
Se le ossa saranno scure, bisognerà prepararsi ad affrontare un clima rigido con neve e abbondanti precipitazioni.
In Portogallo, un proverbio dice: “assam-se castanhas, prova-se o vinho novo” (“si arrostiscono le castagne, si assaggia il vino nuovo”), oltre a ‘àgua-pé’ (vino ad alta gradazione), ‘jeropiga’ (bevanda a base di mosto, acquavite e zucchero).
In Spagna, il giorno di San Martino si mangia il maiale, come recita il proverbio: “A cada cerdo le llega su San Martín” (“Ogni maiale ha il suo San Martino”).
Stranamente, proprio nella sua terra d’adozione, la Francia, San Martino non è celebrato, ad eccezione dell’Alsazia in cui i bambini, che frequentano le scuole bilingue franco-tedesche, sfilano per le vie con le lanterne.
San Martino è patrono dei pellegrini, dei sommeliers, dei fabbricanti di botti, dell’Arma di Fanteria dell’Esercito, degli albergatori, dei cavalieri, dei mariti traditi, dei mendicanti, dei militari, degli osti, degli ubriachi e dei viaggiatori.
Ormai siamo alla fine dell’Estate, evento convenzionalmente segnato dall’Equinozio di Autunno, il quale cade sempre all’inizio della terza decade di Settembre.
In questo giorno, l’Emisfero boreale passa dall’Estate all’Autunno, e quello australe dall’Inverno alla Primavera.
L’Equinozio, dal latino ‘notte = giorno’, si presenta due volte all’anno, in Primavera e in Autunno.
Ciò avviene in quanto in questi giorni il Sole raggiunge esattamente lo Zenith, ovvero la verticale dell’Equatore, facendo in modo tale che, diventando i raggi solari perfettamente perpendicolari al più lungo dei paralleli, si abbiano uguali ore di luce e di buio.
L’Equinozio autunnale non cade sempre nello stesso giorno, ma varia di poco in base all’anno, solitamente tra il 22 ed il 23 Settembre, in quanto la durata dell’anno solare e del calendario gregoriano non coincidono.
Quest’anno si verificherà il 22 Settembre, alle ore 20:21.
Nella mitologia celtica, Mabon (‘giovane uomo’ o ‘uomo divino’), figlio di Modron (Madre Terra, Dea della fertilità, del ciclo delle stagioni, e dell’oltretomba) e di Mellt, era un Dio della giovinezza, della vegetazione, dei raccolti e della caccia.
Egli, rapito alla madre tre giorni dopo la nascita, fu portato ad Annwn (Oltretomba), in seguito salvato da Culhwch (un cugino di Re Artù) e, a causa del suo periodo trascorso nell’Oltretomba, rimase giovane per sempre.
A Mabon è dedicato uno degli otto Sabbat, che si celebrano il 22 o 23 Settembre nell’Emisfero settentrionale e il 20 o 21 marzo in quello meridionale, ed è la seconda delle tre Feste del Raccolto (Lammas, Mabon e Samhain).
Esso è il punto di perfetto equilibrio nel viaggio attraverso la Ruota dell’Anno, la cui controparte è Ostara, o l’Equinozio di Primavera.
Durante Mabon, la notte e il giorno sono di nuovo della stessa lunghezza e in perfetto equilibrio: oscurità e luce, maschile e femminile, interiore ed esteriore, in equilibrio.
Ma siamo di nuovo sulla cuspide della transizione e, da ora, l’anno comincia a calare, da questo momento l’oscurità comincia a sconfiggere la luce.
Il ciclo del mondo naturale si sta avviando verso il completamento, il potere del Sole sta calando e d’ora in poi le notti si allungheranno e le giornate si accorceranno, facendosi più fresche.
La linfa degli alberi ritorna alle loro radici nel profondo della terra, cambiando il verde dell’Estate nel fuoco dell’Autunno, nei rossi fiammeggianti, negli aranci e negli ori.
Si inizia a tornare al buio, da dove siamo venuti.
Durante Mabon, anticamente molte civiltà celebravano una Festa del Raccolto, come simbolo di ringraziamento.
Infatti, in questo periodo dell’anno gli agricoltori facevano un bilancio di quanto erano andati bene i loro raccolti estivi e quanto erano stati ben nutriti i loro animali.
Ciò determinava se la famiglia avrebbe avuto cibo a sufficienza per l’inverno.
Inoltre, Mabon era una festa di ringraziamento per i frutti della terra e sottolineava la necessità di dividerli con gli altri, per assicurarsi la benedizione del Dio e della Dea, durante i mesi invernali.
Oltre al buon raccolto, si pregavano Dei e Dee, affinché lo facessero durare tutto l’inverno, allestendo banchetti, fuochi, offerte e sacrifici.
Questo è il motivo per cui le persone, in questo periodo dell’anno, erano solite ringraziare per i raccolti, gli animali e il cibo.
L’originale ‘Festa del Ringraziamento’ americana, per esempio, originariamente era celebrata il 3 ottobre, a ridosso del raccolto, ed aveva molto più senso rispetto allo spostamento a fine novembre, periodo in cui viene festeggiata ai tempi odierni: alla fine di novembre non resta molto da raccogliere.
Per lo stesso motivo nel 1700, i Bavaresi inventarono una festa che iniziava nell’ultima settimana di settembre, chiamata ‘Oktoberfest’, celebrata ancora oggi.
Celebrazioni simili sono:
-‘Mid-Autumn Festival’ in Cina. Si festeggia con il Compleanno della Luna. I Cinesi celebrano questo periodo dell’anno, cuocendo torte fatte di riso raccolto per onorare la luna che, in cambio, li benedirà con abbondanza.
-‘Mehregan’ in Iran, celebrazione della vita, delle stagioni che cambiano, di Dio e della gioia. Il giorno Mehr nel mese Mehr corrispondeva al giorno in cui i contadini raccoglievano i loro raccolti. Celebravano così anche il fatto che Ahura Mazda (Dio, creatore del Mondo sensibile e di quello sovrasensibile, della religione zoroastriana) aveva dato loro del cibo per sopravvivere ai prossimi mesi freddi.
Oggi, a Mabon molti gruppi pagani scelgono di fare una grande festa con la famiglia e gli amici, usando cibi come mele, uva, zucche, ortaggi a radice e altri prodotti di stagione.
Solitamente, si riuniscono nelle foreste o in casa, ma anche in alcuni siti naturali antichi come, per esempio, Stonehenge.
In questo luogo essi celebrano l’Equinozio d’Autunno, osservando il sorgere del sole sopra le famose pietre.
Uno dei modi più semplici e divertenti, per celebrare Mabon, è decorare la tua casa per l’Autunno.
Potresti portare fiori e zucche freschi o secchi, da posizionare in tutta la cucina e in altri spazi abitativi.
Oppure, se sei fortunato ad avere fiori da taglio nel tuo giardino, o alberi da cui raccogliere ghiande e pigne, o puoi andare al mercato del contadino locale o a fare una passeggiata nei boschi, potresti ricavare molte decorazioni Mabon per la tua casa.
Potresti anche, prima di andare a letto, accendere una candela, chiudere gli occhi e respirare profondamente per cinque minuti, ringraziando per tutte le tue benedizioni.
Un’altra cosa interessante da fare a Mabon, include praticare la ‘Magia delle Mele’.
La Mela è una figura molto significativa in molte tradizioni sacre.
È un simbolo di vita e immortalità, guarigione, rinnovamento, rigenerazione e integrità, associata alla bellezza, alla lunga vita e alla giovinezza restaurata.
Per i Pagani, la Mela contiene un “segreto”:
“Se tagli una Mela a metà e l’osservi con nuovi occhi, troverai un pentacolo contenente semi.
I cinque punti (semi) rappresentano gli elementi di Terra, Aria, Fuoco, Acqua con lo Spirito in alto, e quindi anche le direzioni di Est, Sud, Ovest, Nord e Dentro.
Un cerchio attorno al pentacolo rappresenta l’eterno cerchio/ciclo della vita, della natura e della totalità.
Nel rituale e nella cerimonia, il pentacolo corrisponde all’elemento della Terra e si crede che sia una protezione contro il male, sia per la persona che per la casa.
Quindi, esso si usa indossato come amuleto, o per proteggere gli ingressi di casa attraverso porte e finestre.
Puoi anche riempire un cesto di Mele e metterlo sul tuo altare dedicato a Mabon, lasciandolo per tutta la notte.
Il mattino seguente lascerai le Mele in giardino, o in campagna, come ringraziamento ed offerta alla Madre Terra.”
Mabon è una festa ed anche un momento di riposo, dopo la fatica del raccolto.
In termini di percorso di vita, è il momento di raccogliere ciò che hai seminato, il tempo per guardare le speranze e le aspirazioni e riflettere su come si sono manifestate.
È tempo di completare i progetti, di sgombrare e lasciare andare ciò che non è più voluto o necessario, mentre ci prepariamo alla discesa, in modo che l’Inverno possa offrire un momento di riflessione e pace.
Ed è ora di ‘piantare semi’ di nuove idee e speranze, che resteranno sopite ma nutrite nell’oscurità, fino al ritorno della Primavera.
È anche un buon momento per riflettere sulla Ruota dell’Anno, riconoscere i tuoi successi e lasciar andare le cose, che non ti sono servite negli ultimi dodici mesi.
Ciò è utile, per stabilire intenzioni che comportino diminuzione o riduzione, come per esempio porre fine a cattive relazioni, abitudini malsane o convinzioni autodistruttive.
Se decidi di celebrare Mabon, prova a trovare uno spazio tranquillo e sfruttare questa ottima occasione, per liberare il bagaglio dell’anno passato e fissare alcuni nuovi obiettivi personali.
PER ONORARE MABON
Simboli: Cornucopia, pigne, semi
Colori: arancione, rosso, giallo, marrone, rame, giallo scuro, verde scuro
Alimenti: mais, fagioli, zucca, mele, zucche, sidro, ortaggi a radice, melograno, vino
Erbe: achillea, rosmarino, salvia, artemisia, rosa canina
Pietre: ambra, citrino, occhio di gatto, avventurina, zaffiro, diaspro
Fiori: girasoli, cardo, settembrini, cosmea
Divinità: Mabon, Green Man, Demetra, Persefone, Morgana, Pomona, Inanna
Animali: gufo, cervo, merlo, salmone
Secondo la mitologia greca, Tritone era un semidio del mare, figlio di Poseidone e Anfitrite, Dei del mare.
Tritone viveva con i suoi genitori, in un palazzo d’oro in fondo al mare Egeo e possedeva il dono della profezia.
Come messaggero di Poseidone, Tritone cavalcava sul dorso di creature degli abissi, per portare rapidamente messaggi a tutte le zone del dominio di Poseidone, ma aveva anche la capacità di cavalcare le onde da solo.
Tritone era solitamente rappresentato con sembianze umane nella parte superiore del corpo, la coda di pesce nella parte inferiore.
Tritone portava spesso un tridente, una lancia a tre punte, simile a quella portata da suo padre.
In seguito fu spesso raffigurato con una conchiglia, che suonava per calmare o sollevare le onde, ma anche per spaventare i giganti nemici, che pensavano che i suoni fossero i richiami di animali selvatici in avvicinamento.
Tritone era padre di Pallade, la ninfa del Lago Tritonide, nonché figura paterna adottiva della dea Atena.
Pallade e Atena furono allevate come sorelle, ma erano molto combattive e spesso duellavano tra loro.
Durante un incontro, Atena uccise accidentalmente Pallade, e in onore della sua “sorella” morta, Atena assunse l’epiteto Pallade.
Tritone appare occasionalmente nei racconti mitologici.
Uno dei più famosi, è la storia poetica degli Argonauti, di Apollonio, che narra la storia di Giasone e del suo viaggio per recuperare il vello d’oro, dall’isola immaginaria della Colchide.
Racconta della relazione di Giasone con la pericolosa principessa Medea e dei mari insidiosi, affrontati dagli Argonauti, i marinai della sua nave Argo.
Tritone li aspettava nella sua casa sul lago salato Tritonide, nell’antica Libia.
Dopo che una tempesta bloccò Giasone e i suoi uomini nel deserto libico, furono costretti a portare la loro nave al lago.
Il semidio li aiutò a tornare in mare,riportando l’ Argo e il suo equipaggio sulla rotta, dopo che si era perso e si dibatteva nelle paludi.
Tritone appare anche nell’Eneide (Virgilio) quando Miseno, il trombettista di Enea, sfida arrogantemente il figlio di Poseidone a una gara con la conchiglia.
Ma questa gara non ebbe mai nemmeno luogo, poiché Tritone gettò Miseno in mare.
La figura del Tritone ha una reputazione feroce per evocare tempeste, affondare navi e annegare marinai.
Si dice che un gruppo particolarmente temuto, i “Blue Men of the Minch”, dimori nelle Ebridi Esterne, al largo della costa della Scozia.
Sembrano uomini normali (dalla vita in su comunque) con l’eccezione della loro pelle tinta di blu e delle barbe grigie.
Sono molto forti e possono essere visti nuotare e immergersi con piacere, quando il mare è agitato.
Quando dormono, in grotte sottomarine, il tempo è bello ed il mare è calmo.
Tuttavia, quando sono svegli possono evocare tempeste ogni volta che vogliono.
Queste creature, che hanno le dimensioni e la forma degli umani, Seguendo le barche che navigano nelle acque della zona possono essere amichevoli nei confronti degli esseri umani, ma questo può dipendere dal loro umore e se vengono trattati con rispetto.
La tradizione locale afferma che, prima di assediare una nave, i Blue Men spesso sfidino il suo capitano a una gara in rima; se il capitano è abbastanza veloce di arguzia e abbastanza agile di lingua, può battere gli Uomini Blu e salvare i suoi marinai da una tomba acquosa.
Gli abitanti delle Ebridi raccontano, che si versava birra nell’acqua come dono, per convincere gli Uomini Blu a lasciare le alghe sulla spiaggia come fertilizzante.
In loro onore, c’era la tradizione della gente del posto, di accendere una candela in riva al mare, la notte della festa celtica di Samhain (leggi articolo).
Inoltre, si credeva anche che gli Uomini Blu di Minch fossero una personificazione delle acque, spesso pericolose, in cui vivevano.
Come i mari, il loro umore poteva cambiare rapidamente e potevano causare il naufragio delle navi e la morte del loro equipaggio e dei passeggeri.
«Lo stretto che si trova tra l’isola di Lewis e le isole di Shant
è chiamato “Sea-stream of the Blue Men”.
Sono di dimensioni umane e hanno una grande forza.
Di giorno e di notte nuotano intorno e tra le isole Shant,
e lì il mare non si ferma mai.»
-Donald Alexander Mackenzie, nel suo libro “Wonder Tales from Scottish Myth and Legend”, 1917-
Le leggende giapponesi hanno una versione di Tritone chiamata “Kappa”.
Essi sono spiriti acquatici grandi come bambini, ma con facce scimmiesche e gusci di tartaruga sulla schiena.
Sembrano più animali che umani e risiedono nei laghi, nelle coste e nei fiumi giapponesi.
Come gli Uomini blu, i Kappa a volte interagiscono con gli umani e li sfidano a giochi di abilità, in cui la pena per la sconfitta è la morte.
Si dice che i Kappa abbiano appetito per i bambini e per quelli abbastanza sciocchi da nuotare da soli in luoghi remoti, ma apprezzano soprattutto i cetrioli freschi.
Tritone è anche il nome, dato in suo onore alla più grande luna di Nettuno.
“La vita è un sogno da cui ci sveglia la morte”
(Hodjviri)
Il Giorno dei Morti è la festività che la Chiesa cattolica dedica alla commemorazione dei defunti.
La festa ha origini antiche, che uniscono Paesi lontani per epoche e distanze.
Il rito della commemorazione dei defunti sopravvive alle epoche ed ai culti: dall’antica Roma, alle civiltà celtiche, fino al Messico e alla Cina, è un proliferare di riti, in cui il comune denominatore è consolare le anime dei defunti, perché siano propizie per i vivi.
La data del festeggiamento è il 2 novembre, perché civiltà antichissime già celebravano la festa degli antenati o dei defunti, in un periodo che cadeva proprio tra la fine di ottobre e i primi giorni di novembre.
Per la tradizione celtica, la festività più conosciuta era quella della notte di Samhain, tra il 31 ottobre e 1 novembre, in cui si festeggiavano tutti i morti e tutte le anime.
Con l’affermarsi del Cristianesimo molti culti definiti pagani furono ostacolati e, nel 835, Papa Gregorio II spostò la festa di “Tutti i Santi” dal 13 maggio al 1° novembre.
In seguito nel 998, Odilo, abate di Cluny, inserì nel calendario cristiano il 2 novembre, come data per commemorare i defunti.
Durante questa festività le persone ricordavano i propri scomparsi travestendosi da santi o diavoli e accendendo grandi falò.
Per fare ciò, si utilizzava una sorta di galateo: si lasciava loro del cibo, gli si puliva le tombe, si rifacevano i letti affinché il morto che ritornava potesse riposare, si lasciava un lume acceso affinché nessuno perdesse la via e, così come veniva, sapesse anche andarsene.
In cambio si chiedeva ai defunti di vigilare, nel regno che compete, sulla prosperità della comunità, sulla fertilità del clan.
In alcune zone della Lombardia, la notte tra l’1 e il 2 novembre si mette in cucina un vaso di acqua fresca, affinché i morti possano dissetarsi.
In Friuli, si lascia un lume acceso, un secchio d’acqua e un po’ di pane.
Nel Veneto, per scongiurare la tristezza, nel giorno dei morti gli amanti offrono alle promesse spose un sacchetto, con dentro fave in pasta frolla colorata, i cosiddetti “Ossi dei Morti”.
A Treviso si mangiano per la ricorrenza focacce particolari chiamate “i morti vivi”.
In Trentino, le campane suonano per molte ore, per chiamare le anime, che si dice si radunino intorno alle case per spiare alle finestre. Per questo, la tavola si lascia imbandita ed il focolare resta acceso durante la notte.
Anche in Piemonte e in Val d’Aosta, le famiglie lasciano la tavola imbandita e si recano a far visita al cimitero. I Valdostani credono, che dimenticare questa abitudine significhi provocare tra le anime un fragoroso “tzarivàri” (baccano).
Nelle zone cremonesi, ci si alza presto la mattina e si rassettano subito i letti, affinché le anime dei cari possano trovarvi riposo. Si va poi per le case a raccogliere pane e farina, con cui si confezionano i tipici dolci detti “ossi dei morti”.
In Liguria, il giorno dei morti si preparano i “bacilli” (fave secche) ed i “balletti” (castagne bollite).
Tanti anni fa, alla vigilia del giorno dedicato ai morti, i bambini si recavano di casa in casa per ricevere il “ben dei morti” (fave, castagne e fichi secchi), poi dicevano le preghiere ed i nonni raccontavano storie e leggende paurose.
In Umbria si producono tipici dolcetti devozionali a forma di fave, detti “Stinchetti dei Morti”, che si consumano da antichissimo tempo nella ricorrenza dei defunti, volendo mitigare il sentimento di tristezza e sostituire le carezze dei cari che non ci sono più.
Sempre in Umbria, si svolge ancora oggi la Fiera dei Morti, una sorta di rituale che simboleggia i cicli della vita.
In Abruzzo, oltre all’usanza di lasciare il tavolo da pranzo apparecchiato, si lasciano dei lumini accesi alla finestra, tanti quante sono le anime care, ed i bimbi vanno a dormire con un cartoccio di fave dolci e confetti, come simbolo di legame tra le generazioni passate e quelle presenti.
Nel Lazio, la tradizione voleva che, il giorno dei morti, si consumasse il pasto accanto alla tomba di un parente, per tenergli compagnia.
Altra tradizione romana era una suggestiva cerimonia di suffragio, per le anime che avevano trovato la morte nel Tevere.
Al calar della sera, si andava sulle sponde del fiume al lume delle torce e si celebrava il rito.
In Sicilia, il 2 novembre è una festa particolarmente gioiosa per i bambini.
Infatti vien fatto loro credere che, se sono stati buoni ed hanno pregato per le anime care, i morti torneranno a portar loro dei doni.
Quando i piccoli dormono, i genitori preparano i tradizionali “pupi di zuccaro” (bambole di zucchero), con castagne, cioccolatini e monetine e li nascondono.
Al mattino, i bimbi iniziano la ricerca, convinti che durante la notte i morti siano usciti dalle tombe per portare i regali.
In Sardegna, la mattina del 2 novembre, i ragazzi si recano per le piazze e vanno di porta in porta, chiedendo delle offerte e ricevendo in dono pane fatto in casa, fichi secchi, fave, melagrane, mandorle, uva passa e dolci.
La sera della vigilia si accendono i lumini e si lasciano la tavola apparecchiata e le credenze aperte.
In Calabria invece, era consuetudine recarsi nei cimiteri in corteo.
Giunti in prossimità delle tombe, si recitavano benedizioni e preghiere per entrare in contatto con i defunti.
Dopo il rito, era consuetudine banchettare direttamente sulle tombe dei propri congiunti, invitando a mangiare chiunque fosse nei paraggi.
In generale, in tutta la Puglia la vigilia del giorno dei morti, esiste tutt’oggi l’usanza di imbandire la tavola per cena, completa di pane acqua e vino, per permettere ai morti che faranno visita alla casa di rifocillarsi.
Più grande ed invitante sarà il banchetto, maggiore sarà la possibilità che i defunti restino in casa fino a Natale ed in alcuni casi fino al giorno dell’Epifania.
Nel nord della Puglia, c’è la tradizione di preparare “il Grano dei Morti”, o Colva, biscotti a base di grano cotto, melagrana, uva, cioccolato e frutta secca, ma anche vincotto (mosto fresco a base di uva ma, per gli intenditori, il “vero vincotto” è a base di fichi).
Si tratta di una ricetta antica, che affonda le proprie radici in epoca romana, quando si usava consumare grano bollito benedetto durante la funzione religiosa.
Nella ricetta non mancano, comunque, i riferimenti alla mitologia greca ed in particolare al mito di Kore o Persefone (per i latini Proserpina), figlia di Zeus e della dea delle messi Demetra (Cerere nella mitologia latina), che venne rapita da Ade e trattenuta nel regno dell’oltretomba, dal quale non poteva tornare, per aver mangiato dei chicchi di melograna.
Demetra, che donava copiosi raccolti, disperata per aver perso sua figlia, smise di far crescere le messi, costringendo la terra ad un lungo inverno improduttivo. Solo un compromesso tra Zeus ed Ade consentì a Persefone di poter fare ritorno tra i vivi soltanto per alcuni mesi dell’anno, durante i quali, con la madre felice di avere la figlia accanto, faceva rifiorire la natura e germogliare la terra.
Nel Subappennino dauno, c’era l’usanza di svuotare le zucche e scolpirle con le fattezze di un teschio.
All’interno si ponevano delle candele, che ne illuminavano il mostruoso volto. Venivano chiamate “cocce priatorje” e con loro si decoravano le vie del paese, accendendo anche falò di rami di ginestre ad ogni crocevia.
Anticamente, questa festa era chiamata “Fuuc acost”.
Ed ora diamo uno sguardo al Mondo…
In India, la festa dei morti si chiama “Diwali” (Festa delle luci).
Per l’occasione, infatti, vengono accese delle lampade che, secondo le tradizioni, dovrebbero riportare in vita il sole morente.
La ricorrenza cade tra ottobre e novembre.
In concomitanza al quinto giorno di festeggiamenti, le sorelle preparano per i fratelli un buon bagno ed un ottimo pranzo.
Un modo per ricordare la nascita dell’umanità procreata dal Dio della morte Yama, unitosi alla sorella Yami.
Si crede, infatti che, per l’occasione, gli spiriti ritornino sulla Terra, invocati dalle preghiere.
In Giappone, i morti vengono festeggiati in luglio.
Il periodo è quello di “OBon”, che si apre con il “kama buta tsuitachi” (il primo coperchio della marmitta).
Infatti, il mondo degli Inferi è paragonato ad un enorme calderone che, in quei giorni, viene scoperchiato per permettere alle anime di risalire nel mondo dei vivi.
Si racconta che, appoggiando l’orecchio al terreno, non sia difficile sentirne le voci.
In segno di benvenuto, lungo la via del cimitero vengono accesi dei fuochi e le tombe sono ripulite.
Le anime degli antenati sono “buone” e portano prosperità, mentre quelle appartenenti a persone senza famiglia o morte violentemente sono pericolose.
Per le strade ci sono tavoli con dolcetti che solo i bambini possono assaggiare.
Al terzo e ultimo giorno, il cibo avanzato viene deposto fuori dai villaggi ed i fiumi si illuminano delle lampade votive accese sulle barchette di paglia abbandonate alla corrente.
In Messico, dove si celebra il “Día de los Muertos”, la festa è legata ad una tradizione ancestrale, secondo cui i morti tornerebbero in vita in alcuni giorni dell’anno, dura dal 30 ottobre al 2 novembre.
La commemorazione è un rito allegro e ironico: il simbolo della festa, le “calaveras”, sono infatti teschi e scheletri sorridenti di cartapesta sotto forma di pupazzi, o dolciumi.
Vengono offerti fiori bianchi e ceri, per i bambini morti prima di essere battezzati.
ll primo novembre, tra i rintocchi delle campane, arrivano i defunti adulti.
In questi giorni viene preparato il cosiddetto “pane dei morti” e composizioni di ghirlande di legno con foglie di palma.
I fidanzati si giurano amore eterno su delle piccole bare di zucchero, che si aprono facendo far capolino un simpatico piccolo scheletro.
In Cina, i morti sono festeggiati ai primi di aprile, nella festa di “Qingming” (Festa della Luminosità Pura).
L’osservanza di questa festività è stata reinserita come festività nazionale pubblica nella Repubblica Popolare Cinese nel 2008.
Tradizionalmente, prima dell’epoca moderna, la gente portava con sé alle tombe un gallo vivo.
Oggi, i cinesi ripuliscono dalle erbacce le tombe degli antenati, celebrano i morti e, visto il periodo, anche l’arrivo della primavera, con grandi picnic e gare d’aquiloni.
I contadini delle zone rurali portano dei rami di salice, o li appendono fuori ai cancelli ed alle porte delle proprie case, perché scacciano gli spiriti maligni che si aggirano durante il giorno dei morti.
In Cambogia, la festa dei morti si chiama “Pchum Ben” e si svolge di solito in 15 giorni di Settembre (oppure Ottobre a secondo del calendario di Khmer). “Pchum” significa un “incontro”, mentre “Ben” significa “una sfera di riso o carne”.
La festa nasce nell’eta’ di Angkor e vuole esprimere il rispetto e la mancanza della gente ai suoi antenati.
I primi 14 giorni si chiamano “Kan Ben”, durante i quali si portano le offerte: cibi e candele ai monaci ed in serata si ballano le danze tradizionali cambogiane: Vike e Lakhon basac.
L’ultima giornata è sempre considerata la più importante:
in quei giorni, si crede che si “aprano le porte dell’inferno”.
I monaci pregano a turno tutta la giornata, per salvare i poveri spiriti, aiutare gli antenati a ritornare a casa per visitare i loro parenti.
Allo stesso tempo, i Cambogiani preparano i pasti dedicati agli antenati defunti.
Inoltre, la notte prima della festa, i locali vanno alla Pagoda per preparare le offerte ai monaci per la cerimonia.
Questa dimostra il rispetto verso i monaci, lo spirito dei buddisti ed e’ anche un modo per pregare per gli antenati e chiedere la fortuna per i parenti.
In Slovacchia, si posizionano le sedie davanti al caminetto.
C’è una sedia per ogni parente vivente e per ogni parente defunto.
In Germania, si nascondono i coltelli, affinché le anime dei defunti, che sicuramente verranno, non si feriscano.
In Inghilterra, anticamente i bambini preparavano dei pupazzetti, i “Punkies”, intagliando le barbabietole (rape), perché la tradizione vuole che le lanterne si costruissero con esse.
Un’altra tradizione racconta che si lanciavano nel caminetto pietre, verdure e noci, per spaventare gli spiriti maligni.
Inoltre, si pensava che se un sasso, lanciato nelle fiamme durante la notte, la mattina non fosse più visibile, la persona che l’aveva scagliato non sarebbe sopravvissuta un altro anno.
In Irlanda, oltre ai falò accesi ed ai bambini che girano per le case al grido “trick –or-treat”, si consuma una torta tradizionale alla frutta, chiamata “barnbrack”.
Ricapitolando, il Giorno dei Morti è celebrato un po’ ovunque, in alcuni luoghi con tonalità macabre di un giorno che scaccia via i morti tramite travestimenti paurosi, in altri con atmosfere più cupe ed intimistiche della commemorazione.
In altri ancora, in toni vivaci e variopinti, perché la morte viene vissuta come qualcosa di inevitabile e i defunti anziché far paura, mettono allegria.
Comunque sia, ciò che deve trionfare sempre è il rispetto e l’amore per i defunti, soprattutto per coloro che, purtroppo in questo immondo periodo storico, muoiono senza l’affetto ed il cordoglio della loro famiglia, senza un funerale, senza saperlo.
In realtà, non occorre essere presenti, per manifestare il nostro amore verso coloro che non ci sono più.
A loro basta sapere che sono nelle nostre menti e nei nostri cuori, ogni momento della nostra vita.
Che andiamo avanti cercando di non demordere, di avere coraggio e di essere meritevoli e degni dell’opportunità di vita che abbiamo.
E ricordiamo, che non serve pensare ai nostri cari soltanto il 2 novembre, ma SEMPRE, perché loro non hanno bisogno di spettacolo e, soprattutto, rammentiamo che non serve far rivivere i defunti per un paio di giorni all’anno, per poi farli morire una seconda volta, dimenticandocene per tanto tempo.
I Celti distinguevano due cicli di festività, solare e lunare, ed a ciascuno di essi corrispondevano specifiche festività.
Il Ciclo Solare era associato alla Croce a bracci ortogonali e simmetrici, il Ciclo Lunare era invece associato alla Croce di Sant’Andrea.
Le 4 feste solari, erano: Yule, solstizio d’inverno, Oestara, equinozio di primavera, Lithà, solstizio, Mabon, equinozio d’autunno.
Le 4 feste lunari: Beltaine, festa di primavera del primo maggio, Imbolc, 1 febbraio, Lughnasad, festa d’estate il primo agosto, Samhain, festa dei morti celebrata l’1 di novembre, che dai Celti era considerato il primo giorno dell’anno.
Oggi parliamo di Samhain.
Mentre milioni di persone, nella notte del 31 ottobre festeggiano Halloween, pochi sono a conoscenza delle sue antiche radici celtiche nel festival di Samhain (Samain).
Nell’Irlanda celtica circa 2.000 anni fa, Samhain era la divisione dell’anno tra la metà più chiara (estate) e la metà più scura (inverno).
A Samhain la divisione tra questo mondo e “l’altromondo” era molto sottile, consentendo agli spiriti di passare.
I defunti della famiglia erano invitati in casa, mentre gli spiriti nocivi venivano allontanati.
Le persone indossavano costumi e maschere per camuffarsi da spiriti nocivi.
I falò ed il cibo avevano un ruolo importante nei festeggiamenti.
Gli ossi del bestiame macellato erano gettate in un fuoco comune, creando grandi falò.
Il cibo veniva preparato per i vivi e per i morti, e quello per i defunti, che naturalmente non erano in grado di mangiare, era ritualmente condiviso con i meno abbienti.
Il Cristianesimo incorporò l’onorare i morti nel calendario cristiano con “Tutti i Santi”, il 1 ° novembre, seguito dal “Giorno dei Morti” il 2 novembre.
L’uso di costumi e maschere per allontanare gli spiriti nocivi sopravvisse come usanza di Halloween.
Gli Irlandesi emigrarono in America in gran numero, durante il XIX secolo, specialmente nel periodo della carestia in Irlanda del 1840.
Essi portarono le loro tradizioni di Halloween in America, dove oggi è una delle principali festività dell’anno.
Nel tempo, altre tradizioni si sono fuse in Halloween, ad esempio la tradizione americana del raccolto di zucche da intagliare.
Nella valle del Boyne (valle fluviale culla della civiltà irlandese, dove si trovano alcuni dei più imponenti monumenti preistorici d’ Europa), furono associate due colline a Samhain nell’Irlanda celtica, Tlachtga e Tara. Tlachtga è la location del Great Fire Festival, che inizia alla vigilia di Samhain (Halloween).
Anche Tara era associata a Samhain, tuttavia sotto questo aspetto era secondaria a Tlachtga.
Tornando alle origini di Samhain, essa è in realtà una festa molto bella, che ci collega a coloro che amiamo e che sono morti (come approccio positivo per affrontare il dolore), e celebra il raccolto e la fine dell’estate.
Il nome letteralmente significa “Fine dell’estate”.
Era una festa agricola e un momento di “inventario” prima dell’inverno.
Samhain era anche un periodo di “intensità soprannaturale”, in cui si diceva che la forza dell’oscurità e del decadimento si trovassero all’esterno, fuoriuscendo dai sidh, gli antichi tumuli di campagna.
Durante questo periodo, l’obiettivo era eliminare il vecchio ed abbracciare il nuovo.
Era un momento per riflettere sul passare del tempo e sul nostro viaggio nella vita.
Era il momento di perdonare ed andare avanti.
Ed era un momento per visitare e onorare i propri cari (sia vivi che morti).
La tradizione celtica pagana sosteneva, che Samhain era il periodo dell’anno in cui il sipario tra questo mondo e l’Altromondo era più sottile.
Era il momento ideale per gli spiriti di coloro che erano trapassati, per essere di nuovo con i vivi.
Gli antichi Celti credevano che il 31 ottobre gli spiriti buoni dei morti potessero tornare sulla terra, spesso sotto forma di un gatto nero, per ricongiungersi ai propri cari.
Durante questo periodo dell’anno, i fuochi del focolare nelle case delle famiglie venivano lasciati bruciare, mentre avveniva il raccolto.
Dopo che il raccolto era completato, i celebranti si univano ai sacerdoti druidi, per accendere un fuoco comunitario, usando una ruota che avrebbe causato attrito e scintille.
La ruota era considerata una rappresentazione del sole ed intorno ad essa si pregava.
Il bestiame è stato sacrificato ed i partecipanti, dopo la festa, riaccendevano i fuochi nelle loro case con il sacro falò per proteggerle, oltre a tenerle al caldo durante i mesi invernali.
Antichi testi presentano Samhain come una celebrazione obbligatoria della durata di tre giorni e tre notti, in cui la comunità era tenuta a mostrarsi ai re o capi tribù locali.
Si credeva che la mancata partecipazione avesse come conseguenza la punizione degli dei, di solito malattia o morte.
C’era anche un aspetto militare a Samhain in Irlanda: chiunque commettesse un crimine o usasse le proprie armi durante la celebrazione, era condannato a morte.
Alcuni documenti antichi menzionano sei giorni di consumo eccessivo di alcol, tipicamente idromele o birra, insieme a banchetti golosi.
Per i pagani, la morte non era una cosa da temere.
La vecchiaia era apprezzata per la sua saggezza e la morte era accettata come parte della vita, in quanto necessaria per una rinascita.
Quindi le persone care morte venivano ricordate ed il loro spirito spesso era invitato ad unirsi ai vivi nella festa celebrativa, conosciuta come la Festa dei Morti.
Poiché i Celti credevano che la barriera tra i mondi fosse violabile durante Samhain, preparavano offerte, che venivano lasciate fuori dai villaggi e dai campi per le fate, o Sidh.
Ci si aspettava che i propri antenati defunti potessero varcare la soglia durante questo periodo, e quindi i Celti si vestivano da animali e mostri, in modo che le fate non fossero tentate di rapirli.
Alcuni mostri specifici erano associati alla mitologia che circonda Samhain, inclusa una creatura mutaforma chiamata Pukah, che riceveva offerte di raccolto dal campo.
C’era Lady Gwyn, una donna senza testa vestita di bianco, che inseguiva i vagabondi notturni ed era accompagnata da un maiale nero.
A volte apparivano i Dullahan (persona scura), uomini senza testa, che cavalcavano cavalli dagli occhi di fiamma, e il loro aspetto era un presagio di morte per chiunque li incontrasse.
Un gruppo di cacciatori noto come Faery Host poteva anche palesarsi per rapire le persone.
Simili a loro erano gli Sluagh, che venivano da ovest, per entrare nelle case e rubare anime.
Una leggenda irlandese riferisce, che tutte le persone morte l’anno precedente tornassero sulla terra in cerca di nuovi corpi da possedere per l’anno venturo.
Così nei villaggi si spegnava ogni focolare per evitare che gli spiriti maligni soggiornassero nel villaggio: il rito consisteva appunto nello spegnere il Fuoco Sacro sull’altare e riaccendere il Nuovo Fuoco il mattino seguente.
Questo simbolizzava l’arrivo del Nuovo Anno.
Quando il mattino giungeva, i Druidi portavano le ceneri ardenti del fuoco presso ogni famiglia che provvedeva a riaccendere il focolare domestico.
Ci sono antiche usanze di Samhain, che si tramandano.
Ancora oggi esiste la tradizione della “cena muta”, in cui il cibo viene consumato dai celebranti, ma solo dopo aver invitato gli antenati defunti ad unirsi, dando alle famiglie la possibilità di interagire con gli spiriti, fino a quando non se ne vanno dopo la cena.
I bambini giocano per intrattenere i morti, mentre gli adulti aggiornano i defunti sulle notizie dell’anno passato.
Quella notte, le porte e le finestre devono essere lasciate aperte, perché i morti possano entrare e mangiare le torte, che sono state lasciate per loro.
L’idea che le anime tornino a casa in un certo giorno dell’anno, si ripete in molte culture in tutto il mondo.
Día de Muertos, o il Giorno dei Morti, è una festa simile in Messico, che celebra e onora i membri della famiglia che sono morti.
Allo stesso modo, questa cade tra il 31 ottobre e il 1 novembre di ogni anno.
Nel XII secolo, nei giorni sacri obbligatori in tutta Europa coinvolgevano banditori vestiti di nero, che suonavano campane lamentose ed invitavano i Cristiani a ricordare le povere anime dei morti.
Speciali “torte dell’anima” sarebbero state preparate e condivise.
Questa usanza era condivisa in Inghilterra, Germania, Belgio, Austria ed Italia, e si pensa che sia il precursore iniziale del “dolcetto o scherzetto”.
Probabilmente, il travestimento usato andando di porta in porta sotto mentite spoglie, in cambio di cibo, deriva dalle antiche usanze di fare “scherzi”, per confondere gli spiriti maligni.
Gli scherzi di Samhain risalgono al 1736 in Scozia e in Irlanda, e questo portò Samhain a essere soprannominata “Notte di malizia”.
Anche nel sud Italia, ancora oggi, è usanza lasciare la tavola apparecchiata per i defunti, nella notte dell’ultimo giorno di ottobre.
E’ un modo per rinnovare il loro amore verso chi non c’è più.
Ed ora, 5 idee per rituali dedicati a Samhain:
-Onora i defunti: A Samhain il sipario tra il nostro mondo e l’Altromondo è sottile. Onora i defunti, che verranno da te mentre il passaggio è sottile, mettendo un piatto in più per la cena, in un modo che richiami il suo spirito.
-Accendi una candela: Durante Samhain, iniziamo ad avventurarci nella metà buia dell’anno, quando il tempo si raffredda. Accendi una candela, per aggiungere calore magico al tuo focolare ed alla tua casa.
-Pasto Magico Samhain: Samhain è l’ultima festa del raccolto, prima dell’arrivo delle gelate invernali. Onora la magia di questo raccolto con un pasto, che includa prodotti tradizionali come le zucche.
-Rilascia la vecchia energia: questa transizione stagionale offre un’opportunità perfetta, per rilasciare energia o atteggiamenti che non ti servono più. Prenditi un momento per visualizzarli e poi lasciarli andare.
-Respira l’aria autunnale: con l’avvicinarsi di Samhain, il clima diventa sempre più fresco. Trascorri del tempo all’aperto immergendoti nella stagione. Prendi consapevolezza notando le foglie che cambiano, gli alberi che potrebbero essere già spogli e la freschezza nell’aria mentre le stagioni passano.
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