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A Nuova Delhi, India, all’ingresso dell’edificio della Reserve Bank of India, ci sono due imponenti statue di un uomo ed una donna, che tengono in mano un sacco di soldi.
Si tratta di Yaksha e Yakṣī, le divinità della ricchezza e della prosperità, in questa interpretazione del 1960.
Ma vediamo chi sono, partendo dall’inizio.
La fede indù è un mix di molteplici ceppi di alta filosofia, epica di massa, divinità regionali e spiriti popolari locali.
Gli Indiani, in diverse zone rurali, adorano ancora gli spiriti che rappresentano gli alberi, corsi d’acqua, fiumi e montagne, credendo che questi spiriti benevoli portino loro cibo, buon raccolto, salute, fertilità e prole.
Yaksha o Yaksa e, al femminile, Yakṣī o Yakṣinī, nella mitologia indiana, è una classe di spiriti della natura generalmente benevoli, ma a volte dispettosi e capricciosi, sessualmente rapaci o addirittura omicidi, custodi di tesori che sono nascosti nella terra e nelle radici degli alberi.
Sono potenti maghi e mutaforma e il più importante è Kubera, che governa nel mitico regno chiamato ‘Alaka’.
Gli Yaksha venivano spesso omaggiati come divinità tutelari di una città, distretto, lago o pozzo.
Il loro culto, insieme alla credenza popolare nei ‘Naga’ (divinità del serpente), divinità della fertilità femminile e Dee madri, potrebbe aver avuto origine tra i primi popoli indigeni dell’India e coesisteva con i sacrifici condotti dai sacerdoti del periodo vedico.
Nell’arte, le sculture di Yaksha furono tra le prime divinità ad essere raffigurate, prototipi per i servitori di Dei e re nella successiva arte indù, giainista e buddhista.
Generalmente, lo Yaksha ha una doppia personalità: da un lato, può essere una Fata della natura inoffensiva, associata a boschi e montagne; ma esiste una versione molto più oscura dello Yakṣa, che è una specie di orco cannibale, fantasma o demone, che infesta le terre selvagge e divora i viaggiatori, simile ai ‘Rakṣasa’.
Gli Yakṣa potrebbero essere stati in origine gli Dei tutelari delle foreste e dei villaggi, e in seguito furono visti come le divinità-custodi della terra e della ricchezza ‘sepolta sotto’.
Nell’arte indiana, gli Yakṣa maschi sono ritratti come temibili guerrieri o come corpulenti, robusti e nani.
Le Yakṣi femminili, conosciute anche come Yakṣiṇīs, sono ritratte come belle giovani donne con facce rotonde felici, e seni e fianchi pieni.
Nello stato del Kerala, nel sud dell’India, le Yakshi sono raffigurate come incantatrici di vampiri.
Troviamo riferimenti agli Yaksha e alle Yakshini nei poemi epici, nei Purana e nelle opere di Kalidasa, che descrivono due tipi di Yaksha: benevoli o malevoli.
Nella letteratura indù, gli Yaksha sono descritti come i fratelli di esseri demoniaci, che abitano nei sotterranei della Terra.
Secondo la mitologia, Yaksha era il servitore di Kuvera (o Kubera), il Dio della ricchezza, nel cui dovere era assistito dal Guhyaka.
Kuvera è considerato il reggente del nord (Dik-pala) e un protettore del Mondo (Lokapala).
I suoi numerosi epiteti lo esaltano come il Signore supremo di numerose specie semi-divine (tra cui gli Yaksha) e il proprietario dei tesori del Mondo.
Kubera è spesso raffigurato con un corpo grassoccio, ornato di gioielli, e con in mano un portamonete e una mazza; oppure come un nano, con una carnagione di foglie di loto e un grande ventre.
È descritto come avente tre gambe, solo otto denti, un occhio ed è adorno di gioielli.
Oppure, a volte è raffigurato a cavallo di un uomo.
Nei racconti popolari, le Yakshini, sconcertavano i viaggiatori di notte, facendogli crescere le corna sulla fronte e infine li divoravano.
In altre storie, gli Yaksha avevano i piedi girati al contrario e gli occhi strabici; oppure separavano i novelli sposi, perché non avevano fatto loro le dovute offerte il giorno delle loro nozze.
D’altra parte, in un altro racconto le Yakshini sono descritte come in possesso di una bellezza celestiale e appaiono come delle fanciulle splendidamente ornate sedute su un carro d’oro, quando in un cimitero si fa un sacrificio, per donare potere all’eroe.
Nel Vishnu Purana si legge, che Vishnu creò gli Yaksha come esseri emaciati dalla fame, di aspetto orribile e con grandi barbe, chiamati così per la loro abitudine di piangere per il cibo.
Secondo una leggenda buddista, uno Yaksha viveva in un albero di Banyan (Ficus benghalensis, ma per altri è un’Alstonia scholari, in indiano ‘Saptaparni’) e uccideva chiunque si avvicinava.
Mentre, in un’altra, si racconta che le giovani donne morte in modo violento, diventassero Yakshi.
Nella Kallara B (la volta chiusa) del famoso Tempio Padmanabhaswamy a Thiruvananthapuram, si dice che ci sia lo spirito di una Yakshi, in profonda meditazione, ricordando che una feroce Yakshi NON DEVE MAI essere disturbata.
Ma la Corte Suprema dell’India, nel 2011, ha ordinato l’apertura dei depositi del tesoro del Tempio.
Inutile dire, che questo caveau non mai stato aperto….
I Piskies (o Pixie, Pigsie) della Cornovaglia e del Devon sono di gran lunga le più famose tra le creature mitiche dell’Inghilterra.
Alcuni credono che, in origine, fossero Druidi che si opponevano al Cristianesimo: più essi non credevano, più diventavano piccoli.
Invece altri dicono che, nel periodo neolitico, viveva in Cornovaglia una piccola razza, che divenne nota come “Piccolo Popolo” o Piskies.
Altri ancora, narrano che i Piskies siano qui dalla notte dei tempi, perché Eva aveva troppi bambini da lavare e quelli sporchi furono trasformati in invisibili Piccole Persone.
Essi sono paragonati a vecchietti, tutti identici, non più grandi del pollice, con visini segnati e piccoli piccoli, e occhi simili a quelli di un topo.
Sono vestiti in modo elegante con berretti rossi, calzoni, camicie bianche, cappotti marroni, calze e scarpe nere, rigorosamente lucidate e rifinite con fibbie argentate luccicanti.
Si racconta che i Piskies fossero sempre vivaci e logorroici, con il loro chiacchiericcio paragonato al suono di un alveare di api, e la loro modalità di trasporto preferita era sul dorso delle lumache.
Questi gioviali e dispettosi Piskies erano giunti in Cornovaglia con i Santi, dall’Irlanda.
Altri, invece, credevano che le creature fossero state una volta divinità della Cornovaglia, in origine giganti di statura, ma con l’inizio della nuova religione cristiana si si sono rimpiccioliti, se spruzzati con acqua santa.
Erano piccoli folletti dispettosi, che a volte cavalcavano selvaggiamente i pony della gente nelle tenebre, ridendo a crepapelle per la strada ma, così come erano cattivi, riuscivano anche ad essere gentili.
Infatti, si narrava che facessero buone azioni, come prendersi cura dei campi di contadini e colture nelle notti di luna piena, aiutando gli anziani nelle loro case, e facendo lavoretti per sofferenti ed ammalati, che avevano bisogno di aiuto.
Gli agricoltori avevano un grande rispetto per i Piskies, proprio perché essi venivano in aiuto dei contadini stanchi e laboriosi, trebbiando il loro grano.
Un contadino fu così grato al suo piccolo aiutante Piskey, da cucirgli un bel vestito di stoffa verde.
Il Piskey, molto soddisfatto di questo dono, fu sentito dire: “Piskey bello e Piskey allegro, Piskey ora volerà via”!
I Piskies solitamente si potevano trovare a ballare in cerchio di notte in luoghi fuori mano e, a volte, punivano coloro che li spiavano, rapendo o ingannando le persone.
I Piskeys dei Cornish Moors (brughiera della Cornovaglia) sono chiamati Night-riders (Cavalieri della Notte) o Jack-o’-lantern (Uomini lanterna).
Questi cavalieri notturni rubano i cavalli della brughiera, annodano minuscole staffe nelle loro criniere e galoppano attraverso le brughiere, disturbando il bestiame e disperdendo gli uccelli che nidificano nell’erba.
I Piskies conducono i viaggiatori fuori strada nelle torbiere e nella nebbia.
Ai bambini della brughiera si raccontavano storie di Piskies, che si intrufolavano attraverso i buchi della serratura, per mangiare tutto il cibo dolce.
I folletti della costa settentrionale erano descritti, invece, come esseri giocosi, che portavano le persone fuori strada, in modo che potessero unirsi ai loro balli e giochi, riportandole sempre, dopo, sulla strada di casa.
Un’assicurazione contro i Piskies consisteva nell’assicurarsi di avere sempre le tasche rovesciate, quando essi erano in giro.
In alcune fiabe della Cornovaglia, i Piskies compaiono alle porte delle fattorie, chiedendo di essere accolti.
Si divertono a ricevere il gentile conforto di un bambino umano, prima di scomparire per non essere mai più visti.
Ci sono storie sui Mutaforma della Cornovaglia occidentale, che narrano di Piskies che scambiano bambini molto brutti con i bambini umani più belli.
Piskey Wells era il luogo in cui un Piskey custodiva il pozzo sacro, prima che i pozzi fossero colonizzati dai Santi.
Una curiosità da conoscere, è che la prima versione pubblicata della storia “I tre porcellini” è del 1853, ambientata a Dartmoor (altopiano situato nella contea inglese del Devon) e ha tre piccoli folletti (i Piskies) al posto dei maiali.
A giugno, ogni anno, nella città di Ottery St, Mary, nel Devon orientale, si svolge il “Pixie Day”.
Questa giornata commemora una leggenda di Piskies banditi dalla città, e rifugiatisi nelle grotte locali conosciute come “Pixie’s Parlour”.
La leggenda del Pixie Day ha origine dai primi giorni del Cristianesimo, quando un vescovo locale decise di costruire una chiesa a Ottery (Ottery St. Mary), e commissionò una serie di campane, che scortassero i monaci che venivano dal Galles.
Sentendo ciò, i Piskies si preoccuparono, poiché sapevano che, una volta installate le campane, sarebbe suonata la ‘campana a morto’ del loro dominio sulla Terra.
Quindi lanciarono un incantesimo sui monaci, per reindirizzarli dalla strada per Ottery alla strada che li conduceva al bordo della scogliera a Sidmouth.
Ma, proprio mentre i monaci stavano per cadere dalla scogliera, uno di essi sbatté l’alluce su una roccia e disse: “Dio benedica la mia anima” e l’incantesimo si ruppe.
Le campane furono poi portate a Ottery ed installate, tuttavia l’incantesimo dei folletti non era stato completamente rotto.
Infatti, ogni anno in un giorno di giugno, i Piskies escono e catturano i campanari della città, imprigionandoli nelle grotte Pixies’ Parlour, per essere salvati dal Vicario di Ottery St. Mary.
E così, questa bellissima leggenda viene rievocata ogni anno dai gruppi di scouts ‘Cub’ e ‘Brownie’ di Ottery St. Mary, con un Pixie’s Parlour appositamente costruito nella piazza della città (quello originale si trova lungo le rive del fiume Otter).
Oggi, si crede che i Piskies vaghino tra di noi, perché hanno le anime troppo cattive per il paradiso e troppo buone per l’inferno.
Racconti di Piskies riempiono il folklore della Cornovaglia e del Devon, con le loro giacchette verdi, i cappelli e i loro dispetti.
Essi sono esistiti per secoli accanto agli umani, e continuano a farlo.
Fate attenzione….
“La brughiera era buia, una foschia che saliva dal vicino fiume dava l’impressione, che il fumo si levasse da qualche squarcio infernale nella terra.
L’uomo che percorreva la strada solitaria avrebbe voluto avere un modo più veloce di viaggiare.
Come se il Popolo della terra stesse ascoltando, un pallido cavallo sellato apparve vicino all’acqua.
L’uomo si avvicinò, allungando una mano esitante.
Il nitrito del cavallo non incuteva paura, anzi suonava piuttosto come un invito.
Usando il corno della sella per tirarsi su, l’uomo non poteva credere alla sua fortuna.
All’improvviso il cavallo si mise a correre, dirigendosi dritto verso il fiume.
L’uomo terrorizzato cercò di staccarsi dal cavallo, ma una forza soprannaturale lo tenne fermo.
L’acqua non sembrava rallentare il cavallo, anzi il suo tocco sembrava dargli velocità.
L’uomo si rese conto che questo non era affatto un cavallo, ma un Kelpie, proprio nel momento in cui la sua testa scese sotto la superficie, per non tornare più”.
Nelle leggende scozzesi, il Kelpie è uno spirito acquatico, mutaforma (leggi articolo: https://www.madameblatt.it/2021/06/09/i-mutaforma/) .
Il suo nome potrebbe derivare dalle parole gaeliche scozzesi ‘cailpeach’ o ‘colpach’, che significa ‘giovenca’ o ‘puledro’.
Questa creatura spesso è associata al Regno delle Fate.
Il Kelpie infesta fiumi e torrenti, solitamente sotto forma di cavallo.
Appare più comunemente come un bellissimo cavallo vicino o nell’acqua corrente e può essere identificato dalla criniera, che sembra essere costantemente bagnata.
Si racconta che questo mitico animale infestasse i laghi e i fiumi solitari della Scozia, e che fosse in grado di adottare una forma umana.
Le femmine, a volte, appaiono come una bella donna vestita di verde, decisa ad attirare uomini lussuriosi verso il loro destino acquatico.
Il Kelpie può rivelarsi alle sue vittime anche come un pony grigio scuro o bianco smarrito, ma comunque rimane facile da identificare, grazie alla sua criniera costantemente gocciolante.
È particolarmente attraente per i bambini, che dovrebbero fare attenzione perché, una volta saliti sulla sua schiena, la sua pelle magica appiccicosa non permetterà loro di smontare!
Una volta intrappolati in questo modo, il Kelpie trascinerà il bambino nel fiume e poi lo mangerà.
Oppure potrebbe assumere la forma di un umano peloso in agguato vicino al fiume, pronto a saltare su ignari viaggiatori e schiacciarli a morte in una morsa.
Il Kelpie può anche usare i suoi poteri magici, per evocare un’alluvione e trascinare via un viaggiatore in una tomba d’acqua.
Si dice, che il suono della coda di un Kelpie, che entra nell’acqua, assomigli a quello del tuono.
E se stai passando vicino a un fiume e senti un lamento o un ululato ultraterreno, fai attenzione: potrebbe essere un avvertimento di un Kelpie, su una tempesta in arrivo.
La buona notizia è che il Kelpie ha un punto debole: le sue briglie.
Chiunque riesca a prendere le sue briglie avrà il comando su di esso e su qualsiasi altro Kelpie.
Si narra, che un Kelpie in cattività abbia la forza di almeno 10 cavalli e la resistenza di molti altri, ed è molto apprezzato.
Un’antica storia parla di un Kelpie catturato dal Laird of Morphie.
Il Laird sfruttò la forza del Kelpie, sotto forma di cavallo, usando una cavezza stampata con il segno di una croce.
Il rapitore costrinse il Kelpie a trasportare pietre pesanti per costruire il suo castello e, quando il lavoro fu completato, il Laird liberò questo essere, che era comprensibilmente infelice per il trattamento ricevuto.
Così, maledisse il Laird di Morphie, una ragione che si crede plausibile, per spiegare l’estinzione della famiglia Laird.
Una famosa storia di un fabbro e della sua famiglia terrorizzati da un Kelpie, racconta un modo per sconfiggerlo.
Dopo interminabili notti in cui il cavallo veniva a casa sua e causava problemi alla sua terra, il fabbro decise che avrebbe dovuto uccidere il mostro, per tenere al sicuro la sua famiglia.
Aspettò una notte e accese un forte fuoco, nel quale mise due lance di ferro e le lasciò, finché non furono incredibilmente calde.
Quando il Kelpie arrivò per causare problemi, il fabbro lo pugnalò su entrambi i lati con le lance roventi, facendolo diventare nient’altro che acqua e schiuma.
Un altro racconto popolare scozzese è quello del “Kelpie e dei dieci bambini”.
Dopo aver attirato nove bambini sulla sua schiena, inseguiva il decimo.
Il bambino cercò di accarezzare il naso della creatura, che gli prese il dito in bocca.
Il piccolo riuscì a salvarsi, tagliandosi il dito e scappando, mentre gli altri nove bambini vennero trascinati in acqua, per non essere mai più visti.
Si pensa che il Kelpie sia anche l’origine del “Mostro di Loch Ness”, uno dei miti scozzesi più famosi.
Mi raccomando, fai attenzione agli estranei solitari e ai cavalli, lungo le rive di un bel fiume o di un ruscello: potrebbe trattarsi di un Kelpie, pronto a trascinarti in una tomba d’acqua…
Se non riesci a ridere di te stesso
e delle tue folli buffonate,
hai perso la partita!
-Coyote-
Il Coyote (Canis latrans), chiamato anche “Lupo della prateria”, è un canide lupino indigeno del Nord America, di cui si conoscono circa 19 sottospecie.
E’ principalmente carnivoro, mangia anche carogne ma, occasionalmente, può anche nutrirsi di frutta e vegetali ed è noto per i suoi continui urli, fra i quali un ululato prolungato in forma di lamento, emesso da individui solitari.
Animale totemico della mitologia dei nativi americani, il Coyote vive in Nord America da oltre un milione di anni.
Animale intelligente con la reputazione di astuzia e rapidità, fin dall’inizio del XIX secolo, è stato oggetto di una spietata guerra di sterminio da parte di allevatori e agenzie governative, a causa della sua predazione di animali domestici o selvaggina.
Addirittura, molti Stati pagavano taglie per i Coyote.
Ancora oggi vengono uccisi circa 500.000 Coyote ogni anno, molti dei quali colpiti a morte da piccoli aerei ed elicotteri.
Nei racconti popolari dei nativi americani, il Coyote è solitamente descritto come una divinità, che istruisce gli umani sulla natura umana.
E’ anche venerato, come un importante messaggero di trasformazione personale attraverso l’autoriflessione.
Certamente a volte può giocare brutti scherzi, ma ciò di cui trattano la maggior parte delle storie è esporre vari elementi della natura umana e istruire le persone, nel modo corretto di comportarsi l’uno verso l’altro in un ambiente sociale.
Il simbolismo del Coyote è complicato, generalmente è sinonimo di burle, giocosità, adattabilità, del vedere la verità dietro le apparenze, con una personalità complessa e astuta, saggezza e intelligenza.
Rappresenta spesso due facce della stessa medaglia, essendo una creatura fastidiosa, ma segno di buona fortuna.
È raffigurato come dotato di poteri curativi e magici e porta felicità ovunque vada, essendo questo il suo tratto più curativo.
Ci insegna a trovare l’equilibrio tra saggezza e stoltezza, portando in superficie emozioni e pensieri nascosti, mettendoti a disagio ma curandoti.
La saggezza trasmessa dallo Spirito animale Coyote è raramente diretta.
La via del Coyote è insegnare attraverso modi che non sembrano semplici.
Può anche usare sotterfugi o inganni per raggiungere il suo obiettivo, o consegnare il suo messaggio.
Non lasciarti ingannare dal modo di fare del Coyote: in ogni circostanza che incontri, non importa quanto piacevole o chiara possa sembrare, c’è una saggezza nascosta da raccogliere.
Un’altra faccia del simbolismo del Coyote ti ricorda di ridere di te stesso.
In altre parole, le cose sono state troppo serie negli ultimi tempi, pertanto, devi semplicemente lasciarti andare e andare avanti.
Nello specifico, il Coyote ti segnala di fare qualcosa che ti dia piacere e gioia e di concentrarti sulla positività, per un cambiamento.
Le persone con il totem Coyote sono molto adattabili alle nuove situazioni.
Amano anche fare scherzi ai loro coetanei.
Le persone con questo Spirito animale vivono nel momento presente, e trovano la gioia in tutte le cose che fanno, hanno una famiglia molto unita e amano lavorare con i bambini.
Sanno essere se stessi, senza doversi dare arie o mettere maschere.
Inoltre, si rendono anche conto che, permettendo a se stesse di essere vulnerabili, otterranno la massima crescita nelle loro vite.
Il Coyote ci ricorda anche, che qualsiasi cosa facciamo agli altri tornerà da noi, buona o cattiva.
Questo animale è un mutaforma (leggi articolo: https://www.madameblatt.it/?s=mutaforma) in alcune leggende, in grado di cambiare la forma della tua visione della vita, così come sicuramente la tua prospettiva in generale.
L’energia del Coyote continuerà a manifestarsi, finché non lavorerai per adottare un approccio più equilibrato alla vita.
Il Grande Spirito ci invia l’aiuto di cui abbiamo più bisogno, quando ne abbiamo bisogno.
Non tutte le storie dei nativi americani vedono il Coyote solo come un bene o solo come un male, ma la maggior parte crede che rappresenti un equilibrio.
L’equilibrio non può esistere senza il bene e il male, la vita e la morte, l’inizio e la fine.
Dobbiamo essere il nostro vero sé e abbracciare questo equilibrio naturale nella vita.
Ignorare una lezione così importante può forzare una falsa maschera, indossare una maschera, apparire come non siamo o mostrare un falso volto ci impedisce di connetterci con gli Esseri superiori.
I Navajo credono che, avvistare un Coyote, sia un avvertimento a voltarsi indietro; viaggiare, come previsto, non porterà a cose buone.
Gli Shoshoni credono che il Coyote simboleggi la fine, che lascia il posto a nuovi inizi.
In altre parole, il Coyote simboleggia un equilibrio naturale nella vita.
I Comanche hanno un’antica storia su un mostro, che rubò tutti i bufali ad un ragazzo.
Per impedire al ragazzo di piangere, i Coyote ulularono e, a loro volta, i bufali si dispersero e subito dopo tornarono sulla terra.
Così, il Coyote salvò la vita di un ragazzo e anche della popolazione di bufali.
In Corea, il cane Jindo ha l’aspetto di un Coyote, poiché si dice che sia un incrocio razza tra questo animale e i lupi.
È un simbolo di coraggio e lealtà per questo Paese.
In Cina e Giappone, il simbolismo del Coyote bianco è il bene, mentre il significato del Coyote nero è malvagio.
Le storie giapponesi hanno questi animali associati alla magia e credono che siano mutaforma.
Il folklore orientale ritrae un personaggio Coyote brillante ma losco, che suscita conflitti tra i suoi amici animali, per distrarre la loro attenzione mentre mangia la preda da solo.
Nell’Induismo, il simbolo del Coyote appare come un animale domestico di proprietà delle divinità, tra cui Chamunda, una Dea degli alberi di fico.
La Dea Shivaduti è rappresentata con una testa di sciacallo, che emerge nel campo di battaglia con centinaia di Coyote selvaggi e feroci.
Sognare un Coyote, simboleggia l’inganno e la debolezza.
Forse ti stai ingannando nel credere che qualcosa sia giusta, quando sai nel tuo cuore che non lo è. Inoltre, sognare che questo animale ti attacchi, indica che stai permettendo ai tuoi pensieri di concentrarsi su ciò che percepisci come un difetto sfavorevole dentro di te, o su esiti negativi.
Il Coyote in un sogno potrebbe anche prepararti per una morte, una grave malattia o un cambiamento drammatico nella tua famiglia, oppure a un cambiamento spirituale della tua coscienza sotto forma di trasformazione.
Se sogni l’ululato del Coyote, i tuoi parenti provano insoddisfazione nei tuoi confronti.
Un Coyote morto indica la tua buona intelligenza e che presto arriveranno buoni risultati.
Un Coyote rosso è un segno di libertà, di scoprire cose nuove su te stesso e sulle tue relazioni.
Invece, il significato del Coyote bianco è un utile indicazione, che Dio ti sta dando.
Sognare un Coyote che ti fa un amichevole agguato, ti suggerisce di prestare attenzione a ciò che sta facendo il tuo coniuge, poiché potrebbe godere di relazioni extraconiugali, o forse il tuo capo sta mentendo e ti sta sfruttando.
Infine, ricordo con infinita nostalgia “Willy il Coyote (Wile E. Coyote) e Beep Beep (Road Runner)”, due personaggi animati creati da Chuck Jones e Michael Maltese nel 1949 per la Warner Bros, per la serie Looney Tunes e Merrie Melodies.
Le loro storie vedevano Willy, sempre in caccia di guai, impegnato nel maniacale e mai fruttuoso inseguimento di Beep Beep, nel tentativo di catturarlo.
Here by the Sheiling, Here by the Loch
Oh, my darling
So handsome and dark
Here by the Sheiling
Here by the loch
Oh, my darling
With sweet words you woo’d me
Late in the evening
Here at the Sheiling
Oh, my darling
You met me at noonday
Your head in my lap
Here by the loch
Oh, my darling
You doze on my apron
How dark are you tresses
Here by the Sheiling
Oh, my darling
My fingers meet sand
As they run through your black hair
Here by the loch
Oh, my darling
My heart weeps with sadness
My heart leaps with fear
Here by the Sheiling
Oh, my darling
How could I leave you?
How can I lose you now?
Here by the loch
Oh, my darling
The sunlight is sweet to me
Warm on my shoulders
Here by the Sheiling
Oh, my darling
My heart is betraying me
Hold me fast when you carry me
Into the loch
Le Highlands scozzesi sono una fonte di fascino, per coloro che non sono abituati a tali aree remote, con le immagini fantasiose di antiche storie, nelle quali si crede ancora, nonostante si sappia benissimo che non sono vere.
Con queste immagini arrivano le leggende associate alla magia e al mistero, che hanno contribuito a plasmare l’identità della Nazione, e ad essere nell’Era moderna una grande attrazione turistica, come per esempio il famoso mostro di Loch Ness.
Nella mitologia scozzese, Each-Uisge è un cavallo acquatico soprannaturale, che infesta le Highlands.
Il nome significa “cavallo d’acqua” in gaelico scozzese.
In Irlanda, l’equivalente è “Each-Uisace” , o “Ech-Ushkya”, mentre nell’Isola di Man è “Cabyll-Ushtey”.
Questo mitico cavallo ha la reputazione di essere il mostro acquatico più pericoloso della Gran Bretagna.
Si dice che viva nel mare e anche nei laghi d’acqua dolce.
Viene spesso erroneamente scambiato per le “Kelpie”, anch’esse creature acquatiche soprannaturali (di cui vi parlerò in seguito), ma che vivono in fiumi e torrenti e che non sono considerate pericolose come l’Each-Uisge.
L’Each-Uisge ha la capacità di cambiare la sua forma, o di rendere la sua pelle simile alla colla, intrappolando la vittima che ha osato cavalcarla, portandola alla morte.
Può apparire come un magnifico cavallo, un uccello gigante o come un uomo.
Chiunque lo cavalchi, quando si trasforma in un cavallo, può essere al sicuro solo mentre cavalca nell’entroterra.
Se l’Each-Uisge odora, o intravede il più piccolo barlume d’acqua, il cavaliere rimane bloccato alla sua schiena.
La creatura quindi si dirigerà verso un lago o un’acqua profonda, portando il cavaliere bloccato nel punto più profondo, dove annegherà.
L’Each-Uisge farà a pezzi la sua vittima e mangerà il corpo, lasciando solo il fegato che si dice galleggi in superficie, per essere divorato dai gabbiani.
Quando l’Each-Uisge cambia la sua forma in umano, diventa un uomo molto bello e attraente, capace di incantare e persino ipnotizzare le giovani fanciulle e attirarle verso sè, proprio come facevano le Sirene della mitologia greca, con i marinai ribelli.
L’unico modo in cui può essere riconosciuto come disumano, è dalle alghe tra i suoi capelli.
Per questo motivo gli Highlander stavano sempre attenti e in guardia, quando un cavallo solitario o uno sconosciuto veniva visto sul bordo dell’acqua, specialmente vicino ad una tana nota della creatura.
L’Each-Uisge preda anche bovini e ovini, oltre che esseri umani, ed è molto attratto dall’odore di carne arrosto.
“More West Highland Tales”, di John Francis Campbell, racconta di come la figlia di un fabbro di Raasay sia stata vittima di un Each-Uisge.
Il fabbro e suo figlio decisero di vendicarsi e si misero al lavoro nella loro fucina, fabbricando una serie di enormi ganci di ferro.
Portandoli giù dal lato del lago dove viveva la bestia, arrostirono una pecora, mentre scaldavano i ganci nel fuoco, finché non diventarono roventi.
Al calare della sera, l’odore di montone arrosto si diffuse attraverso il lago e si alzò una nebbia densa e grigia, dalla quale apparve l’Each-Uisge, che tentò di rubare la carne.
Il fabbro e suo figlio attaccarono il mutaforma, infilandogli gli uncini roventi nella carne, riuscendo ad ucciderlo dopo una lunga lotta.
Allo spuntare dell’alba, tutto ciò che restò dell’Each-Uisge fu una densa melma sul terreno.
Un’altra leggenda narra, che questa creatura mutaforma sia uno spirito dell’acqua, che custodisce il percorso acquatico verso l’Aldilà, dove vivono i nostri defunti.
Il suo compito è testare il valore della persona: se non ti uccide, allora sei giudicato degno e portato negli Inferi, per unirti ai tuoi antenati morti.
Ancora oggi, quando visitano alcune regioni della Scozia, i turisti sono avvertiti dai nativi, di essere estremamente cauti nei confronti dei cavalli solitari e avvisano, soprattutto le donne, di stare molto attente, quando incontreranno splendidi uomini vicino a un qualsiasi specchio d’acqua.
Fate attenzione…..
Nella mitologia, nella narrativa e nel folklore, il “Mutaforma” è un essere capace di trasformare fisicamente se stesso o gli altri, attraverso un’abilità sovrumana, manipolazione demoniaca, stregoneria, intervento divino, incantesimo ecc.
Il mutamento di forma è presente fin dai tempi antichi, nel Totemismo, nello Sciamanesimo, nei poemi epici di tutto il Mondo.
Le creature mutaforma più conosciute sono i Vampiri, i Lupi mannari, Dei e Dee, Demoni e tanti altri.
Uno dei fenomeni più conosciuti della mutazione tra uomo e animale è, per esempio, la “Licantropia” (uomo-lupo), anche se il termine più esatto, che indichi la trasformazione tra uomini e animali, sarebbe “Teriantropia”.
Mentre l’idea popolare di un Mutaforma è di un essere umano che si trasforma in qualcos’altro, esistono anche numerose storie su animali che possono trasformarsi.
Spesso, le forme imposte sono di natura punitiva, e corrispondono al crimine per il quale si verificano.
Oppure la trasformazione è imposta ingiustamente, da una persona cattiva o arrabbiata.
Infine, la mutazione può essere temporanea, eterna, eliminare o produrre miti.
Nella mitologia greca, si assiste spesso alle punizioni divine contro gli esseri umani, colpevoli a volte di averli solo incontrati.
Oppure le trasformazioni avvengono perché gli Dei vogliono raggiungere determinati obiettivi.
E’ il caso di Meti, ninfa Oceanina e figlia dei Titani Oceano e Teti.
Prima moglie di Zeus, era in grado di cambiare il suo aspetto in qualsiasi cosa volesse.
Era così orgogliosa di essere la sposa di Zeus che il Dio, temendo che se avessero avuto un figlio, questi sarebbe stato più potente di lui, indusse Meti con l’inganno a trasformarsi in una mosca.
Quindi la inghiottì, ma Meti, già incinta di Atena, rimase viva nella testa di Zeus e costruì un’armatura per sua figlia.
I colpi dati durante la lavorazione, fecero venire tremendi mal di testa a Zeus, così Efesto gliela tagliò con un’ascia.
Così, Atena scaturì dalla testa di suo padre, completamente cresciuta e indossando l’armatura da battaglia.
Altre storie raccontano di mutazioni causate dalla lussuria.
E’ il caso di Zeus, che si trasformava ripetutamente, per avvicinarsi alle comuni mortali, come mezzo per ottenerne i favori (qualche volte probabilmente con la violenza).
Per esempio il Dio si trasforma in:
Toro, per Europa
Pioggia d’oro, per Danae
Aquila, per Ganimede
Cigno, per Leda
Anfitrione marito di Alcmena
Quaglia, per Leto
Nuvola, per Ios
Pastore, per Semele
Cuculo, per Era
Ma anche il contrario, come Nemesi (la Dea distributrice della Giustizia), che si trasforma in un’oca, per sfuggire alle avances di Zeus.
In un racconto, Demetra, Dea dei raccolti, si trasformò in una cavalla per sfuggire a Poseidone (Dio del mare), che a sua volta si trasformò in stallone per inseguirla e riuscì nello stupro.
A volte le metamorfosi trasformavano gli oggetti in esseri umani, come nel caso di Giasone, a capo degli Argonauti nella ricerca del Vello d’Oro.
Egli seminò nel campo appena arato i denti di un Drago i quali, germogliando, generarono un’armata di guerrieri.
Alcuni Mutaforma sono in grado di trasformarsi solo se hanno qualche oggetto, di solito un capo di abbigliamento.
Il potere di trasformare esternamente può simboleggiare una ferocia interna, o servire per rimuovere la vittima dal suo posto, in modo che il trasformatore possa usurparla.
A volte i personaggi delle fiabe desiderano un figlio, senza riuscire ad ottenerlo per tanto tempo.
Ad un certo punto ci riescono, ma il bambino ha sembianze non umane, assumendo quelle di animale o con forme più strane, come un rametto di mirto (“Pentamerone” di Giambattista Basile) o una mela (“Fiabe italiane” di Italo Calvino) o, addirittura, di “Lindworm” (creatura leggendaria simile ad un drago serpentiforme).
Meno comunemente, i desideri sconsiderati possono trasformare una persona dopo la nascita, come accade ne “I sette corvi” (Fratelli Grimm), in cui un padre maledice i suoi figli che, invece di andare a prendere l’acqua per battezzare la sorellina, giocano.
Per rappresentare matrimoni combinati o la ripugnanza nello sposare uno sconosciuto, si usa una figura bestiale, della quale l’eroina o l’eroe deve innamorarsi, per riportare il Mutaforma alla normalità (per esempio “La Bella e la Bestia”).
La forma umana può essere riacquistata anche spogliandosi come, per esempio in “Prince Lindworm”, un racconto danese in cui la sposa evita di essere mangiata dallo sposo Lindworm, arrivando al suo matrimonio con indosso tutti gli abiti che possiede.
Ella dice allo sposo che ne toglierà uno, se lui rimuoverà uno dei suoi e così via, finchè l’ultimo abito del principe viene tolto, rimovuendo la sua ultima pelle, diventando una forma bianca che lei può trasformare in un uomo.
Anche i fantasmi a volte possono apparire in forma animale, come in “Il Ginepro” dei Fratelli Grimm, in cui è narrata la persecuzione di un bambino da parte della sua matrigna, della sua metamorfosi in uccello e della sua rivalsa finale.
In alcuni racconti popolari africani si narra di vittime di omicidio, che si vendicano sotto forma di coccodrilli, che possono trasformarsi in forma umana.
Ci sono anche persone che mutano forma dopo la morte, come l’eroe greco Niso, al quale l’oracolo di Apollo aveva predetto che sarebbe rimasto in vita, finchè avesse mantenuto la sua capigliatura rossa.
Ma sua figlia Scilla si innamorò di Minosse, re di Creta in guerra contro Niso e, per compiacerlo, gli taglio i capelli, uccidendo il padre.
A quel punto, Niso si trasformò in un’aquila ed aggredì Scilla, mentre cercava di salire su una delle navi di Minosse, uccidendola.
Troviamo molti Mutaforma anche nella fantascienza, terreno molto fertile e ricco di fantasia.
Per esempio, nel bellissimo racconto “Who Goes There?”, di John W. Campbell, una forma di vita aliena Mutaforma, assume la forma ed i ricordi di qualsiasi creatura che assorbe.
Oppure nel libro “La Spada nella Roccia” (di T. H. White), Merlino combatte un duello tra maghi, in cui i duellanti si trasformano all’infinito, finchè uno non prenda una forma, che l’altro possa sconfiggere.
Per non parlare del meraviglioso “X-Men”, una serie di film basati sugli omonimi supereroi dei fumetti Marvel Comics (1963).
La storia nasce inizialmente con un gruppo formato da cinque adolescenti, mutanti a seguito di una particolare mutazione genetica detta gene-X, risultato di un’alterazione del DNA, che li dota sin dalla nascita di straordinarie capacità, come leggere nel pensiero o volare.
Proprio per queste capacità, i mutanti sono disprezzati ed emarginati da chi vede in loro un potenziale pericolo per la sopravvivenza della razza umana.
Questa fortunata saga darà vita a un vastissimo merchandising e ispirerà serie di cartoni animati, serie tv, videogiochi e numerosissimi film di successo (da vedere!).
Insomma, il mondo dei Mutaforma è vastissimo quanto affascinante, quindi ogni tanto approfondirò questo argomento, raccontando qualche fantastica storia.
State all’erta!
“Per quanto allunghi il collo, l’anatra non diventerà mai Cigno”
-proverbio cinese-
I Cigni sono i più grandi membri esistenti della famiglia degli uccelli acquatici della famiglia degli Anatidi, parenti stretti di oche ed anatre.
Essi hanno grandi dimensioni, i lunghi colli e un portamento elegante, che li rendono facilmente riconoscibili ovunque.
La loro apertura alare può arrivare a 2,50 mt, a seconda della specie, e addirittura a 3 metri nel Cigno trombettiere (l’unico ad avere il becco superiore nero).
Quando nascono hanno generalmente un piumaggio grigio, che poi si trasforma in bianco o nero.
Solitamente i Cigni formano coppie monogame per tutta la vita.
Anticamente il Cigno bianco, i Cigni esotici nero e collo nero, quello selvatico e il minore erano allevati a scopi alimentari.
Attualmente sono specie protette.
L’eleganza e il portamento hanno reso il Cigno simbolo di amore sincero, innocenza e purezza.
Ammirato per la sua forza e il suo coraggio, che lo portano a difendere la prole anche contro avversari più grandi e potenti di lui, è un uccello monogamo e fedele per tutta la vita alla compagna scelta.
Il suo collo ha la forma del serpente sacro, simbolo di saggezza, e sibila come un serpente, quando è minacciato.
Il Cigno è anche un simbolo benefico e sacro, possessore di poteri magici legati alla musica, uniti ai poteri terapeutici del sole e dell’ acqua.
In Irlanda, i Bardi (antichi poeti o cantori di imprese epiche delle tradizioni celtiche) portavano dei mantelli fatti con piume di Cigno, per la relazione che questo uccello aveva con la musica e il canto.
A livello simbolico il Cigno incarna la luce interiore dello spirito umano. Il suo volo è paragonato al ritorno dello spirito verso la propria sorgente e il Cigno rappresenta la parte dell’uomo che tende al bene, al meglio di sé, alla perfezione, alla spiritualità.
Nel Medioevo il Cigno rappresentava il cavaliere per eccellenza con il biancore immacolato delle sue piume, il suo gusto per le acque limpide, il suo coraggio e la sua forza.
Durante l’Ottocento la figura della fanciulla-Cigno si veste di nuovi significati, come per la donna-foca dei Mari del Nord è un mutaforma che diventa docile moglie dell’uomo che nasconde il suo manto piumato.
Su di esso esistono molte favole e leggende, eccone alcune
“C’era una volta un re, che si chiamava Lir e aveva una figlia, Fionnuala, e tre maschi, Aodh, Fiachra, e Con.
I bambini erano tristi, perché la loro madre era morta quindi Lir, sapendoli bisognosi di una madre, decise di risposarsi.
La sua nuova moglie si chiamava Aoife, era molto bella e sembrava molto gentile.
Aoife, invece, era gelosa dei quattro bambini, perché il loro padre li amava molto, quindi chiamò un Druido per aiutarla a lanciare un terribile incantesimo.
Vicino al castello c’era un bellissimo lago, in cui i bambini andavano spesso a giocare.
Un giorno, Aoife li aspettò sulla riva del lago e, mentre giocavano, lei gli puntò la bacchetta contro e li trasformò in bellissimi Cigni.
Poi disse: ” Sarete cigni per novecento anni, trecento li passerete su questo lago, trecento nel mare di Moyle e trecento sull’isola di Glora. Solo il suono della campana di una chiesa potrà rompere l’incantesimo”.
Quando il re vide che suoi figli non tornavano, andò a cercarli al lago e trovò i quattro cigni, che gli raccontarono dell’incantesimo.
Lir corse al castello e pregò Aoife di ritrasformarli in bambini, ma ella si rifiutò.
Il re la cacciò dal regno e promise una ricompensa, a chi avesse rotto l’incantesimo.
Purtroppo, nessuno seppe farlo, così il re passò tutta la vita vicino al lago, finché un giorno morì.
Dopo trecento anni, i Cigni andarono verso il burrascoso mare di Moyle, dove la vita era difficile ed essi si cibavano di pochi piccoli pesci.
Lentamente trascorsero gli anni e, quando venne il tempo di partire per l’isola di Glora, essi erano vecchi e stanchi.
Un giorno sentirono quel suono che avevano aspettato per novecento anni: una campana stava suonando nel campanile di una piccola chiesa.
Davanti alla chiesa, c’era un uomo che si chiamava Caomhòg, il quale ascoltò la loro storia, entrò dentro, prese dell’acqua santa e la versò sui Cigni, che si trasformarono in tre uomini e una donna vecchissimi.
Fionnuala abbracciò i suoi fratelli e tutti insieme morirono. Caomhòg li seppellì in una sola tomba.
Quella notte, l’uomo sognò che i quattro Cigni volavano sopra le nuvole e ritrovavano il loro padre e la loro madre.”
Indubbiamente, è celebre la fiaba “Il lago dei Cigni”:
“C’era una volta, in un luogo incantato, una bella Principessa.
Un giorno, mentre giocava con altre giovani donzelle, ella venne colpita dall’incantesimo di un malefico mago che, indispettito dalla bellezza della fanciulla, decise di trasformarla in un Cigno.
Il Cigno, che si distingueva dagli altri per la sua bellezza unica, passava ormai da anni le sue giornate nuotando in un lago originato dalle lacrime di dolore della Regina.
Ma un giorno, l’immortale vita del meraviglioso Cigno venne sconvolta dall’arrivo di un giovane Principe che, durante una battuta di caccia, si allontanò dal suo gruppo, imbattendosi nella visione della splendente creatura che era quel Cigno.
Il Principe si fermò a guardare quella creatura stupenda e, nonostante fosse in battuta di caccia, decise di non ucciderla.
Quando calò il Sole, il Cigno si avvicinò alla riva del lago e, battendo le ali ripetutamente, si trasformò nella bellissima Principessa, dirigendosi verso il Principe, con indosso una coroncina che la distingueva dagli altri Cigni.
Il giovane Principe fu colpito nel vedere la trasformazione del Cigno in fanciulla ma questa, dopo essersi avvicinata a lui, gli raccontò la storia dell’incantesimo subito dal Mago, dicendogli che l’unico modo per liberarsi da quel maleficio, era ricevere una vera e sincera dichiarazione d’amore da un Principe.
Cosa che, senza esitazione, il Principe fece immediatamente.
La Principessa lo ringraziò e si congedò, chiedendogli di tornare al Lago il giorno seguente.
Ritornato al castello, il Principe si ricordò che il giorno seguente sarebbe diventato maggiorenne e che, dopo un lussuoso ballo, avrebbe dovuto scegliere la Principessa, con cui vivere per tutta la vita.
Quindi decise che avrebbe rifiutato tutte le Principesse che si sarebbero presentate, in quanto il suo cuore apparteneva ormai alla Principessa Cigno.
Arrivò il Ballo ed il Principe danzò con tutte le fanciulle destinate al trono, pensando però alla Principessa, che il giorno precedente lo aveva stregato sulla riva del Lago.
La Regina chiese al Principe quale fosse la fanciulla da Lui scelta ma egli annunciò alla madre che si rifiutava di scegliere una di quelle principesse, in quanto il suo amore era interamente destinato alla Principessa Cigno.
Fu allora che il Mago cattivo si presentò al ballo, portando con sè una fanciulla che sembrava la Principessa.
Il Principe, pensando si trattasse di un sortilegio inflitto dal mago alla Principessa, ballò con lei ed alla fine annunciò a tutta la sala il loro imminente matrimonio.
In quel preciso istante un meraviglioso Cigno Bianco si catapultò nella sala da ballo e il Principe capì di essere stato ingannato dal Mago.
Disperato, si scusò con la sua amata per l’ingenuità, che lo aveva spinto a prendere in sposa un essere così immondo ma ella, perse ormai tutte le speranze di spezzare l’incantesimo, chiese al Principe di uccidere il malefico mago, come suo ultimo desiderio.
Questi impugnò l’arco e sferrò un colpo mortale al malefico stregone, che si schiantò a terra.
A quel punto la Principessa, dopo aver dato l’addio al suo bel Principe, andò verso il Lago e si immerse nelle sue gelide acque per l’ultima volta.
Il Principe, distrutto dal dolore per aver perso per sempre la sua adorata Principessa, si gettò dalla cima di un dirupo dritto nelle acque burrascose del lago, raggiungendo così la sua amata.”
Nella mitologia romana, il simbolo del Cigno è collegato alla bellezza di Afrodite e ad Apollo, il Dio della poesia, della profezia e della musica.
C’è una favola greca, che ci racconta dell’ultima canzone ultraterrena dei Cigni mentre muoiono, che li lega alla poesia oltre che alla morte.
Esopo, Il Cigno e l’oca: “Un uomo benestante allevava contemporaneamente un’oca e un Cigno, non però alle stesse condizioni: il Cigno per il canto, l’altro invece per la mensa. E quando bisognava che l’oca subisse il destino per cui era allevata, era notte e la situazione non permise di riconoscere l’uno dall’altra. E il Cigno, portato via invece dell’oca, cantò una melodia preludio di morte; e con il canto rivelò la (propria) natura ed evitò la morte con la melodia.” (Il racconto dimostra che spesso la musica produce un rinvio della morte.
I Cigni non si tuffano mai sott’acqua.
È per questo che i marinai credevano, che il significato simbolico del Cigno fosse un segno “contro il naufragio”.
Nei racconti giapponesi popolari di Ainu, il Cigno era un uccello angelico, che viveva in paradiso. Quando gli Ainu combatterono tra loro, uccidendo tutti i ragazzi tranne uno, il Cigno discese dal cielo, si trasformò in una donna e allevò il ragazzo fino alla virilità.
In seguito lo sposò, per preservare la razza Ainu.
In India, era il Cigno che deponeva l’Uovo Cosmico sulle acque, da cui nacque Brahma.
Il Cigno era il veicolo della moglie di Brahma, Saraswati, la Dea della saggezza, dell’educazione e della musica.
Nella tradizione indù, i Cigni rappresentano l’unione perfetta e lo spirito di Brahma.
La costellazione del Cigno, raffigura un Cigno che naviga lungo la Via Lattea.
Nella tradizione celtica, il Cigno è associato alle divinità delle acque curative e del Sole.
Sono esseri mutaforma, possono cioè assumere sembianze umane e padroneggiano gli elementi dell’acqua, della terra e dell’aria.
Possono sempre essere riconosciuti dalla catena d’oro o d’argento, che pende dal loro collo.
Tra i Druidi, il Cigno rappresenta l’anima ed è associato al Festival di Samhain, aiutandoci a viaggiare nell’Altromondo.
Il simbolismo del Cigno bianco è legato alla luce, alla grazia, alla bellezza, all’amore e alla purezza, mentre il Cigno nero si trova nel simbolismo occulto.
Il Cigno è un emblema della bellezza e della morbidezza femminile.
Spiritualmente, il Cigno annuncia lo sviluppo delle nostre capacità intuitive e di stati alterati di consapevolezza.
In altre parole, questo Spirito Animale insiste affinché impariamo nuovi modi di pensare, respirare e seguire il flusso della vita.
Questo simbolismo significa, che una nuova crescita spirituale è sul nostro orizzonte.
Il Cigno ti chiede di accettare la tua capacità di sapere cosa ti aspetta.
Pertanto, dovresti seguire le intuizioni e prestare attenzione al tuo istinto, senza dimenticare di onorare il tuo lato intuitivo femminile.
In alternativa, il simbolismo del Cigno ti ricorda la tua grazia e bellezza interiori, e questo equilibrio è qualcosa che devi lasciare che gli altri vedano.
Esso ti aiuta a vedere la bellezza interiore di te stesso e degli altri, nonostante le apparenze esteriori.
E questa capacità ti rende come una “calamita”, che attira altre persone verso di te.
Se hai il Cigno come Totem animale, allora hai la capacità di guardare al futuro e accettare la guarigione e la trasformazione, che sono una presenza costante nelle nostre vite.
Significa che sei benedetto dagli Esseri celesti.
Preferisci le relazioni monogame e, spesso gli individui con il potere del Cigno trovano il loro vero amore in tenera età, rimanendo insieme per gli anni a venire.
Hai la capacità di bilanciare lavoro, famiglia e divertimento, oltre a riconoscere l’importanza della solitudine personale, necessaria per ricaricarti.
In mezzo alla folla, ti senti a tuo agio e riesci a mantenere la tua individualità.
L’incontro con un Cigno è considerato un presagio, che presto incontrerai la tua anima gemella e che sarai in una relazione amorevole, fiduciosa e leale.
Infatti, il potere animale del Cigno ti insegna come attrarre il tuo partner fisico e il tuo compagno.
Chiedi l’aiuto del Cigno, quando stai attraversando una fase di turbolenza e cambiamento: esso ti guiderà attraverso la trasformazione.
Visto che il significato del Cigno bianco è femminile, quello del Cigno nero è maschile: sono yin e yang e insieme rappresentano l’equilibrio.
Ma il Cigno nero, usato nel mondo occulto, non è necessariamente malvagio o negativo, ma può essere la metafora di un “evento raro”, o del fatto che “il mondo può cambiare in un batter d’occhio”.
Gli Europei non conoscevano l’esistenza dei Cigni neri quindi, quando una rara specie di Cigni neri fu improvvisamente scoperta in Australia, la stessa parola Cigno nero divenne simbolo di eventi inaspettati, che avrebbero avuto una grande entità e impatto sul mondo.
Il Cigno è padrone degli elementi Terra, Aria e Acqua ed è un’ottima guida ai poteri terapeutici di questi elementi.
Molti guaritori usano una piuma di Cigno nelle cerimonie di sbavatura (rituale dei nativi americani, come bruciare erbe) e guarigione.
Una piuma di Cigno legata a uno strumento, come un’arpa, sarebbe un potente complemento alla musicoterapia.
Nei sogni, il Cigno rappresenta un innato desiderio di scappare o volare via da una situazione attuale, che stai affrontando.
Sognare una coppia di Cigni, indica una relazione forte e amorevole.
Significa anche fedeltà e lealtà.
Un Cigno potrebbe anche dirti che la trasformazione è in arrivo: proprio come il brutto anatroccolo diventa un grazioso Cigno, lo farai anche tu!
L’etimologia del termine italiano e latino “Abies” è probabilmente connessa con le declinazioni del verbo andare (vado).
In Grecia, l’Abete bianco “Elate” era sacro alla Dea Artemide, cioè alla Luna, protettrice delle nascite, in onore della quale si sventolava nelle feste dionisiache un suo ramo intrecciato con edera e coronato sulla punta da una pigna.
Portava lo stesso nome dell’Abete bianco Elàte, la Dea della Luna Nuova, detta anche “Kaineides” (da kainizo che significa rinnovare, recare cose nuove).
Riguardo a Kaineides c’è anche una leggenda.
Un giorno la ninfa Kaineides fu posseduta da Poseidone che, in cambio, le chiese cosa desiderasse come dono d’amore.
Ed ella chiese di essere trasformata in un guerriero invincibile.
Divenne così il guerriero Kaineus, che in breve diventò re dei Lapiti.
Inorgoglito dal suo potere, Kaineus piantò una lancia d’Abete nella piazza del mercato, costringendo tutti ad offrirgli sacrifici.
Zeus, sdegnato dalla sua presunzione, indusse i Centauri ad ucciderlo ed essi vi riuscirono, solo percuotendolo sul capo con tronchi di Abete.
Il mito adombra probabilmente un rito in onore della Grande Madre, che doveva consistere nell’innalzamento di un Abete bianco nella piazza del mercato e in una cerimonia rituale, in cui uomini nudi, armati di magli, percuotevano sul capo un’effigie della Madre Terra, per liberare lo spirito dell’anno nuovo.
L’Abete bianco (Abies alba), detto anche “Avezzo”, “Abezzo”, è un albero tipico delle foreste e delle montagne dell’Emisfero boreale.
Soprannominato il “principe del bosco”, può raggiungere un’altezza di 50 metri.
Nella sua corteccia sono presenti delle sacche, da cui è possibile estrarre la famosa “Trementina di Strasburgo” o “di Alsazia”, utilizzata soprattutto per le vernici.
Contrariamente all’Abete rosso, gli strobili dell’Abete bianco (i cosiddetti “coni”) sono disposti verticalmente verso l’alto e sono presenti quasi unicamente nei rami superiori della chioma.
Dopo la maturazione dei semi, verso la fine di settembre, i coni non si staccano cadendo integralmente al suolo, ma tendono piuttosto a sfaldarsi, rimanendo comunque attaccati all’albero.
Non appena le scaglie squamose si aprono, i semi fuoriescono e si disperdono volteggiando nell’aria, mentre il “torsolo” interno nudo rimane ancora a lungo attaccato ai rami della chioma.
Gli operatori specialisti del settore ritengono spesso che, se comparato con quello dell’Abete rosso, il legno di Abete bianco sia di qualità inferiore o addirittura scadente.
Nell’Europa centrale i rami di Abete bianco vengono apprezzati a scopo decorativo, per preparare corone dell’Avvento e come materiale di copertura.
Anticamente, tra il XV e il XVIII secolo, l’albero era utilizzato, data la notevole altezza dei suoi fusti, come „albero di maestra“ per le navi, mentre ancora oggi, soprattutto nell’Europa centrale, gli esemplari più giovani vengono utilizzati come „alberi di Natale“, al posto del più usato Abete rosso, in quanto i suoi aghi sono aromatici e resistenti, cadendo molto più tardi, rispetto a quelli dell’Abete rosso.
Oggi, però, l’Abete bianco è poco utilizzato come albero di Natale, è stato infatti, in gran parte sostituito dall’Abete del Caucaso (che ha un fogliame più denso e attraente), dall’Abete rosso (più diffuso ed economico) e da altre specie.
Nel 1865, frate Agostino Martini da Sant’Agata di Mugello, speziale del convento, ideò un liquore con gli estratti di questa pianta, chiamato „Gemma d’Abeto“, ancora oggi prodotto dai frati Servi di Maria di Monte Senario (Firenze).
Invece, i monaci di Camaldoli, in provincia di Arezzo, producono un liquore chiamato „Lacrima d’Abeto“.
A Spelonga, durante la „Festa Bella“, si taglia un Abete bianco e, in 3 giorni, si trasporta a mano in paese, per rievocare la Battaglia di Lepanto.
Dall’Abete bianco si ricava il „miele di melata“, molto apprezzato in Europa centrale.
Secondo la mitologia degli alberi celtici, l’Abete bianco è l’albero del giorno del Solstizio d’Inverno.
In Esoterismo, si brucia per purificare una stanza dalle vibrazioni negative.
Questo è un meraviglioso incenso, per curare e rafforzare il corpo fisico, emotivo e spirituale.
Il profumo apre il cuore e aumenta la resistenza.
L’Abete bianco è usato per la magia che coinvolge potere, intuizione, progressione, protezione, cambiamento, rinascita femminile e nascita.
L’Abete bianco e il Tasso sono fratelli, in piedi l’uno accanto all’altro nel cerchio dell’anno e il loro fogliame è quasi identico.
Tuttavia il Tasso è conosciuto come l’albero della morte, mentre l’Abete bianco è l’albero della nascita o della rinascita.
L’Abete bianco era un albero sacro per i Druidi, che sentivano che rappresentava la speranza.
Il legno di Abete bianco viene utilizzato per “mutaforma” e magia, che coinvolga il cambiamento, poiché offre una chiara percezione del presente e del futuro.
PIANETA: Luna-Giove
ANIMALI: Pavoncella, mucca rossa, aquila
PIETRE: Tormalina, Ambra
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