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Le Selkies, o Roan, sono delle creature terioforme (divinità con aspetto animale), appartenenti alla mitologia scozzese, irlandese, norvegese ed islandese, particolarmente diffusa nelle isole Shetland, isole Orcadi ed isole Fær Øer.
Chiamate anche Selky, Seilkie, Sejlki, Silkie, Silkey, Saelkie, Sylkie, ecc., e dall’aspetto di foche, perfettamente in grado di rimuovere il loro manto per assumere un aspetto umano, vivono in mare ed il nome deriva dallo scozzese arcaico “selich” = “foca grigia” (Halichoerus grypus).
Invece l’altro nome, “Roan” discende dal gaelico scozzese “maighdeann-ròin” = “fanciulle-foca”.
Le Selkies sono principalmente associate alle isole settentrionali scozzesi, dove sembra che vivano libere come foche nel mare, cambiando la pelle per diventare umane, quando vanno sulla terra.
Walter Traill Dennison, un contadino folclorista del ‘800, originario delle Orcadi, insisteva che “selkie” fosse il termine corretto da applicare a questi mutaforma, per distinguerli dai Tritoni, e che Samuel Hibbert-Ware, uno scrittore delle Shetland dello stesso periodo, commise un errore nel riferirsi a loro come “Tritoni” e “Sirene”.
Però, esaminando altre culture norrene, gli scrittori islandesi si riferiscono alle mogli-foca anche come Tritoni (marmennlar).
Tornando alle Selkies, queste creature mutaforma hanno una duplice natura: possono essere amichevoli ed utili verso gli esseri umani, ma essere anche pericolose e vendicative.
Secondo il folklore celtico, le Selkies possiedono anche un lato dispettoso ed una voce accattivante, possono trasformarsi da foca in forma umana solo in determinate notti, solitamente alla vigilia di Mezza estate o quando c’è la Luna Piena, e possono controllare il tempo ed il mare.
Esse hanno una ragnatela che unisce le dita, che permette loro di muoversi tra il mondo dell’uomo e quello del mare e, una volta che una Selkie cambia pelle, può ritornare alla sua forma di foca solo ritrovando la sua pelle.
Nella tradizione delle Orcadi, si dice che le Selkie siano vari tipi di foche, e che solo a quelle di dimensioni maggiori rispetto alla foca grigia, si possa attribuire la capacità di trasformarsi in esseri umani, e sono chiamate “Gente Selkie”.
Qualcosa di simile si afferma nella tradizione delle isole Shetland, secondo cui i Tritoni e le Sirene preferiscono assumere la forma di foche più grandi, chiamate “Pesci Haaf”.
Le Selkies sono solitamente descritte come attraenti e seducenti in forma umana, e molte storie su di loro narrano che abbiano relazioni romantiche o sessuali con esseri umani, spesso dando origine a bambini.
A volte possono anche essere costrette, o indotte con l’inganno, a sposare esseri umani, così come spesso qualcuno ruba e nasconde la loro pelle di foca, impedendo loro di tornare in mare.
Infatti, è tipico il racconto di un uomo che ruba la pelle di una Selkie, avendola trovata nuda sulla riva del mare, e la costringe a diventare sua moglie.
La moglie trascorre il suo tempo in cattività desiderando il mare, la sua vera casa, e guardando con desiderio l’oceano.
In seguito può succedere che lei abbia dei figli dal marito umano ma, se riesce a ritrovare la sua pelle di foca, cosa che spesso si verifica grazie all’aiuto dei suoi bambini, la mutaforma torna immediatamente al mare, abbandonando la prole che ama, ma dalla quale, in alcune versioni delle storie, va in visita sulla terraferma una volta all’anno.
In altre novelle, i figli non rivedranno mai più la loro madre, oppure la Selkie farà loro visita, avvicinandosi verso la riva, ed i bambini vedranno arrivare una grande foca che li “saluta” con il suo verso animale.
Esistono anche i Selkies maschi, descritti come bellissimi nella loro forma umana e dotati di grandi poteri seduttivi sulle donne.
Di solito cercano quelle che sono insoddisfatte della propria vita, come le donne sposate che aspettano i loro mariti pescatori.
In un racconto popolare, si narra che una donna delle isole Orcadi, soprannominata Ursilla, quando desiderava entrare in contatto con il suo Selkie maschio, versava sette lacrime in mare.
Naturalmente, di questi racconti esistono varie versioni a seconda della zona in cui vengono narrati, e in alcuni si dice che le Selkies non possano trasformarsi in umane a loro piacimento, ma debbano aspettare che le condizioni delle maree siano corrette.
Per esempio, per quanto riguarda Ursilla, il suo Selkie maschio contattato prometteva di farle visita al “settimo ruscello” o “marea primaverile”.
In alcune versioni, le Selkies possono assumere sembianze umane solo una volta ogni sette anni, perché sono corpi che ospitano anime condannate.
Ciò perché c’era il pensiero che questi mutaforma fossero esseri umani che avevano commesso atti peccaminosi, o angeli decaduti.
Nel racconto “Il figlio di Gioga”, un gruppo di foche che riposava nelle Ve Skerries, isole rocciose delle Shetland, subì un’imboscata e venne scuoiato dai pescatori di Papa Stour (altra isola delle Shetland), ma poiché si trattava in realtà di Selkies, lo spargimento del sangue causò un’ondata di acqua di mare, ed un pescatore fu abbandonato.
Le vittime-Selkies si ripresero in sembianze umane, ma lamentarono la perdita della pelle, senza la quale non avrebbero potuto tornare alla loro casa sottomarina.
Il marito di una di queste, Ollavitinus, era particolarmente angosciato poiché ormai era separato dalla moglie, ma sua madre Gioga fece un patto con il marinaio abbandonato, offrendosi di riportarlo a Papa Stour, a condizione che la pelle gli fosse restituita.
Una storia delle isole Fær Øer, “La leggenda di Kópakonan”, (Kópakonan significa letteralmente “donna foca”), racconta di un giovane contadino del villaggio di Mikladalur che, dopo aver appreso dalle voci popolari che le foche potevano sbarcare e cambiare la pelle una volta all’anno nella tredicesima notte, andò a vedere di persona.
Mentre era in agguato, l’uomo osservò molte foche nuotare verso la riva, mutando la pelle per rivelare le loro forme umane.
Il contadino prese la pelle di una giovane donna Selkie la quale, non potendo tornare in acqua senza di essa, fu costretta a seguire il giovane nella sua fattoria e diventare sua moglie.
I due restarono insieme per molti anni, generando anche un figlio e, ogni giorno, l’uomo chiudeva la pelle della Selkie in una cassa, tenendo sempre con sé la chiave della serratura, in modo che sua moglie non potesse mai accedervi.
Tuttavia, un giorno l’uomo dimenticò la chiave a casa e tornò alla sua fattoria, scoprendo che sua moglie si era ripresa la pelle ed era tornata nell’oceano.
Tempo dopo, durante una battuta di pesca, il giovane ritrovò la Selkie ed uccise sia suo marito Selkie che i suoi due figli.
Infuriata, la donna Selkie promise vendetta per i suoi parenti perduti, esclamando: “alcuni affogheranno, altri cadranno da scogliere e pendii, e questo continuerà, finché non saranno perduti così tanti uomini da poter unire le braccia attorno all’intera isola di Kanchey!”
Si ritiene che le morti che si verificano sull’isola, ancora oggi, siano dovute proprio alla maledizione di questa Selkie.
Nella ballata popolare “Peter Kagan and the Wind”, Gordon Bok canta del pescatore Kagan che sposò una donna-foca.
Contro il volere della moglie, salpò pericolosamente verso la fine dell’anno e rimase intrappolato, mentre combatteva contro una terribile tempesta, impossibilitato a tornare a casa.
Sua moglie assunse la forma di foca e lo salvò, anche se ciò significò per la Selkie di non poter tornare mai più nel suo corpo umano e quindi nella sua casa felice.
In una famosa rivisitazione della leggenda dei Selkies, la ballata “The Secret of Roan Inish”, un film indipendente americano-irlandese del 1994, si racconta la storia di una giovane ragazza che scopre di discendere dai Selkies.
La donna parte all’avventura per ritrovare suo fratello, che presumibilmente era stato catturato dalle Selkies.
Uno degli elementi più toccanti delle leggende sui Selkies è l’idea che, prima o poi, dovranno tornare in mare, che guardino con desiderio l’oceano, combattuti tra l’amore per i loro partner umani ed il bisogno di ritornare alla loro forma autentica.
In alcune versioni della leggenda, le Selkies possono ritornare alla loro forma di foca dopo aver versato sette lacrime in mare, atto che consente loro di tornare al loro stato naturale e fuggire dal mondo degli umani.
Altre ancora indicano anche che le donne umane possono diventare Selkie, se indossano una pelle di foca e camminano in mare, e che possono quindi tornare alla forma umana una volta cambiata la pelle.
I figli nati tra l’uomo e le Selkie possono avere le mani palmate, come nel caso della “Sirena delle Shetland”, i cui figli avevano “una sorta di rete tra le dita”, o anche di Ursilla, e quindi i bambini devono farsi tagliare ad intermittenza la fettuccia di materiale corneo tra le dita delle mani e dei piedi.
In “The Folklore of Orkney and Shetland “, dello scrittore scozzese del ‘900 Ernest Marwick, si narra di una donna che dà alla luce un figlio con la faccia di foca, dopo essersi innamorata di un uomo Selkie.
In seguito, un sogno le rivela la posizione dell’argento che la donna dovrà trovare, dopo aver dato alla luce suo figlio.
Inoltre, sembra che un gruppo di discendenti dei Selkies, menzionato anche dallo stesso Marwick, possedesse una pelle verdastra, screpolata in alcuni punti del corpo, e che queste ferite emanassero un forte odore di pesce.
Bisogna comprendere che, prima dell’avvento della medicina moderna, molte condizioni fisiologiche erano incurabili e, quando i bambini nascevano con anomalie, era cosa comune incolpare le fate o altre entità simili.
Il clan MacCodrum delle isole Ebridi Esterne divenne noto come i “MacCodrum delle foche”, poiché affermavano di discendere dall’unione tra un pescatore ed una Selkie.
Questa era una spiegazione per la crescita (sindattilia, malattia ereditaria) della pelle tra le dita che faceva sembrare le loro mani delle pinne.
Un’altra spiegazione per il mito dei Selkies, proverebbe dal fatto che gli Inuit indossavano abiti ed usavano kayak, entrambi fatti di pelli di animali.
Sia i vestiti che i kayak perdono galleggiabilità una volta saturi e dovrebbero essere asciugati, quindi si pensa che gli avvistamenti di Inuit che si spogliavano dei loro vestiti, o giacevano accanto alle pelli sulle rocce, avrebbero potuto portare a credere nella loro capacità di trasformarsi da foca in uomo e viceversa.
Un’altra credenza è che gli Spagnoli naufraghi furono portati a riva, e che i loro capelli neri come il giaietto somigliassero alle foche. Infine, l’antropologo norvegese A. Asbjørn Jøn, afferma dell’esistenza di una forte tradizione, che indica che i Selkies “si siano formati in modo soprannaturale dalle anime delle persone annegate”.
Comunque sia, nel corso del tempo, il folklore che circonda le Selkies si è evoluto e sono diventate più strettamente associate alle storie d’amore romantiche, ispirando molte opere d’arte, letteratura, musica e film.
Molto bello è il film d’animazione irlandese del 2014, “Song of the Sea”, che narra di un giovane ragazzo, il quale scopre che sua sorella muta è una Selkie, che deve trovare la sua voce e liberare le creature fatate dalla dea celtica Macha.
Ma uno degli adattamenti alla leggenda più amati è “Ondine, il segreto del mare”, un dramma romantico del 2009 con Colin Farrell, ambientato a Castletownbere, in Irlanda, il quale esplora la possibile esistenza delle Selkies.
È la storia di un pescatore irlandese, che scopre una donna nella sua rete da pesca e sua figlia, curiosa, inizia a sospettare che la donna possa essere una Selkie.
Fate attenzione…
Da quando è nato il Mondo, in ogni civiltà i genitori hanno sempre raccomandato ai propri figli alcune regole comportamentali, hanno detto di smetterla con i capricci, hanno chiesto il loro aiuto ecc, ricevendo molto spesso esattamente il contrario di quanto richiesto.
Questo modo di fare ha indotto i genitori a sentirsi frustrati ed in molte culture sono nate storie, come quelle che, per esempio, raccontano del famoso “Uomo Nero“, una creatura (diversa in ogni civiltà nell’aspetto e nei livelli di cattiveria) che minacciava di causare ogni tipo di danno immaginario ai bambini che si comportano male, quando i loro genitori educatamente chiedevano loro di fare qualcosa.
Streghe, fantasmi, mostri, persino divinità, sono stati utilizzati per motivare i bambini ad avere un atteggiamento migliore nella vita (a volte con grande successo!).
In tutto il mondo greco si raccontavano le storie di Mormò (figura in seguito ereditata dai Romani, simile ad alcune rappresentazioni dei vampiri femminili) soprattutto prima di andare a dormire, o quando il bambino era troppo lamentoso, viziato e capriccioso.
La Mormò è un personaggio greco, nella superstizione descritto come uno spettro femminile che si cibava del sangue dei bambini in fasce, oppure mordeva quelli cattivi, o li faceva zoppicare, oltre a provocare disordini in case e botteghe.
Per questo motivo era generalmente nominata come spauracchio da madri e balie, per spaventare i bambini ed impedire loro di comportarsi male.
Mormò, al plurale Mormones, significa “spaventoso” o “orribile”, ed è correlato a una serie di parole che significano “paura“.
Esso era uno spirito femminile (ma qualche volta considerato ermafrodita) o un fantasma, un essere spettrale noto per incutere paura, ed a volte era considerato intercambiabile con altri mostri come Lamia, Gello o la Strige, un uccello notturno simile ad un vampiro che si nutriva del sangue dei bambini.
Mormò era anche descritta come un “demone” o uno “spirito”, che si nascondeva nelle stanze e semplicemente mordeva i bambini cattivi nel cuore della notte, non per uccidere o mutilare, ma solo per attirare la loro attenzione.
Un piccolo morso rapido e doloroso sul braccio, sulla gamba o sul sedere, per ricordare loro chi era il capo.
Descritta decisamente brutta, non esistono scritti antichi dettagliati che forniscano particolari certi sulla Mormò, alcuni l’associano ai cavalli con alcune caratteristiche equine, altri di farfalle, altri ancora la descrivono con grandi orecchie e una lunga lingua, che corre a quattro zampe.
Poteva avere zanne affilate con cui procurare i morsi sopra menzionati e poteva cambiare forma per stipare la sua forma in qualsiasi angolo oscuro, in attesa del momento perfetto per terrorizzare un bambino ribelle nelle prime ore della notte: in pratica un Mutaforma!
Nella mitologia, secondo un racconto, la Mormò originariamente era una donna di Corinto, la quale cominciò a divorare i bambini, prima i suoi, poi quelli degli altri, diventando alla fine uno spauracchio.
In una tradizione alternativa, Mormò era originariamente la regina dei cannibali Lestrigoni (popolo leggendari di giganti antropofagi) che, dopo aver perso i propri figli, si dedicò all’omicidio dei figli altrui.
Ancora un’altra tradizione, forse cercando di aumentare l’aura di terrore di Mormò, fece dell’orribile creatura la nutrice di Acheronte, uno dei fiumi degli Inferi.
La Mormò era associata spesso ad Ecate e ad altre Dee lunari, aveva probabilmente una connessione con i poteri del fuoco, quindi potrebbe essere una delle tre facce di una divinità più ampia.
Per i Greci, esisteva anche un’altra divinità simile a Mormò, di cui potrebbe essere una variante: Accó.
Accó era un demone di aspetto femminile, il quale veniva menzionato ai bambini dai genitori, anch’esso come spauracchio per evitare che facessero cattive azioni.
L’origine del nome dovrebbe proveinre da “akkìzomai” = “ghigno”, oppure potrebbe avere un possibile significato di “madre” (radice indoeuropea), epiteto che fu probabilmente successivamente tramandato agli Etruschi ed ai Romani, per i quali diventò Acca.
Troviamo un riferimento alla Mormò in due opera del commediografo Aristofane (446-386 a.C.), “Gli Acarnesi” e “La Pace”; ed anche nell’opera di Erinna, poetessa molto celebrata nell’Era alessandrina, nata a Telo (vicino Rodi) nel IV secolo a.C. e morta a soli 19 anni.
Ella scrisse in dialetto dorico un poemetto intitolato “La conocchia”, di cui restano frammenti, un canto di dolore per l’amica Baucide, morta poco dopo le nozze.
“I bianchi cavalli smaniosi
si levavano dritti sulle zampe
con grande strepito; il suono della cetra
batteva in eco sotto il portico vasto della corte.
O Bàuci infelice, io gemendo piango al ricordo.
Queste cose della fanciullezza hanno ancora calore
nel mio cuore, e quelle che non furono di gioia
sono cenere, ormai. Le bambole stanno riverse
sui letti nuziali; e presso il mattino
la madre cantando più non reca
il filo sulla rocca e i dolci cosparsi di sale.
A te fece paura da bambina la Mormò
che ha grandi orecchie e su quattro
piedi s’aggira movendo intorno lo sguardo.
E quando, o Bàuci amata, salisti sul letto dell’uomo
senza memoria di quello che giovinetta ancora
avevi udito da tua madre, Afrodite
non fu pietosa della tua dimenticanza.
Per questo io ora piangendoti non ti abbandono;
né i miei piedi lasciano la casa che m’accoglie,
né voglio più vedere la dolce luce del giorno,
né lamentare con le chiome sciolte; ho pudore
del cupo dolore che mi sfigura il volto” .
Fate attenzione…
“Sei una strega, o sei una fata
o sei la moglie di Michael Cleary?”
-filastrocca irlandese-
Se Alice Kyteler è stata la prima Strega d’Irlanda, l’ultima, probabilmente è stata Bridget Cleary, ed ecco la sua storia.
Bridget Boland nacque nel 1869 a Ballyvadlea, in Irlanda e, nell’agosto 1887 sposò Michael Cleary, nella chiesa cattolica romana in pietra di Drangan.
La coppia si era incontrata all’inizio di quel mese a Clonmel, dove
la diciottenne Bridget era apprendista sarta, una vocazione insolita per una ragazza della sua età e mezzi modesti.
Michael, allora 27enne, lavorava come bottaio, costruendo botti e altri beni.
Dopo il matrimonio, essi vissero separati per gran parte dell’anno successivo: Bridget tornò a Ballyvadlea, forse per prendersi cura della madre malata, e Michael a Clonmel, continuando a lavorare come bottaio.
Bridget abitava in un cottage, continuando ad essere una talentuosa sarta nonché venditrice di uova, finché vi si trasferì anche Michael.
Trascorsero otto anni di matrimonio e la coppia non aveva avuto figli, ma sembra che fossero in ottimi rapporti, nessuno li aveva mai sentiti discutere o litigare, ed erano benestanti, tanto che Bridget possedeva addirittura una macchina per cucire.
Un giorno, la donna andò a consegnare delle uova, facendo una passeggiata di tre miglia in un luogo a lei familiare, vicino al forte medievale ad anello di pietra (nell’Alto Medioevo, negli insediamenti venivano spesso costruiti forti protettivi ad anello di terra e pietra), sulla collina di Kylenagranagh, noto a molti come il “Forte delle Fate“.
All’epoca, si parlava di “Aos Sí “o “Fair folk”, ovvero fate di dimensioni umane, che vivevano in un mondo nascosto e, come gli esseri umani, potevano essere generose, concedendo buoni favori a coloro che le trattano con rispetto, oppure malvagie e vendicative, guastando il latte e danneggiando i raccolti.
A Ballyvadlea, la gente del posto diceva:
“Se ti avvicini troppo a un cerchio fatato, potresti essere rapito da una fata, soprattutto se sei un bambino o una bella donna”.
Si narrava, che a volte le fate avessero problemi a generare figli da sole, quindi rapivano bei mortali per continuare la loro discendenza.
Al posto del rapito, le fate lasciavano un Cangiante, una fata fatta per assomigliare alla persona rubata, che spesso poteva essere identificato a causa delle sue strane azioni, tipo ammalarsi o apparire leggermente diverso dall’umano che aveva sostituito.
Quindi, se qualcosa andava storto nell’Irlanda del XIX secolo, era colpa delle fate, che si diceva abitassero in fortezze fatate, come quella in cui Bridget passò quel lunedì mattina e poi, quando tornò a casa, iniziò a non stare bene.
Sembrava che non riuscisse a scaldarsi e, il giorno successivo, rimase a letto con i brividi, lamentandosi di “un dolore furioso alla testa”.
Nei giorni successivi, le sue condizioni peggiorarono ed il padre di Bridget camminò per quattro miglia sotto la pioggia, per andare a prendere il dottore, il quale non potette andare.
Michael provò a chiamarlo altre due volte, prima che finalmente arrivasse il dottore, nove giorni dopo che Bridget si era ammalata.
Il medico le diagnosticò “eccitazione nervosa e leggera bronchite“, prescrivendole delle medicine.
Più tardi quel pomeriggio, un prete diede a Bridget l’estrema unzione, per ogni evenienza.
Michael era sempre più preoccupato per il benessere di sua moglie ed iniziò a cercare una causa soprannaturale per la sua malattia.
Iniziò ad affermare che la malata Bridget era “due pollici più alta” e “troppo bella” per essere sua moglie.
Dunne, un seanchaí (narratore locale), esperto di fiabe, avallò i sospetti di Michael, dicendogli: “Non è che tua moglie sia lì“.
Su sollecitazione di Dunne, Michael andò dal “dottore delle fate” locale, Dennis Ganey, per una cura a base di erbe:
“Prendilo, strega, o ti ammazzo!“
Per scacciare la fata, gettarono addosso alla povera Bridget dell’urina e la minacciarono con un attizzatoio rovente, bruciandole la fronte.
E queste torture durarono ancora e ancora,.
Secondo una testimonianza della cugina Johanna Burke, Bridget sembrava “selvaggia e squilibrata“.
Alla fine della notte, tuttavia, nel cottage sembrò calare la quiete: Michael era soddisfatto del suo esorcismo.
Al mattino, venerdì 15 marzo 1895, per la prima volta in quasi due settimane, Bridget indossava i suoi abiti tipicamente alla moda “per darle coraggio quando andava tra la gente“, raccontò in seguito Burke.
Quel pomeriggio, diversi parenti vennero a prendere il tè ma, quando Bridget chiese del latte, si riaccese la paranoia di Michael, in quanto le dicerie narravano che le fate bramino il latte fresco.
Anche Mary Kennedy andò a trovare la nipote malata, su per la collina fino al cottage dei Cleary a Ballyvadlea ma, mentre si avvicinava alla casa, sentì delle urla e, quando aprì la porta, vide sei uomini, tra cui Michael e lo stesso padre della donna, che tenevano Bridget ferma nel suo letto.
Ormai col passare dei giorni, anche i parenti di Bridget, si erano convinti che ci fosse un mutaforma fatato in casa, un Cangiante, che si era messo al posto di Bridget, la quale era stata rapita dalle fate.
Michael riprese di nuovo il suo interrogatorio e Bridget gli disse:
“Tua madre andava con le fate, ed è per questo che pensi che io vada con loro“.
Il marito si arrabbiò, costringendo Bridget a mangiare diversi pezzi di pane prima di gettarla a terra, le strappò i vestiti, la cosparse di olio, poi prese un bastoncino caldo dal camino e diede fuoco al tessuto.
James Kennedy, un parente, intimò a Michael di non bruciare sua moglie.
Ma l’uomo rispose:
“Non è mia moglie, è una vecchia strega ingannatrice inviata al posto di mia moglie.”
Ci fu una grande confusione quando i membri delle due famiglie si resero conto di ciò che aveva fatto Michael Cleary, e decisero di rimanere chiusi in quella casa.
Michael trascorse le successive tre notti consecutive, aspettando sulla collina di Kylenagranagh che le fate restituissero la vera Bridget.
Da un momento all’altro, credeva, sarebbe arrivata al galoppo, attraverso il forte ad anello su un cavallo bianco, lui l’avrebbe liberata e sarebbero tornati a casa, insieme.
Poi, con l’aiuto di Patrick Kennedy, Michael rimosse il corpo dalla casa e seppellì Bridget in una fossa poco profonda, a circa un quarto di miglio dal loro cottage.
I resti di Bridget Cleary furono ritrovati nei giorni seguenti in una fossa poco profonda, vicino all’abitazione e, mercoledì 20 marzo 1895, la polizia arrestò otto persone per il loro coinvolgimento nella morte della donna.
Come parte del processo di due giorni molto pubblicizzato nel luglio 1895, la giuria fu effettivamente condotta all’edificio di stoccaggio in cui il corpo di Bridget era tenuto per la sepoltura, e dove era disponibile per la visione.
Alla giuria fu data l’opportunità di vedere le condizioni del corpo e l’entità delle ferite della donna, nonché di verificare personalmente che il corpo fosse davvero di Bridget, guardandola in faccia.
Ciò che la giuria vide nella dependance, la convinse delle orribili sofferenze che Bridget aveva subito prima di morire.
Pertanto, Michael fu accusato di omicidio colposo, ed anche Jack Dunne, Patrick Boland e quattro cugini di Bridget furono giudicati colpevoli e condannati a pene che andavano dai sei mesi ai venti anni di lavori forzati.
Michael Cleary fu condannato a vent’anni di servitù penale e trascorse quindici anni in prigione.
Il 28 aprile 1910 fu rilasciato dalla prigione di Maryborough e si trasferì nella città inglese di Liverpool, emigrando poi in Canada nel luglio dello stesso anno.
Gli atti giudiziari del processo forniscono dettagli notevoli su coloro che divennero testimoni, tra cui la cugina di Bridget, Johanna Burke, e sua figlia di dieci anni, Katie.
I registri del tribunale mostrano che Michael Cleary fu condannato a vent’anni per la sua parte nell’omicidio e, al suo rilascio, andò a Liverpool e poi in Canada.
Registri del General Prisoners Board, risalenti al 1852-1946 e comprendenti verbali, rapporti annuali, diari di lavori forzati e casellari giudiziari, includono i precedenti penali per Michael Cleary, Patrick Kennedy e John Dunne, condannati per il loro ruolo nella diffusione della tradizione fatata dei Changeling (Cangianti) che uccise Bridget.
Nell’archivio ci sono alcune fotografie, che descrivono in dettaglio l’esterno della casa Cleary, la stanza in cui Bridget dormiva, la cucina della casa, la seconda camera da letto e l’area in cui fu scoperto il suo corpo.
Esiste anche un ulteriore file, che afferma l’esistenza di una fotografia, che testimoniava la scena dell’indignazione, ovvero quella in cui Bridget viene torturata per confessare di essere una Cangiante, ma naturalmente scomparve.
Nonostante l’Irlanda dell’epoca fosse considerata arretrata, un luogo dove la superstizione dilagava con effetti fatali, l’omicidio di Bridget parla di qualcosa di più sinistro, ovvero di cosa succedeva alle donne che andavano al di fuori delle aspettative della società di quel periodo.
Infatti, Bridget Boland era intelligente, bella e indipendente e, per molti versi, si adattava alla definizione della “nuova donna” della fine del XIX secolo.
Bridget era una sarta e modista, e vendeva anche uova, in gran parte mantenendosi da sola, per campare non aveva bisogno del marito come la maggior parte delle donne dell’epoca.
Sia lei che il marito erano alfabetizzati, benestanti, vivevano in una casa con finestre di vetro e tetto d’ardesia, mentre la restante popolazione vivevano in abitazioni con tetti di paglia e pareti di fango.
Inoltre non avevano figli nonostante gli 8 anni di matrimonio e la cosa li rendeva ancora più diversi dagli altri.
Ma oltre a questo, è irragionevole pensare che “stare via con le fate” fosse un mito patriarcale modellato per trattare con donne recalcitranti?
Potrebbe essere che, in realtà, proprio come le streghe che venivano bruciate sul rogo, anche Bridget Cleary sia stata accusata di qualcosa di assurdo quando, forse, aveva una relazione con un altro uomo; oppure che la sua malattia fosse la conseguenza di un aborto spontaneo di un figlio generato con un altro uomo?
Non potrebbe essere che Michael Cleary abbia compiuto un atto di vendetta contro la moglie, quando ha scoperto tutto?
Era coinvolto in un atto di avvelenamento, e quella notte l’uccisione a causa delle “fate” è stata solo la motivazione a cui tutti avrebbero creduto, grazie alla forza enorme che tali credenze esercitavano sulle menti non istruite?
Concludendo, la morte di Bridget è stata popolarmente descritta come “L’ultima strega bruciata in Irlanda“, quando invece non è mai stata effettivamente descritta come collaboratrice del diavolo, come da consuetudine con le streghe accusate: si pensava solo che fosse stata sostituita da una fata cangiante.
Certo cambia poco, la realtà è che Bridget fu uccisa in maniera orribile, vittima della cattiveria, ignoranza, violenza, indifferenza e grettezza umana.
Cosa che continua ad accadere anche oggi, XXI secolo…
Nella mitologia europea, Changeling, ovvero Cangiante, è una creatura simile ad un essere umano, ma in realtà è una fata lasciata al posto di un bambino o di un neonato, rubato da altre fate.
Quando menzioniamo la parola “fata“, pensiamo ad esseri gentili e benevoli, ma questo non è certamente il caso dei Cangianti, che venivano scambiati solitamente per uno di questi tre motivi:
1) perché le fate volevano che il bambino rapito fosse un loro servitore,
2) perché volevano ricevere l’amore di un bambino umano,
3) per malizia/vendetta.
La maggior parte delle volte, lo scambio veniva effettuato con una fata anziana, in modo che potesse vivere la sua vita nel comfort di un essere umano, o in modo che potesse morire.
Di solito venivano rapiti i bambini più belli, perché le fate desideravano ed ammiravano questa peculiarità.
Spesso un bambino poteva ammalarsi o assumere uno strano aspetto, oppure una persona poteva all’improvviso diventare incapace di muovere gli arti: “colpita dalle fate” si diceva, e la gente del posto iniziava a sospettare che sotto ci fosse il loro zampino.
Nel Medioevo, si pensava che i bambini con deformità, malattie o condizioni, che all’epoca erano inspiegabili, fossero stati sostituiti da Cangianti, motivo per cui molti di loro erano abbandonati o addirittura uccisi.
Ma c’erano quelli che sospettavano, che il loro bambino fosse stato scambiato con un Mutaforma e, quindi, sentivano di doversene prendere cura ugualmente ed amarlo, per paura che le fate facessero del male al loro vero bambino o, peggio, non lo riportassero mai indietro.
Alcuni credono che l’origine del mito del Cangiante derivi da un angolo molto oscuro della mente, che si azionava quando sussisteva un problema che non si riusciva a comprendere o risolvere, a causa della mancanza di comprensione di determinate disabilità e condizioni, come l’autismo o la malattia fisica.
Per esempio, se una famiglia non si sentiva in grado di prendersi cura di un bambino, in particolare uno che riteneva non sarebbe stato utile per loro in futuro, in quanto malato o deforme, era più facile per loro “perdere” il bambino, credendo che fosse stato rapito dalle fate, piuttosto che ammettere di aver lasciato morire il proprio figlio.
Infatti nell’epoca medioevale, l’infanticidio era un aspetto orribile ma molto reale della vita rurale, ed il fatto che esistano innumerevoli racconti sui Cangianti, indica che i genitori di questi sfortunati bambini li vedessero come una minaccia per la sopravvivenza delle loro famiglie, e quindi li facevano morire, considerando che fosse l’unico modo per salvare tutti gli altri.
Una storia del genere si può trovare in un episodio della prima stagione di “Outlander”, una serie Tv ambientata in Scozia.
Nelle leggende irlandesi e scozzesi, un bambino fatato appariva malaticcio e non cresceva di dimensioni come un bambino normale, e poteva anche avere caratteristiche fisiche notevoli, come barba o denti lunghi.
Era descritto con un’intelligenza superiore ai suoi anni apparenti, oltre a possedere una pungente intuizione.
Inoltre un Cangiante poteva mostrare un comportamento insolito quando pensava di essere solo, come saltare, ballare o suonare uno strumento.
Ma alcune storie raccontano addirittura che il Cangiante doveva essere torturato per rivelarsi, il che portò a molti casi reali di abusi sui minori.
Solo in rare occasioni i genitori furono ritenuti responsabili di questi abusi.
Uno di questi casi ebbe luogo nel 1690 a Gotland, in Svezia, dove una coppia fu processata dopo aver lasciato il proprio bambino di 10 anni su un mucchio di letame, durante la notte della vigilia di Natale.
Il bambino era malato e non cresceva correttamente e la coppia, credendo che fosse un Cangiante sperava che, lasciandolo in un posto simile gli elfi, che presumibilmente avevano rubato il loro bambino originale, li avrebbero scambiati di nuovo.
Invece, il bambino morì per esposizione al gelo.
In alcune storie, come il racconto islandese “The Changeling Who Stretched“, che racconta di un ragazzo che crebbe rapidamente fino a diventare adulto, i Cangianti non erano affatto bambini fatati, ma piuttosto fate adulte che assumevano la forma di un bambino, per poter convincere i genitori che il loro bambino fosse un Cangiante, e quindi a temerlo.
Nel 1826, ci fu un caso inquietante di un’anziana donna irlandese di nome Ann Roche, la quale si stava prendendo cura del nipote di quattro anni, Michael Leahy, che non era in grado di camminare o dormire ma, all’improvviso, lo annegò in un fiume, presumibilmente credendo che l bambino fosse “incantato dalle fate“.
Al processo per il suo omicidio, la donna disse di aver annegato il bambino “per mettere fuori gioco la fata“, credendo che lo avrebbe curato e…fu dichiarata NON COLPEVOLE.
Nel folklore scozzese, i bambini rapiti potevano sostituire i Cangianti nel tributo dovuto dalle fate al diavolo ogni sette anni, come narrato nella ballata Tam Lin e in quella di Thomas the Rhymer.
Secondo altri miti scozzesi, un bambino nato con un “caul” ovvero con una parte della membrana amniotica sul viso, era un Cangiante di nascita fatata e presto sarebbe morto.
Altre storie affermano, che il latte umano era necessario per la sopravvivenza dei bambini fatati, quindi o il bambino umano appena nato veniva scambiato con un bambino fatato per essere allattato dalla madre umana, oppure la madre umana veniva portata nel mondo delle fate, per allattare i piccoli fatati.
Ma, si racconta, che anche le ostetriche umane fossero necessarie per mettere al mondo i bambini delle fate.
Si narra, inoltre di Cangianti che dimenticavano di non essere umani e continuavano a vivere una vita umana, oppure che non dimenticavano, tuttavia, tornavano alla loro famiglia fatata, abbandonando quella umana senza preavviso.
Nel Medioevo, in Scandinavia si diceva che la bellezza nei bambini umani e nelle giovani donne, in particolare i tratti che evocano luminosità o riflessi, come i capelli biondi e gli occhi azzurri o argentati, attirassero le fate, poiché forse trovano preziosità in questi tratti.
In Cornovaglia, ci sono alcune pietre chiamate Mên-an-Tol, le quali hanno un guardiano fatato o un folletto, che può praticare cure miracolose.
Si racconta che un bambino Cangiante sia stato fatto passare attraverso una di quelle pietre, affinché restituisse alla madre il suo vero figlio, che i folletti malvagi avevano scambiato, in quanto solo le pietre erano in grado di invertire il loro incantesimo.
In Germania, i Cangianti si chiamavano Wechselbalg, Wechselkind, Kielkopf o Dickkopf (in riferimento agli enormi colli e teste di questi Mutaforma).
Qui esistevano diversi metodi per identificare un Cangiante e quindi farsi restituire il bambino reale:
∇confondere il Cangiante cuocendo o preparando la birra nei gusci d’uovo.
Questo costringeva il Mutaforma a parlare, rivendicando la sua vera età, rivelando la sua provenienza;
∇tentare di bruciare il Cangiante nel forno, cercando di fargli dire la verità;
∇colpirlo o frustarlo.
Una volta scoperta la sua reale natura fatata, l’essere doveva essere nutrito con il latte di una donna, prima di sostituire i bambini.
Nel folklore tedesco, inoltre, si parla anche di diversi possibili genitori, noti per i cangianti:
∇ il diavolo, credenza condivisa da Martin Lutero che, per questo motivo, sosteneva l’uccisione dei Cangianti;
∇ una nana femmina;
∇ uno Spirito dell’acqua;
∇una Roggenmuhme o Roggenmutter (donna demoniaca che vive nei campi di grano e ruba bambini umani).
In Polonia c’era il Mamuna o Boginki, uno spirito che scambiava i bambini nella culla.
Questi Cangianti avevano un addome anormalmente grande, una testa insolitamente piccola o grande, una gobba, braccia e gambe sottili, un corpo peloso e lunghi artigli.
Inoltre, i Cangianti Mamuna mettevano la loro prima serie di denti prematuramente rispetto a un bambino umano.
Le madri, per proteggere il proprio figlio dal rapimento della Mamuna, legavano un nastro rosso attorno al polso del bambino, gli metteva un cappello rosso in testa e lo teneva lontano dalla luce della luna.
Altri metodi preventivi includevano il non lavare i pannolini dopo il tramonto, e il non voltare mai la testa dal bambino mentre dormiva.
Tuttavia, se un bambino veniva rapito dalla Mamuna, si poteva costringerla a restituirlo, portando il Cangiante in un letamaio, frustandolo con un bastoncino di Betulla e versandogli sopra dell’acqua da un guscio d’uovo, il tutto gridando:
“Prendi il tuo; restituiscimi il mio“.
In genere, il Mamuna si dispiaceva per il proprio figlio e lo restituiva alla madre.
In Galles, il bambino Cangiante inizialmente assomigliava a quello umano sostituito, ma gradualmente diventava più brutto nell’aspetto e nel comportamento: malformato, con un cattivo carattere, che urlava e mordeva.
Poteva anche essere meno intelligente del solito, oppure essere ugualmente identificabile per via della sua saggezza ed astuzia tipica di un adulto.
Il modo più comune impiegato per identificare un Cangiante era cucinare un pasto in un guscio d’uovo, cosa che avrebbe fatto esclamare al bambino: “Ho visto la ghianda prima della quercia, ma non ho mai visto qualcosa di simile” e poi sarebbe svanito, per essere sostituito dal bambino umano originale.
In alternativa, o in seguito a questa identificazione, sarebbe stato necessario maltrattare il Cangiante mettendolo in un forno caldo, tenendolo in una pala sopra un fuoco caldo, o bagnandolo in una soluzione di Digitale.
In Irlanda, guardare un bambino con invidia, ovvero “guardare oltre il bambino“, era pericoloso, poiché metteva in pericolo il piccolo, che allora era in potere delle fate.
Così come era pericoloso anche ammirare o invidiare una donna (soprattutto neo sposa o neo mamma) o un uomo, naturalmente belli, a meno che la persona non aggiungesse una benedizione.
Varie leggende descrivono modi per sventare un’aspirante fata rapitrice, per esempio gridando: “Gairim agus coisricim thú” (Ti benedico) o “Dio ti benedica“, che avrebbe indotto la fata ad abbandonare il bambino che stava cercando di rubare.
Un’altra possibile tattica era quella di inserirsi in una discussione su chi avrebbe tenuto il bambino, urlando alla fata: “a me“, cosa che l’avrebbe indotta a restituire il bambino umano.
I Cangianti, in alcuni casi, non erano considerati bambini fatati sostituti, ma piuttosto vecchie fate portate nel mondo umano per morire.
Il nome Siofra, dato oggi alle ragazze irlandesi, significa “bambino elfico o cangiante”, e deriva da Síobhra che significa fata .
La credenza nei Cangianti resistette in alcune parti dell’Irlanda fino al 1895, quando Bridget Cleary fu uccisa dal marito che la credeva una Cangiante, per costringere le fate a restituire la sua “vera” moglie.
In generale, esistevano dei modi per tenere lontane le fate dalle culle dei neonati, come un cappotto rovesciato o forbici di ferro aperte, lasciate dove dormiva il bambino, che si pensava le allontanasse; altre misure includevano una costante sorveglianza sul piccolo.
Ma quando veniva rapito un adulto al posto di un bambino, al posto dell’umano rubato veniva lasciato un oggetto, come un tronco incantato con le sembianze della persona rapita.
Quest’oggetto al posto dell’umano poteva ammalarsi e morire, essere sepolto dalla famiglia umana, mentre l’umano vivente continuava a vivere tra le fate.
Vi lascio con una bella leggenda sui Mutaforma, raccontata dai Fratelli Grimm.
Nel 1580, in un campo vicino a Breslavia, in Germania, c’era un nobile che, ogni estate, richiedeva ai suoi sudditi di raccogliere il suo grande raccolto di fieno.
Nessuno era esentato da questo lavoro manuale, nemmeno una neomamma, che aveva partorito il suo primo figlio appena una settimana prima.
Non potendo fare altrimenti, la giovane madre portò con sé il neonato nel campo del nobile e si mise al lavoro, deponendo il bambino in un piccolo fazzoletto d’erba.
Quando più tardi tornò ad allattare il bambino, questi iniziò a ululare in modo disumano e le morse il seno con tanta forza e avidità, che la donna gridò di dolore.
Il piccolo non assomigliava per niente al bambino che conosceva, ma la mamma tornò a casa e lo tenne con sé per diversi giorni, tollerando nel frattempo il suo comportamento disgustoso, finché non riuscì più a sopportarlo.
Si rivolse al nobile per chiedere aiuto, e lui le disse: “Donna, se pensi che questo non sia tuo figlio, allora fai questa cosa. Portalo nel prato dove hai lasciato il tuo bambino precedente e battilo forte con un bastoncino di Betulla. Allora sarai testimone di un miracolo”.
La donna fece come le era stato detto e picchiò il bambino con un bastoncino, finché non iniziò ad urlare.
Fu allora che le apparve il Diavolo, tenendo in braccio il suo bambino rubato, e le disse: “Ecco, ce l’hai!”
E portò via il suo demoniaco figlio.
Fate attenzione…
Le leggende del Portogallo e della Spagna parlano di una terra incantata, Mourama, in cui un popolo magico, i Mouros, dimora sotto terra in Portogallo e Galizia.
Mourama è l’aldilà, il mondo dei morti da cui tutto ritorna.
Il Mourama è governato da un essere incantato chiamato rei Mouro (re Mouro) che vi abita con sua figlia, la princesa Moura (principessa Moura), una mutaforma che può trasformarsi in un serpente, chiamato anche “bicha Moura”, o può anche essere vista cavalcare un drago.
Il folklore galiziano dice, che “In Galizia ci sono due tipi di persone sovrapposte: una parte vive sulla superficie della terra, ed è il popolo galiziano, e l’altra nel sottosuolo, i Mouros“.
Nel XIX secolo, gli archeologi usavano le storie locali per individuare la posizione di antichi resti di interesse storico, in particolare insediamenti lusitani abbandonati da tempo, poiché le storie su Moura erano spesso collegate a tali luoghi.
I Lusitani erano un popolo indoeuropeo, che abitava la penisola iberica prima della sua conquista da parte della Repubblica Romana.
Le monete antiche, a volte rinvenute presso i forti collinari di quelle zone, erano quindi conosciute come “medaglie dei Mouros”.
Quasi tutti i villaggi portoghesi o galiziani raccontano di una Moura encantada, che si dice abitasse nella zona.
Infatti, nella penisola iberica, i monumenti funerari non più in uso sono spesso associati alla Moura, e le tombe scavate nella roccia sono conosciute come Covas da Moura (grotta di Moura), Cama da Moura (letto di Moura) o Masseira (il luogo dove il Pane è impastato da Moura).
In alcune regioni, i dolmen sono popolarmente chiamati mouras o Casa da Moura (casa della Moura), credendo comunemente che le Mouras encantadas vivessero in quelle costruzioni.
L’origine del nome Moura rimane sconosciuta e gli studiosi hanno offerto diverse spiegazioni.
La parola potrebbe derivare dal celtico Mrvos, proveniente da “mr-tous”, derivante a sua volta dal latino “mortuus” = morto.
Da notare che questo termine ha lo stesso significato “morto”, sia in portoghese che in galiziano.
Però, tradizionalmente, la parola Mouro era usata anche come sinonimo di “moro” o “musulmano” nella penisola iberica, in quanto per secoli ha ospitato i Mori.
Quindi, è possibile che il nome Moura (la versione femminile di Mouro) sia legato all’idea che i Mori abbiano creato questi antichi monumenti non cristiani con cui la Moura encantada è comunemente associata.
Inoltre, la parola celtica “mahra” significa “spirito”.
In generale, la principessa Moura encantada (l’incantata Moura), quindi è un essere soprannaturale nel folklore portoghese e galiziano, solitamente descritta come una donna che si pettina i suoi bellissimi capelli lunghi, che possono essere dorati, rossi o neri come la pece.
È sotto un incantesimo lanciato solitamente dal padre, o fratello, o amante o un’altra figura maschile, varia da una leggenda all’altra, per costringerla a rimanere ferma e custodire i suoi tesori.
La fanciulla mutaforma, quindi, promette una ricca ricompensa a chiunque sia in grado di spezzare l’incantesimo e liberarla.
La ricompensa consiste in tesori, anche se in altre versioni la Moura si trasforma in una donna umana e sposa il suo salvatore, spesso portando in dote oro ed altri tesori.
Per spezzare l’incantesimo, occorre ad esempio un bacio, latte o pane senza sale.
È particolarmente probabile che la Moura sotto forma di serpente chieda latte.
In alcune storie, l’incantesimo si spezza quando l’umano dice una certa parola o compie una certa prova (per esempio non guardare qualcosa di nascosto).
Se l’umano tenta di liberare la Moura ma fallisce, l’incantesimo viene raddoppiato.
Entrando più nello specifico delle descrizioni di questa magica mutaforma, ne troviamo diverse:
Moura Mãe: Madre Moura, che appare come una bellissima giovane donna incinta.
Cerca un’ostetrica e promette di dare una grande ricompensa all’uomo che può aiutarla.
Moura Fiandeira: Fanciulla filatrice Moura, che appare portando una pietra sulla testa.
Trasporta pietre per costruire un forte sulla collina, mentre fila la lana con una conocchia portata in vita.
Moura serpente: Serpente Moura è una creatura mutaforma che può assumere la forma di un serpente.
Si può placare questa creatura dandole del latte.
In alcune delle storie, il serpente ha le ali, oppure la Moura assume la forma in parte di serpente, in parte di donna.
In alcuni racconti, può assumere talvolta sembianze di cane (cão), capra (cabra) o cavallo (cavalo).
Le storie locali su un serpente Moura sono spesso legate a una fontana, alla cui acqua si attribuiscono proprietà magiche.
In circostanze particolari, bere l’acqua della fontana può far innamorare un giovane della Moura.
Pedra Moura: pietra della Moura, creatura che risiede all’interno della pietra.
Lo sfortunato che si siederà su una di queste pietre rimarrà incantato.
Se porti una di queste pietre nella tua casa, tutti gli animali di quella casa moriranno presto.
Tuttavia, queste pietre sono attraenti per gli umani, perché si ritiene che contengano tesori.
Ci sono diverse leggende in cui la Moura, invece di essere una pietra, vive dentro la pietra.
Nella tradizione portoghese si dice che si possa entrare o uscire da certe rocce, forse legate alle leggende della Moura.
Infatti questo mutaforma è anche descritto mentre viaggia verso Mourama, stando seduto su una pietra che può galleggiare nell’aria o nell’acqua.
Dentro le grotte, sotto le rocce e sotto terra, molte storie dicono che esistano palazzi con tesori.
E comunque non era raro tra i popoli della penisola iberica preromana credere, che le anime dei morti dimorassero in certe rocce.
Così “almas dos Mouros” o “alminhas dos Mouros” (anime o piccole anime dei Mouros) era il nome dato alle are votive, in quanto “alminhas” era il nome comune dell’edicola funeraria.
Si credeva che le Mouras encantadas fossero le costruttrici delle fortezze paleolitiche, dei dolmen e dei megaliti.
Sembra che la Pedra Formosa trovata a Citânia de Briteiros, fu portata in questo luogo da una Moura che la trasportava sulla testa mentre filava con un fuso. Inoltre, solitamente le Mouras sono tessitrici notturne, ma di notte si sente solo il rumore della tessitura.
Moura Frades: Frati delle Mouras sono le creature incantate che appaiono come colonne di pietra bianca, in quanto sono tutte vestite di bianco.
Princesa Moura: Principessa Moura, che sembra un serpente ma con lunghi capelli biondi.
In molte storie, soprattutto quelle di origine portoghese, inizia la sua vita da mortale, come una bellissima principessa musulmana, che si innamora di un cavaliere cristiano portoghese durante il periodo della Riconquista.
In un’altra versione abbastanza comune, è una principessa magica che vive in un castello sotto terra e si innamora di un moro.
Molte delle leggende raccontate sui principi Moura tentano di spiegare l’origine di una città o di un altro insediamento, e gli eventi della leggenda si svolgono nel mondo reale e in un periodo di tempo specifico.
Spesso fatti storici reali sono stati mescolati con elementi soprannaturali.
Moura Lavadeira: Moura lavandaia, che appare come una lavandaia che mette ad asciugare al sole vestiti bianchi puliti.
Moura Velha: Moura vecchia, che appare come una donna anziana.
Cadeira de Moura: La sedia di Moura è un monolite con la forma di una sedia, pensata per essere un trono reale.
La Moura si siede sulla sedia di notte e, ogni volta che va a prendere l’acqua, porta la sedia sotto il braccio.
Moura encantada e ouro: Molte storie sulle Mouras riguardano l’oro, che può apparire in molte forme diverse, tra cui gonne d’oro, filati d’oro, capelli d’oro, strumenti d’oro (come il pettine d’oro) o animali d’oro.
A volte l’oro sembrerà carbone o fichi.
Esso può essere nascosto all’interno di contenitori interrati, come vasi e padelle e ciò potrebbe essere collegato a reali scoperte di oro all’interno di urne in antiche tombe nella penisola iberica.
Quando la gente del posto si imbatteva in un tesoro nascosto come quello, la leggenda di Moura avrebbe aiutato a spiegarne l’esistenza.
In alcune storie, la Moura custodisce tre pentole: una pentola d’oro, una pentola d’argento e una pentola di peste.
Moura encantada e São João (mezza estate): Molte leggende sulla Moura narrano che si mostra con i suoi tesori solo il giorno di San Giovanni, e che questo è l’unico giorno dell’anno in cui puoi rompere con successo l’incantesimo.
In alcune storie, la Moura spargerà fichi su una grande roccia al chiaro di luna. Mentre, in alcune regioni della penisola iberica, il figo lampo (un tipo di fico bianco) viene raccolto in questo periodo dell’anno e tradizionalmente offerto in dono il giorno di San Giovanni.
Ricordo che il giorno di San Giovanni cade il 24 giugno, il che significa che è strettamente associato al Solstizio d’estate.
L’idea che al Solstizio d’estate (mezz’estate) venga conferito un’importanza speciale e un significato soprannaturale risale ai tempi precristiani ed è presente in molte culture diverse.
LEGGENDA DI MOURA SALÚQUIA
La principessa Salúquia, figlia di Abu-Hassan e governatore della città di Moura, allora chiamata Al-Manijah, si innamorò di Bráfama, sindaco moresco di Aroche.
Alla vigilia del matrimonio, Bráfama si recò con un seguito ad Al-Manijah, a dieci leghe di distanza ma, siccome l’intero territorio dell’Alentejo a nord ed a ovest era già stato conquistato dai Cristiani, il viaggio si rivelò pericoloso.
Nel frattempo, re D. Afonso Henriques, il primo sovrano del Portogallo, commissionò a due nobili, i fratelli Álvaro e Pedro Rodrigues, la conquista della città di Moura.
Venuti a conoscenza dei preparativi per il matrimonio, i fratelli tesero un’imboscata in un uliveto vicino ai limiti del villaggio e, sorpreso dall’azione dei cavalieri cristiani, l’entourage di Aroche fu facilmente sconfitto e Bráfama fu ucciso.
Travestendosi con le vesti dei rappresentanti musulmani, i nobili cristiani si recarono in città, dove Salúquia era in cima alla torre del castello, attendendo l’arrivo del suo fidanzato.
Vedendo avvicinarsi un gruppo di cavalieri apparentemente islamici, la principessa pensò che fossero il seguito di Aroche, così ordinò loro di passare attraverso le porte della fortificazione.
Ma, non appena varcarono le mura, i Cristiani si avventarono sui difensori della città, colti di sorpresa, e conquistarono il castello. Salúquia allora si rese conto dell’errore che aveva commesso e, ferita dalla certezza della morte di Bráfama, prese le chiavi della città e si lanciò dalla torre in cui si trovava.
Commossi dalla storia d’amore che gli Islamici sopravvissuti raccontarono loro, i fratelli Rodrigues ribattezzarono la città in “Terra di Moura Salúquia”, l’odierna Moura.
Una torre di fango nel castello di Moura è ancora oggi chiamata “Torre di Salúquia”, e un uliveto vicino a Moura, quello in cui si suppone che Bráfama e il suo entourage siano caduti in un’imboscata, è chiamato Bráfama de Aroche.
Infine, nello stemma della città è raffigurata una moura morta a terra, con una torre sullo sfondo, in allusione alla leggenda di Moura Salúquia.
Caro navigante, se ami questi luoghi misteriosi e fatati, potresti fare il percorso pedonale “Caminho da Moura Encantada“, con partenza da Santa Clara, Alcaravela, un percorso circolare di circa 15,5 km, che presenta alcune difficoltà specifiche, ma offre l’opportunità di esplorare luoghi fantastici.
E’ moderatamente impegnativo, ottimo per il trekking, richiede una media fino a 4 ore per essere completato, ed è improbabile incontrare molte altre persone durante l’esplorazione.
Tranne le Mouras, naturalmente…
“Ninna nanna ninna oh,
Questo bimbo a chi lo do?
Lo darò alla Befana che lo tiene una settimana,
lo darò all’uomo nero che lo tiene un giorno intero,
lo darò alla sua mamma che gli canta una ninna nanna.”
L’Uomo nero (o Babau, o Mamau), conosciuto negli altri Paesi del mondo come:
–Bogeyman, Bogyman, Bogy, Bogey, Bogieman, Boogie monster, Boogieman, Bugaboo, Boogie woogie, Bugabear, Boogeyman, Puck (Paesi anglofoni ed americani)
–Bogle (Scozia)
–Pùca, Pooka o Pookha (Irlanda)
–Pwca, Bwga o Bwgan (Galles)
–Butzemann (Germania)
–Babulas (Grecia)
–Buka, Bubay, Babayka (Russia)
–Boeman (Olanda)
–Kkullas (Cipro)
–Croquemitaine (Paesi francofoni)
–El Coco o El Cuco (Paesi ispanofili)
–Coca (Portogallo)
–Cuca (Brasile)
ed altre innumerevoli varianti, è una creatura leggendaria solitamente usata dagli adulti per spaventare i bambini, che non si comportavano bene.
Questa figura mostruosa è stata utilizzata fin dall’antichità per insegnare ai bambini un determinato comportamento, come evitare che essi andassero con estranei, o inducendoli a dormire prima che il mostro venisse a mangiarli.
Non esiste una figura specifica di riferimento per la descrizione di questo essere, ma comunemente è raffigurato con un aspetto androgino o maschile, scuro, mostruoso, che incute terrore.
Il suo aspetto differisce a livello culturale, ci sono spesso alcune somiglianze condivise tra le creature, ad esempio, molti degli Uomini neri sono raffigurati con artigli, zanne o denti aguzzi.
Alcuni sono persino descritti con certe caratteristiche animali come corna, zoccoli e sembianze simili ad insetti.
Inoltre, la maggior parte degli Uomini neri appartiene alla varietà degli spiriti, mentre la minoranza è costituita da streghe, demoni ed altre creature leggendarie.
L’Uomo nero può avere tre tipi di personalità:
1) quello che punisce i bambini che si comportano male
2) quello più incline alla violenza
3) quello che protegge gli innocenti.
Solitamente, la maggior parte di questi mostri vuole solo spaventare i bambini disobbedienti, non vuole ucciderli.
Ma si raccontano anche storie di Uomini neri che rubano i bambini di notte e poi li mangiano.
In Italia, l’Uomo nero ha l’aspetto umano o di fantasma nero e, in alcune regioni, non ha le gambe, dalla vita in giù è sfumato.
Ma può anche avere delle corna da capra rivolte sul davanti della testa.
E’ alto, indossa un pesante cappotto nero con un cappuccio o un cappello nero che gli nasconde il volto.
A volte, i genitori bussano rumorosamente sotto il tavolo, fingendo che qualcuno stia bussando alla porta, ed avvertono i bambini che sta arrivando l’Uomo nero per punire chi non vuole mangiare la minestra.
L’Uomo nero non dovrebbe mangiare o fare del male ai bambini, ma portarli in un luogo misterioso e spaventoso.
Oppure, viene chiamato quando i bambini non vogliono dormire e, siccome teme la luce, molti di loro dormono con la lampada accesa.
Nel sud Italia, questa creatura viene chiamata Mamau, e dalle mie parte è ribattezzato “Gatto Mammone”.
L’intenzione dei miei genitori era di spaventarmi vista la mia natura ribelle, non immaginando che invece, non solo amavo i gatti soprattutto neri, ma mi piaceva tutto ciò che era “strano”, “diverso”, “spaventoso” ed emozionante, oltre al fatto che già in tenera età mi ero trovata davanti ad esperienze extrasensoriali.
Tra le varie leggende internazionali sull’Uomo nero, c’è quella sulla Cuca che, nel folklore brasiliano, è raffigurata come un alligatore umanoide femmina, o una vecchia signora con un sacco.
Esiste una famosa ninna nanna cantata da molti genitori ai propri figli, che dice che, se non dormiranno, la Cuca verrà a prenderli e ne farà una zuppa o un sapone, proprio come si dice in Spagna.
In Germania, il Butzemann può avere un aspetto simile a uno gnomo, o un altro aspetto demoniaco o spettrale.
Ma le leggende parlano anche di Buhmann, simile al Butzemann, e di Der schwarze Mann (Uomo nero), una creatura disumana che si nasconde negli angoli bui sotto il letto o nell’armadio, e porta via i bambini.
In Francia, il Croquemitaine (“Mangiaguanti“) è una figura maligna dai tratti somatici non definiti, che mangia il naso e le mani congelandoli con il freddo.
Il termine Croquemitaine risale all’inizio dell’Ottocento, quando Jacques Collin De Plancy, occultista e demonologo francese, vi consacra un articolo nel suo Dictionnaire infernal (1818), con un rinvio alla voce Babau.
Babau (o Babaou, Barbaou, Barbeu) è il nome usato ancora oggi in molte regioni della Francia, mentre in Canada si usa più Babou.
Collin de Plancy descrive il Babau come “una specie di orco o di fantasma con cui le nutrici del Sud della Francia minacciano i bambini piccoli, così come le nutrici di Parigi spaventano i bambini con il Croquemitaine“.
Molto comune nei Paesi di lingua spagnola è El Coco (o El Cuco, Cucuy o El Bolo), chiamato Cuca Fera in Catalogna.
I genitori cantano ninne nanne o raccontano filastrocche ai bambini avvertendoli che, se non dormiranno, El Coco verrà a prenderli.
Si chiama Coco, in quanto questo termine significa noce di cocco, e questo mostro viene descritto con una faccia pelosa e marrone con tre rientranze, proprio come il frutto, che ricordano un teschio.
Anche l’America Latina ha El Cuco (più frequente El Cucuy), che è abbastanza diverso da quello europeo, in quanto mescolato con credenze native e, a causa di contatti culturali, a volte più legato all’uomo nero degli Stati Uniti.
Tra i messicano-americani, El Cucuy è ritratto come un mostro malvagio, che di notte si nasconde sotto i letti dei bambini e rapisce o mangia il bambino che non obbedisce ai suoi genitori, o non va a dormire quando è ora di farlo.
Tuttavia, lo spauracchio ispano-americano non assomiglia al mostro informe o peloso della Spagna, è descritto più come un piccolo umanoide con occhi rossi luminosi, che si nasconde negli armadi o sotto il letto.
Ultimamente ho visto “The Outsider”, un’interessante miniserie televisiva statunitense del 2020, tratta dall’omonimo romanzo horror di Stephen King, proprio su questo argomento.
In effetti è la versione sull’Uomo nero, che più mi affascina.
Quindi, ricapitolando, in Portogallo, Spagna ed America Latina, i genitori a volte invocano di El Coco per scoraggiare i loro figli dal comportarsi male; cantano ninne nanne o raccontano filastrocche avvertendo i figli che, se non obbediranno, El Coco verrà a prenderli e poi li mangerà.
Non è tanto l’aspetto di El Coco a spaventare, ma che sia un rapitore e mangiatore di bambini disobbedienti, che possa immediatamente divorare senza lasciare traccia, o portare via con sé in un luogo senza ritorno.
Questo mostro è alla ricerca del comportamento scorretto dei bambini, osservandoli dai tetti, per prendere poi la forma di qualsiasi ombra oscura e rimanere a guardarli, finché non sia il momento di agire.
Alcune persone, però, descrivono El Coco come una rappresentazione dei defunti della comunità locale.
In Spagna:
Duérmete niño, duérmete ya…
Que viene el Coco y te comerá
Dormi bambino, dormi o …
il Coco verrà e ti mangerà
In Portogallo:
Vai-te Coca. Vai-te Coca
Para cima do telhado
Deixa o menino dormir
Um soninho descansado
Lascia Coca. Lascia Coca
Vai in cima al tetto
Lascia che il bambino
dorma tranquillo
In Brasile:
Dorme neném
Que a Cuca vem pegar
Papai foi pra roça
Mamãe foi trabalhar
Dormi piccola
Che viene a prenderti Cuca
Papà è andato al podere
Mamma è andata a lavorare
Il mito di El Coco ha dato vita anche a Bloody Bones, un essere registrato dallo scrittore americano John Locke nel 1693, la cui origine si trova nel Regno Unito e si estende fino agli Stati Uniti.
Si dice che questa creatura viva vicino agli stagni, dove aspetta
“seduto su un mucchio di ossa rosicchiate che sono appartenute a bambini che hanno detto bugie o parolacce“.
Molto importante da ricordare è che El Cuco, o che dir si voglia, sia fondamentalmente un Mutaforma estremamente orribile da guardare.
Spesso può avere sembianze di drago, spirito, strega, balena, tartaruga, sirena, delfino, o semplicemente “di ciò di cui hai più paura”.
Ma la forma più pericolosa è sicuramente la mutazione in umano, in cui El Cuco usa i suoi poteri per addormentare le persone ed entrare nelle loro menti, riuscendo poi a prenderne anche le sembianze.
Fate attenzione…
“La forza magica del Coco
è proprio la sua sfocatura.
Non può mai apparire
anche se infesta le stanze”
-García Lorca-
Kitsune è un nome generico di diversi tipi di Spiriti della mitologia giapponese ispirati da quella cinese, che raccontava storie di magiche Volpi a nove code, chiamate ‘huli jing’.
I Kitsune hanno debuttato per la prima volta nella letteratura giapponese nell’VIII secolo e, da allora, la loro leggenda non è mai svanita.
Si possono trovare come statue intorno agli antichi santuari di Inari, sui rotoli di calligrafia dei migliori artisti giapponesi e, naturalmente, in migliaia di racconti popolari.
I Giapponesi credevano talmente in queste magiche Volpi, da inventare speciali ricette di tofu, come offerte per quelle che vivevano intorno ai templi di Inari.
Le famiglie avevano le Volpi come animali domestici, credendo che avrebbero portato loro ricchezza e successo, oppure credevano di discendere dalle Volpi yako e quindi ostracizzate dalle loro comunità (leggerete la motivazione più avanti, quando scriverò degli Yako).
E molti casi di malattia mentale, erano descritti come ‘kitsunetsuki’ o possessione da parte delle Volpi.
I Kitsune giapponesi solitamente sono raffigurati come Volpi, in quanto questo animale in giapponese antico si dice ‘Kitsu’, mentre il termine ‘ne’ significa “stato d’animo affettuoso”.
Ecco che allora, la Kitsune-Volpe nella tradizione originale del folclore giapponese è un essere benevolo, dotato di intelligenza, in grado di vivere a lungo e di sviluppare con l’età poteri soprannaturali, oltre ad essere un Mutaforma, assumendo sembianze umane, spesso di una bella donna.
Mentre alcuni racconti popolari parlano di Kitsune che impiegano questa capacità per ingannare gli altri, come spesso fanno le Volpi nel folklore, altre storie li ritraggono come fedeli guardiani, amici e amanti.
I Kitsune erano strettamente associati a Inari, una divinità giapponese della fertilità, dell’agricoltura, del riso delle Volpi, dell’industria e del successo terreno.
In realtà, ci sono 13 diversi tipi di Kitsune, con ciascuno il proprio elemento, tra cui Cielo, Oscurità, Vento, Spirito, Fuoco, Terra, Fiume, Oceano, Montagna, Foresta, Tuono, Tempo e Suono.
Più una Kitsune invecchia, più aumentano le sue capacità e, quando compie 100 anni, può trasformarsi in un essere umano.
Kitsune può essere maschio o femmina, ma solitamente una mitica Volpe giapponese assume la forma di una giovane ragazza, o di bella donna e di uomo molto anziano.
In effetti, ci sono molte storie di Kitsune giapponesi che si trasformano in bellissime donne per intrappolare uomini potenti.
Se un Kitsune è in vena di creare problemi, può anche atteggiarsi a essere umano autoritario, come un principe che comanda un esercito o un nemico che deve essere umiliato.
Fortunatamente, il travestimento della Volpe raramente è perfetto tanto che, se lo prendi alla sprovvista, potresti intravedere la sua coda a spazzola!
A volte un Kitsune può apparire come un albero incredibilmente alto o come una seconda luna nel cielo, e addirittura può persino essere in grado di scomparire.
Ma non importa quale forma assuma un Kitsune, esso deve tenere sempre con sé il suo ‘hoshi no tama’, una sfera luminosa o una gemma iridescente.
La sfera contiene la sua anima e senza di essa diventerà impotente e morirà.
In forma umana, i Kitsune di solito indossano i loro ‘hoshi no tama’ come amuleti, ma in forma di Volpe, portano le sfere magiche in bocca o le attaccano alla coda.
Una delle abilità più conosciute della volpe giapponese è
‘kitsune-bi’ (狐火) o ‘fuoco di volpe’, una fiamma rossa prodotta respirando o agitando la coda, usata per attirare gli umani.
Kitsune può avere fino a nove code, più ne possiede e più è vecchio, saggio e potente e, quando ottiene la sua nona coda, la sua pelliccia diventa bianca o dorata.
Per uccidere uno Kitsune, bisogna tagliargli tutte le code.
Non esistono due Kitsune esattamente uguali e sono tutti personaggi complessi; la loro grande intelligenza e la loro sconfinata creatività li rendono difficili da prevedere.
Tuttavia, possono essere ampiamente suddivisi in tre gruppi: Zenko, Nogitsune e Yako.
Gli Zenko sono spiriti benevoli, Volpi giapponesi celesti associate al Dio Inari e pertanto, a volte chiamate semplicemente “Volpi Inari”.
Anche se non hanno nove code, queste Kitsune sono sempre raffigurate di colore bianco e amano particolarmente il tofu fritto a fette chiamato ‘aburage’.
Esse hanno il potere di allontanare il male e talvolta fungono da spiriti guardiani, proteggono i santuari di Inari, i villaggi locali dal malvagio Kitsune e da altre malevole Volpi giapponesi.
Nogitsune, anch’esse Volpi giapponesi della categoria Yokai (creature del folklore e dei miti giapponesi), sono demoni del Giappone, che ingannano persone di ogni genere di vita.
Le crudeli Volpi giapponesi prendono di mira i tratti negativi degli umani, come l’orgoglio, l’avidità e la vanità e, per il proprio divertimento, queste Kitsune addirittura possono abbattere anche il prete più devoto.
Raramente attaccano le donne, ma preferiscono invece possederle.
Quindi, usando la loro abilità kitsune ‘fuoco di volpe’, attirano uomini ignari verso il loro destino.
Gli Yako sono Volpi cattive, che possono essere decisamente distruttive.
Rovinano la reputazione, rubano oggetti di valore ed attirano persino i viaggiatori in trappole mortali.
La maggior parte delle volte, gli Yako prendono di mira persone arroganti o pigre, ma sono noti anche per molestare innocenti.
Come conseguenza dell’influenza che esercitano sulle persone e dei poteri loro attribuiti, i Kitsune sono venerati come fossero a tutti gli effetti delle divinità.
I Kitsune sono creature incredibilmente magiche ed i loro poteri sono limitati solo dalla loro immaginazione, il che, considerando la loro vivace immaginazione, significa che non sono affatto limitati!
Sono specializzati nell’arte dell’illusione, essere Mutaforma è solo la prima di molte abilità in quest’area.
Oltre a trasformare i loro corpi, queste Volpi magiche possono anche trasformare il mondo che le circonda, possono creare palazzi decadenti e giardini meravigliosi da un cimitero.
Possono evocare masse d’argento e d’oro, che al mattino si trasformano in erba.
E possono trascorrere anni in forma umana, senza mai essere identificati come una Volpe.
I Kitsune hanno anche poteri psichici, possono impossessarsi di corpi umani (di solito per umiliare una persona che ha fatto loro un torto), facendoli correre nudi per la città, o facendogli dare via tutti i loro soldi, o mangiare enormi quantità di cibo, finché non ingrassano.
Come misura meno drastica, un Kitsune potrebbe entrare nella mente di un essere umano mentre dorme, per consegnare un messaggio attraverso un sogno.
Alcuni Kitsune possono volare, altri possono sputare fuoco, oppure controllare il tempo o vedere il futuro.
Nel folklore giapponese, ci sono molte storie di Kitsune, che si innamorano di un uomo e scelgono di vivere la propria vita nel mondo umano.
La maggior parte delle storie segue lo stesso schema: un giovane si innamora di una bella signora-Volpe e la sposa, ignaro della vera identità della donna, la quale dimostra di essere una moglie molto leale e buona.
Ma una volta che l’uomo casualmente scopre che sua moglie è una Volpe, il Mutaforma deve scappare, per sfuggire all’ira degli abitanti del villaggio.
La moglie-Volpe giapponese più famosa è ‘Kuzunoha’, madre di ‘Abe no Seimei’, un onmyōji, cioè un mago specializzato in onmyōdō (un misto di occultismo e di scienze naturali).
Inoltre, i figli partoriti dalle mogli-Volpi ricevono una parte delle capacità soprannaturali kitsune della madre.
Quando la pioggia cade in un cielo limpido, i Giapponesi dicono che due Kitsune si sposano, cosa naturalmente considerata di buon auspicio.
Per riconoscere ed allontanare dalla tua vita un Kitsune indesiderato, devi innanzitutto controllare, se i tratti del suo viso assomigliano a quelli di questo Mutaforma, tipo se gli occhi sono di un colore diverso, o se ha baffi simili a quelli della Volpe.
Poi, prova a trovare la sua coda: se ci riuscirai, esso scapperà imbarazzato.
Infine, presentati a lui con un cane, animale odiato dai Kitsune che, quindi, appena lo vedrà scapperà più velocemente possibile.
Altrimenti, se nessuno di questi consigli funzionerà, porta il tuo Kitsune al santuario di Inari più vicino e lì se ne occuperanno.
Se invece desideri attrarne uno, prova a lasciare del tofu fritto a portata di mano; oppure potresti anche passare un po’ di tempo in un santuario di Inari in Giappone e vedere se riesci a trovarne uno…
Il luogo perfetto sarebbe Zao Fox Village, nella prefettura di Miyagi.
Lì, attirerai sicuramente un sacco di volpi giapponesi!
Un’ultima curiosità, probabilmente per i più giovani (o aggiornati) di voi: la figura degli Kitsune si è diffusa in tutto il mondo infatti, poiché queste Volpi sono creature estremamente adorabili, si trovano nell’intrattenimento visivo come fumetti, anime e videogiochi: Naruto, Pokemon, Animal Crossing, Zelda e Mario.
Fate attenzione…
La leggendaria Lemuria era un’antica civiltà perduta, che esisteva prima e durante il tempo di Atlantide.
Si ritiene che fosse situata in gran parte nell’Oceano Pacifico meridionale, tra il Nord America e l’Asia/Australia.
Lemuria era talvolta indicata anche come Mu, o la Patria di Mu.
Le informazioni su Lemuria iniziarono ad emergere e guadagnare popolarità nel 1864, quando Philip Lutley Sclater, avvocato e zoologo britannico, pubblicò un saggio intitolato “I mammiferi del Madagascar“.
Innanzitutto, egli ipotizzò che il Madagascar e l’India un tempo facessero parte di un continente più grande, cosa che portò alla prima teoria sulla scoperta dell’antico supercontinente Pangea.
Sclater trovò un numero significativamente maggiore di specie di Lemuri (animali infraordine di primati, il cui nome deriva dal latino,indicando il tipico movimento altalenante della loro camminata e corsa) in Madagascar, piuttosto che in Africa o India.
Da questa osservazione concluse, che il Madagascar era probabilmente la patria originaria dell’animale.
Egli ipotizzò che una massa continentale perduta, che si estendeva attraverso l’Oceano Indiano, doveva aver permesso ai lemuri di viaggiare in India e in Africa dal Madagascar.
Sclater credeva che questo continente, che chiamò “Lemuria” dedicandolo ai primati, avesse toccato la punta meridionale dell’India, l’Africa meridionale e l’Australia occidentale, prima di affondare definitivamente nel fondo dell’oceano.
All’epoca questa tesi fu accettata dalla maggior parte degli scienziati e così cominciò a prendere forma, ed a crescere, l’idea di Lemuria come paradiso perduto dal quale aveva avuto origine il genere umano.
Sembra che gli abitanti di questa terra perduta, noti come Lemuriani, fossero un popolo molto avanzato e pacifico, che viveva in armonia sia con le persone che con la natura.
Si narrava che essi fossero estremamente alti con quattro braccia, mentre altri affermavano che fossero mutaforma, in grado di spostarsi dalla terra al mare senza sforzo.
Essi conoscevano a fondo l’energia atomica, l’elettronica, le scienze ed avevano capacità telepatiche e di veggenza.
Possedevano tecnologie tali, da farci sembrare dei dilettanti al loro confronto, e controllavano la maggior parte delle loro tecnologie attraverso la mente.
Un tempo sapevano come alimentare le loro navi, usando l’energia radiata dai cristalli.
Era però teoria comune che, al culmine della sua civiltà, il popolo lemuriano fosse altamente evoluto e molto spirituale.
Sebbene le prove fisiche concrete di questo antico continente possano essere difficili da trovare, molte persone “sanno” di avere un forte legame con Lemuria.
Circa 14.000 anni fa, la cultura nota come Lemuria era fiorente, così come quella di Atlantide, entrambe floride.
Ad un certo punto, però, i profeti e saggi del tempo cominciarono a rendersi conto che qualcosa stava cambiando.
Cominciarono a ricevere informazioni, presentimenti, che la Terra stava per attraversare un cambiamento molto drammatico.
Il cambiamento a cui si riferivano era quello notoriamente chiamato “Diluvio Universale”, conosciuto anche come la “Distruzione di Atlantide”.
Essi erano in simbiosi con la Terra, così cominciarono a rendersi conto, che era molto importante preservare la conoscenza di Lemuria.
In realtà, era già da circa 2000 anni che si stavano preparando per questo grande cataclisma.
Quindi, cominciarono a diffondere i loro insegnamenti sulla Terra e sulla storia dell’umanità, a quante più persone possibile, credendo che così le informazioni e le tecnologie sarebbero state memorizzate all’interno delle cellule dei corpi umani, cosa che le avrebbe protette dall’oblio.
Infatti, era di grande importanza per questi antichi Esseri preservare la loro conoscenza sacra, in modo che potesse sopravvivere e beneficiare le generazioni del futuro.
Così i Lemuriani iniziarono anche ad immagazzinare informazioni nei cristalli, noti come “Cristalli del seme lemuriano” , che furono poi portati nelle profondità della Terra, per essere immagazzinati e preservati.
È così si sparse la voce del “Quarzo lemuriano” (a tutti gli effetti un Quarzo Ialino), che si dice fosse incastonato con l’antica conoscenza dell’esistenza umana e della fonte di energia.
E in molti, ancora oggi, ritengono che questi cristalli abbiano la capacità di aiutarci a ricordare, che siamo tutti un’unica coscienza ed Esseri di amore divino.
Continuando con la leggenda, ad un certo punto venne il diluvio, e tutte le persone che erano sottoterra furono al sicuro dalle acque, anche se molte di quelle sulla superficie della Terra morirono.
Alcuni studiosi affermano che una prova reale dell’esistenza di Lemuria, siano le piramidi dei Maya, Incas e Aztechi: ogni volta che le persone tentavano di costruire una piramide più alta, veniva distrutta e spazzata via.
Quindi la forma piramidale è rappresentativa delle fasi dell’evoluzione.
Quando le acque si ritirarono, il popolo emerse dal sottosuolo, trovando una Terra molto diversa rispetto a quella che conoscevano un tempo.
Purtroppo, la maggior parte dei popoli indigeni ha perso l’esatto ricordo letterale di questa apparizione ma, all’interno dei ranghi più alti degli Sciamani, Guaritori e Insegnanti Metafisici di oggi, questa conoscenza viene lentamente richiamata ed insegnata, per continuare la conoscenza della creazione e di Dio.
Durante queste sessioni, alcune persone sperimentano l’odore dello ‘sporco appena posato’, o l’odore ‘chiaroveggente dello sporco’.
Si tratta di un odore particolare, come di qualcosa di sotterraneo, probabilmente riesce a comprendere cosa scrivo, soltanto chi “lavora” in questo campo.
Dicevo che, col Diluvio universale, le persone sante di tutto questo pianeta, inclusa Lemuria, andarono sottoterra.
Queste persone sante, che avevano la capacità di conoscere le cose e comprendere la frequenza delle onde, circa un anno prima dell’alluvione, ricevettero i loro segnali per andare sottoterra, di cui i ‘non risvegliati’ non erano a conoscenza.
Mentre erano sottoterra, impararono a vivere lì e ad usare l’ambiente sotterraneo per il loro sostentamento, oltre a costruire comunità molto solidali ed amorevoli.
Alcune di queste aree sotterranee, una tra tante sotto il piede sinistro della sfinge d’Egitto, sono state scoperte di recente dagli archeologi.
I saggi e i santi avevano completato in parte il lavoro finale necessario per preservare parte della conoscenza.
A sostegno della reale esistenza di Lemuria, nel 1899, Frederick Spencer Oliver, uno scrittore americano di narrativa occulta, pubblicò “A Dweller on Two Planets”, un libro in cui affermava che i sopravvissuti di un continente sommerso, chiamato Lemuria, vivevano a Mount Shasta.
Il Monte Shasta, ovvero “Montagna Bianca“, con i suoi 4.321,8 mt di altezza, è uno stratovulcano (vulcano con forma generalmente conica, costituito dalla sovrapposizione di vari strati di lava solidificata, tefra, pomice e ceneri, e con ripidi pendii) attualmente quiescente, ma potenzialmente attivo, situato all’estremità meridionale della Catena delle Cascate in California.
Nel suo libro, Oliver affermava che i Lemuriani vivessero in una serie di complessi tunnel sotto la montagna, e che la gente del posto a volte vedeva queste creature vagare fuori dalla montagna in vesti bianche.
Anche Wisar Spenle Cerve, pseudonimo di Harvey Spencer Lewis, nel 1931 scrisse un libro sui Lemuriani nascosti del Monte Shasta, il quale ampliò la popolarità di questa leggenda.
Il cercatore d’oro britannico JC Brown, nel 1904, affermò di aver trovato una città sotterranea a 11 miglia di profondità nella stessa montagna, piena di oro, scudi e mummie, alcune delle quali erano alte 10 piedi.
Quando raccontò la sua storia, il gruppo formò una squadra di 80 persone per esplorare la montagna alla ricerca della città sotterranea ma, il giorno in cui la squadra doveva partire, JC Brown scomparve e non fu mai più ritrovato.
Secondo ‘The Lemurian Connection‘, un’associazione spirituale creata per fungere da punto focale, per riunire individui di tutto il Mondo, che hanno un interesse comune nella condivisione di informazioni ricevute da vari insegnamenti Lemuriani, 25.000 anni fa Atlantide e Lemuria erano le due civiltà più altamente civilizzate sulla Terra.
Ma qualcosa andò male.
Tra le due civiltà sorse un dissenso riguardo allo sviluppo ed all’evoluzione di altre civiltà.
I Lemuriani credevano, che le altre culture meno evolute dovessero essere lasciate sole, libere di continuare la propria evoluzione al proprio ritmo, secondo le proprie comprensioni e percorsi.
Invece, gli Atlantidei credevano, che le culture meno evolute dovessero essere controllate dalle due civiltà più evolute. La loro discussione sulle ideologie portò a diverse guerre termonucleari, che indebolirono entrambe le placche continentali.
Quando le guerre furono finite e la polvere si fu calmata, non ci furono vincitori, solo morte, distruzione ed ulteriore degradazione dello spirito umano, al punto che entrambe le parti si resero conto dell’inutilità di un tale comportamento.
Così, i Lemuriani decisero di costruire una società separata all’interno del Monte Shasta, dove sarebbero stati al sicuro da qualsiasi interruzione sulla superficie della Terra.
La città di Telos fu costruita all’interno del Monte Shasta e fu progettata per ospitare 200.000 Lemuriani.
Oggi si ritiene che Telos ospiti 1,5 milioni di Lemuriani all’interno del Monte Shasta.
E le credenze moderne dicono, che Lemuria può essere sentita e contattata attraverso pratiche spirituali.
I Lemuriani erano una razza spirituale altamente evoluta, quindi possono essere contattati tramite messaggi spirituali dai credenti ancora oggi.
Inoltre, si ritiene che i Lemuriani utilizzino cristalli, soprattutto il Quarzo ialino, come strumento di comunicazione,.
Cristalli che gli Antichi programmarono, per insegnare nel futuro i loro messaggi di unità e guarigione, e che oggi sono veramente molto utilizzati e venerati dai credenti Lemuriani moderni.
E non solo…
L’Occhio di Tigre è una varietà di quarzo contenente inclusioni di Crocidolite, un minerale facente parte del gruppo dell’amianto.
La presenza di queste inclusioni, fibre di colore giallo-oro, conferisce alla pietra un effetto particolare: il ‘gatteggiamento‘.
Il gatteggiamento è un fenomeno ottico presente in alcuni tipi di gemme come il Crisoberillo (detto anche Occhio di Gatto) o il Quarzo, dovuto alla presenza di intrusioni cristalline aghiformi e parallele all’interno del minerale.
Il termine deriva dal francese “œil-de-chat” = Occhio di Gatto, ovvero il Crisoberillo.
I giacimenti dai quali si estrae l’Occhio di Tigre sono quasi totalmente collocati in Africa, in particolare in Sudafrica, nel Botswana, in Mozambico e nel Lesotho; ma si trova anche in Brasile, Australia e Stati Uniti.
Nel Museo di Scienze naturali di Berlino sono conservati esemplari di Occhio di Tigre, con etichette scritte a mano, raccolti nel Lichtenstein nel 1803, anche se la scoperta originale di questa pietra, chiamata anche Pseudocrocidolite, fu fatta dal viaggiatore ed ornitologo francese Francois Levaillant nel 1784.
Nel suo racconto relativo al secondo viaggio nell’interno del Sud Africa, nel 1796, Levaillant descrive di arrivare ad un grande fiume, l’Orange, e di trovare sulle sue sponde dei ciottoli:
“Ho visto anche una pietra straordinaria, alla quale non posso ancora dare un nome.
È grande come una Noce moscata*, ha uno splendore variabile come l’Opale* o l’Occhio di gatto*, ma è di una tonalità più marrone, con una cintura color oro.
Colpisce il fuoco con l’acciaio.
Da quando sono tornato in Europa, l’ho cercata invano nelle vetrine e tra i commercianti, ma non ho potuto incontrarne uno. Né il naturalista né il gioielliere la conosce.
Questa pietra attualmente è in Olanda, in possesso di uno dei miei amici, Raye de Breukelward, e costituisce una parte della sua preziosa collezione”.
Anticamente, gli Egiziani adoravano i raggi iridescenti dell’Occhio di Tigre, credendo che esprimesse la visione divina e l’usavano persino come pietra per rappresentare gli occhi, durante la creazione di grandi divinità.
Questa gemma veniva anche usata come amuleto protettivo sulle corazze dei soldati romani in battaglia, i quali credevano in particolare che fosse potente per la sua somiglianza con un occhio.
Infatti, gli occhi rappresentano l’onnipotenza, una qualità molto ricercata su qualsiasi campo di battaglia.
Gli antichi Cinesi gli attribuivano il merito di portare fortuna a chi lo indossava.
Nel folklore orientale, infatti, le tigri descrivono il coraggio, il potere e l’integrità e, per questo, si pensava che queste qualità fossero conferite dalla pietra.
Tradizionalmente l’Occhio di Tigre veniva portato come amuleto protettivo contro le forze del male.
Si diceva che allontanasse le maledizioni e proteggesse chi lo indossava da cattivi desideri.
L’Occhio di Tigre ha molte preziose proprietà curative: ha un effetto positivo sulla psiche, migliora l’umore, ha effetti calmanti, riduce il livello di ansia, protegge dalle relazioni tossiche, migliora l’autostima e le capacità (è particolarmente consigliato per le persone ansiose e insicure).
Inoltre, la pietra crea una barriera naturale che protegge dai pensieri negativi, aiuta a ridurre il livello di stress e l’esaurimento, oltre a migliorare le forze curative naturali.
L’Occhio di Tigre ha un impatto positivo sulla vista in entrambi i significati: aiuta a migliorare la vista ed aiuta a schiarire i pensieri, poiché migliora la percezione e migliora la concentrazione.
La pietra è usata in litoterapia, la terapia con pietre curative, popolare nei tempi antichi.
L’Occhio di Tigre ha effetti positivi sull’apparato respiratorio, sull’apparato digerente e sul sistema nervoso.
Le forti vibrazioni della pietra aiutano a curare mal di testa e forti emicranie.
Soprannominata “The Shapeshifter”, il Mutaforma, questo minerale invita chi lo indossa ad abbracciare la propria forza interiore, la forza di volontà personale e ad invocare i poteri di protezione.
L’Occhio di Tigre combina proprietà che promuovono la vitalità.
Se vuoi prendere in carico il tuo potere personale e prevalere sui blocchi emotivi, questa gemma è perfetta.
La sua energia audace ed incoraggiante fa miracoli, anche quando si tratta di attrarre ricchezza.
Infatti, stimolando il coraggio, che ti occorre per superare la paura, diviene un potente strumento per superare i blocchi di denaro.
L’Occhio di Tigre ti mantiene concentrato e determinato, anche quando sorgono ostacoli, sfidandoti a perseguire i tuoi obiettivi finanziari, e supportandoti nel tuo viaggio per attirare ricchezza e successo.
Questo quarzo può aiutare a trasformare i sentimenti tossici in sentimenti più positivi e può aiutarti a cambiare la tua prospettiva, per vedere gli ostacoli come sfide, piuttosto che battute d’arresto.
L’Occhio di Tigre ti consentirà di superare la paura ed aumentare il tuo coraggio e ti aiuta a ricordare che puoi realizzare qualsiasi cosa tu voglia.
L’Occhio di Tigre ha un significato altamente motivazionale e ti spinge a superare i limiti che ti sei prefissato.
Ti sfida a esplorare l’ignoto nella vita, anche se diventa scomodo.
Quando inizi a sentirti spaventato o insicuro, questa pietra ti ricorderà la tua forza e capacità interiori e questa spinta verso la fiducia in te stesso, ti consentirà di perseverare, anche quando potrebbe essere più facile o più sicuro arrendersi.
Piena di determinazione, la pietra dell’Occhio di Tigre ti aiuta a ricordare, che puoi avere successo in tutto ciò che porti nella mente.
Che si tratti delle tue convinzioni interiori, o di un’influenza esterna che ti sta trattenendo, il significato dell’Occhio di Tigre ti insegna a guardare le tue convinzioni limitanti negli occhi.
Affrontando questi ostacoli frontalmente, puoi decostruire tutto ciò che ti sta facendo esitare e la sua energia costante ed incrollabile ti aiuta a riconoscere, che questi sentimenti esistono, ma che non devi lasciare che ti governino la vita.
Come pietra nota per le sue capacità completamente purificanti e protettive, l’Occhio di Tigre è un fantastico amuleto, quando si mira a curare un’armoniosa sensazione di Feng Shui in casa e in ufficio.
Infatti, l’Occhio di Tigre è particolarmente utile da utilizzare nel Feng Shui in qualsiasi tipo di locale o spazio di lavoro, in quanto incoraggia la messa a fuoco, offre un altro livello di intuizione a situazioni complesse ed aiuta a scrollarsi di dosso la procrastinazione, per portare a termine il lavoro.
Nello spazio domestico, e bilanciando le vibrazioni del Feng Shui, l’Occhio di Tigre è anche noto per mantenere gli stati d’animo radicati, attirare fortuna e dissipare le paure, contribuendo a rendere la casa un rifugio sicuro dal mondo esterno.
Il modo migliore per usare questo quarzo, è usarlo come amuleto protettivo, posizionandolo vicino alla porta d’ingresso o vicino a una finestra.
Per coloro che hanno bambini, e che vogliono affermare la loro natura di tigre per proteggere i loro cuccioli, ha anche senso riporre un Occhio di Tigre nella camera da letto o nella stanza dei bimbi.
Il modo più semplice per evocare l’energia dell’Occhio di Tigre è semplicemente metterlo in tasca o nella borsa, così da tenerlo vicino a te ed attingere alle sue energie, ogni volta che ne hai bisogno.
Ciò può essere particolarmente utile, quando hai un colloquio importante in arrivo, o una conversazione difficile da intraprendere.
Ti consiglio vivamente anche di riempire tutti gli spazi ed ambienti che frequenti, posizionandolo in un punto prominente, dove puoi facilmente vederlo, così potrà aiutarti a promuovere decisioni più coraggiose specifiche per lo spazio o circostanza in cui si trova.
Esistono vari tipi di Occhio di Tigre:
OCCHIO DI TIGRE BLU (Blue Tiger’s Eye): Simbolo di forza, è un’altra varietà di questa pietra unica, molto importante per tutti coloro che hanno a che fare con ansia e stress. La pietra aiuta a lenire le emozioni e ridurre il livello di stress ed ansia. Aiuta con la paura e la rabbia così come altre emozioni negative. Pietra interessante, merita un articolo a parte.
OCCHIO DI TIGRE ROSSO (Red Tiger’s Eye): Simbolo di ricchezza e successo, è una delle varietà più popolari di questa pietra magica unica. Viene proclamata una gemma che rappresenta ricchezza e successo. Può essere usato come talismano, per aumentare l’energia positiva e il flusso di denaro, oltre ad aumentare la fortuna. Può anche aiutare a ridurre gli aspetti negativi di depressione, apatia, aggiungere autostima, coraggio e motivazione. E’ una pietra molto interessante, che merita un articolo a parte.
OCCHIO DI TIGRE VERDE (Green Tiger’s Eye): Coloro che cercano l’Occhio di Tigre verde, dovrebbero essere consapevoli del fatto che spesso viene falsificato a causa della sua rarità. Gli acquirenti dovrebbero cercare le irregolarità sulla superficie della gemma, compresi i segni maculati ed asimmetrici e una struttura ed un aspetto del colore innaturali e irregolari. E’ una pietra che protegge dalle perdite di denaro e dalle maledizioni. Attrae ricchezza, successi e fortuna, incoraggia e dà fiducia, aumentando l’autostima, la fiducia e migliora le visioni astrali. La pietra verde migliora il flusso di energia. È un grande talismano per tutti coloro che si sentono deboli o stanchi. Aiuta a rimuovere i pensieri negativi. Aiuta anche a gestire le emozioni depressive. È un ottimo amuleto per le persone timide e tranquille, poiché può aggiungere loro coraggio e migliorare le loro capacità di parlare in pubblico. Pietra interessante, merita un articolo a parte.
TIGRE DI FERRO (Tiger’s iron): è una roccia trasformata, composta da Occhio di Tigre, Diaspro rosso* ed Ematite nera*. È caratterizzato da strisce ondulate di colore e lucentezza, che creano un motivo accattivante, tanto da renderlo estremamente prezioso per la creazione di gioielli. Il Ferro di Tigre è uno dei materiali decorativi più popolari, che viene utilizzato per produrre perline, coltelli o manici. Viene estratto principalmente in Sud Africa e nell’Australia occidentale. A volte è tagliato e venduto come “Arizona Tiger Eye” e “California Tiger Eye“. Pietra interessante, merita un articolo a parte.
PIANETA: Sole/Marte
ELEMENTO: Fuoco/Acqua
SEGNO ZODIACALE ASSOCIATO: Leone/Scorpione
CHAKRA: 1, Muladhara (C. della Radice) – 2, Svadhisthana (C. Sacrale) – 3, Manipura (C. del Plesso solare)
N.d.A. se ti interessano le pietre citate in questo articolo, leggi:
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