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Hoodoo
Nell’Hoodoo, il Mojo è un amuleto costituito solitamente da un sacchetto di stoffa, preferibilmente flanella rossa (poiché il colore rosso è usato per proteggere chi lo indossa dal male e dal potere spirituale), in alternativa va bene anche nero, marrone o verde, contenente uno o più oggetti magici, ma come contenitore si possono usare anche bustine, zucche, bottiglie, conchiglie ed altro.
La creazione di Mojo è un sistema esoterico della magia afro-americana, che prevede a volte l’alloggiamento degli spiriti all’interno di questi contenitori per protezione, guarigione o danno, e per consultarsi con gli spiriti.
Altre volte invece, il Mojo viene creato per manifestare risultati nella vita di una persona come buona fortuna, denaro o amore.
E’ come un incantesimo che può essere portato con sé, o sul corpo del richiedente.
Il nome Mojo deriva dalla lingua kikongo (lingua bantu del Congo) “mooyo”, che si riferisce agli “spiriti che dimorano negli incantesimi magici” (nkisi, contenitore degli spiriti), oppure da “moco’o” = “stregone” nella famiglia Fula delle lingue dell’Africa.
Esistono svariati tipi di Mojo, che può essere chiamato pure Gris-gris, Juju, Mano, ecc, a seconda che provengano dalle culture dei nativi americani o dal sud America.
Ma esso ha avuto origine nell’Africa centrale ed occidentale, arrivando poi in America con l’avvento della schiavitù.
Il Mojo ha una grande importanza nella storia e nella cultura delle delle piantagioni africane.
Gli abitanti dell’Africa centrale ed occidentale praticavano l’arte spirituale di creare borse magiche per protezione, guarigione e per comunicare con gli spiriti.
Originariamente il Mojo era adornato con scritture islamiche e veniva utilizzato per allontanare gli spiriti maligni o la sfortuna, e spesso erano indossati sia dai non credenti che dai credenti, oltre ad essere attaccati agli edifici.
Con la schiavitù, la pratica dell’uso del Mojo arrivò negli Stati Uniti, venendo rapidamente adottata dai praticanti del Voodoo ed Hoodoo della Louisiana e dal Vudù ad Haiti.
Di seguito, l’origine di alcuni nomi utilizzati per questi amuleti.
Il popolo Mandinka della Sierra Leone, chiamati anche Malinke o Mandingo, furono il primo gruppo musulmano schiavizzato ad arrivare nelle Americhe.
Quest’etnia era nota per le sue potenti borse da evocazione, chiamate Gris-gris (ed in seguito ribattezzate Mojo negli Stati Uniti), col significato di “feticcio”, in quanto le consideravano “cose viventi”.
Tutte le altre persone schiavizzate si rivolgevano ai Mandinka per servizi di magia, chiedendogli di realizzare questi sacchettini, per proteggersi dai loro schiavisti.
I popoli Bakongo e Yoruba dell’Africa centro-occidentale, invece, creavano borse medicinali, utilizzando pelle o stoffa, nei quali vi collocavano piume, parti di animali, radici, erbe e altri ingredienti per proteggerli.
Quando furono ridotti in schiavitù e portati negli Stati Uniti, la pratica di utilizzare piume, parti di animali, ossa di animali e umane ed altri ingredienti per creare sacchetti di Mojo, continuò nelle comunità afroamericane, secondo la tradizione di Hoodoo.
Infatti, qui iniziarono a portare Nkisi, Wanga (bambola) ed altri oggetti portafortuna, per allontanare ed invertire il male e per curare le malattie.
I sacchetti magici si chiamavano Juju, parola usata anche per descrivere tutte le forme di ciondoli realizzati in Hoodoo.
Questi Juju africani influenzarono la creazione delle borse Mojo e la pratica filosofica spirituale nelle comunità afro-americane.
Essi venivano appesi agli alberi, legati ad una corda, o indossati sotto i vestiti per provocare un effetto sul bersaglio prestabilito.
I Bakongo dicevano che i “Simbi” (Spirito dell’acqua) potevano dimorare nelle borse evocatrici (Mojo), per curare o proteggere un individuo o una comunità.
Chi creava il Mojo si chiamava Nganga e lo faceva utilizzando ingredienti specifici adatti ad un certo Simbi, per invocarlo nella borsa dell’evocazione.
Quindi, la filosofia spirituale dello Juju ha influenzato la creazione del Mojo, poiché gli Afroamericani includono alcuni ingredienti naturali ed animali, come ossa, artigli o denti di animali, ossa umane o terra di cimitero, per ospitare uno spirito Simbi o uno spirito ancestrale all’interno di questo sacchetto per protezione o guarigione.
Per quanto riguarda il termine “Mano”, alcuni archeologi hanno trovato in una piantagione del Tennessee, alcuni ciondoli-amuleti, tra cui radici portafortuna, ossa di pene di procione, ceramiche, perline blu e “mani Mojo”.
La parola Mano, quindi, è definita come una combinazione di ingredienti messi nel sacchetto, tra cui ossa delle dita e delle mani dei morti trovati, che ne prende il nome.
Col tempo la creazione del Mojo si “americanizzò”, quando i Neri in America usarono materiali del luogo e la reinterpretarono applicando concetti cristiani od islamici.
I Mojo vengono utilizzati per radicare gli spiriti in determinati luoghi, per impedire a quelli dei morti di tornare e perseguitare i vivi, e si posizionano gli ultimi oggetti che i defunti hanno toccato sopra le loro tombe.
Questi ultimi oggetti toccati dai morti vengono preventivamente posti all’interno dei sacchetti Mojo, per trasportare lo spirito del defunto insieme ai vivi per protezione.
Prima che una borsa Mojo possa essere usata, deve essere “risvegliata”, ovvero deve essere nutrita e pregata da un prete o da uno “stregone”.
Ciò avviene tramite una preghiera detta sopra la borsa, che solitamente coincide con la religione del santone o di chi la indossa.
Dopo che il Mojo è stato pregato, viene “nutrito”, per mantenerlo attivo, nel senso che viene unto con un liquido come alcol, acqua santa o profumo; ma si può anche bruciare dell’incenso o delle erbe sopra di esso, per nutrirlo.
Per riempire il Mojo si possono usare diversi ingredienti, tra cui: erbe, radici, chiodi, aghi, parti di animali, capelli, ditali, terra tombale, minerali, monete, cristalli, terra rossa, lana d’acciaio, argilla, semi di zucca, calamita, polvere d’incenso, gettoni di buona fortuna e amuleti intagliati, ad ognuno dei quali viene assegnato uno scopo ben preciso.
Importantissimo è che gli ingredienti siano di numero dispari.
Naturalmente, nessun Mojo è uguale per tutti in quanto, prima di prepararne uno, il cliente consulta un preparatore, Rootworker, o un prete, per riferirgli esattamente ciò di cui ha bisogno.
Aghi e chiodi vengono spesso usati per Mojo protettivi; denti ed artigli di alligatore per fortuna nella vita e nel gioco d’azzardo; cannella e petali di fiori per attirare l’amore nella vita di chi lo indossa.
La cosa più importante, comunque, è il successo del Mojo che dipende da chi lo indossa, in quanto deve tenerlo sempre vicino a sé e assolutamente nascosto agli occhi degli altri.
Infatti, se qualcuno fosse a conoscenza che una persona indossa una borsa Mojo, la metterebbe a rischio sia nella riuscita che nella propria sicurezza.
La maggior parte degli uomini appunta il Mojo nella tasca sinistra dei pantaloni, mentre le donne lo appuntano al reggiseno, o alla biancheria intima, o attorno alle cosce.
Per i primi tre giorni, bisogna tenere il sacchettino Mojo a contatto con la pelle, mettendolo sotto il cuscino durante la notte.
Con il passare delle settimane, e se la tua richiesta non sembra manifestarsi, potrebbe essere il momento di nutrire di nuovo la tua borsa Mojo: basta strofinarle un po’ d’olio sopra, ogni volta che senti il bisogno di un sollievo magico.
Ma perché potresti utilizzare un sacchetto Mojo?
Per esempio, se oggi tu hai un buon successo, sei popolare, persuasivo, potrebbe non essere una condizione permanente, giusto?
Quindi, procurarti una di queste borsettine magiche, potrebbe aiutarti a proteggerti.
Oppure, hai bisogno di riaccendere quella scintilla di ispirazione, per aiutarti a riconnetterti all’impegno ed alla motivazione, che ti occorrono nella vita.
Il Mojo può essere utile per chi si scoraggia facilmente a causa degli intoppi e si arrende; fatica a portare a termine le cose; si sente stanco, abbattuto e piatto e può dubitare della propria capacità di affrontare la giornata ed i compiti da svolgere.
E’ valido quando sono richiesti sforzo ed impegno, perché le cose sembrano troppo complicate e si ha voglia di abbandonare tutto.
Il potenziale positivo del Mojo è di farti sentire la volontà di dare una possibilità, di rispondere positivamente alle sfide della vita con tenacia e una mentalità di risoluzione dei problemi.
Per aiutarti a ripristinare un senso di ambizione, con resistenza nei momenti di stress e rinnovato interesse per la vita.
Ma può servire anche per aumentare la fedeltà e l’impegno, e creare forti legami d’amore tra te e il tuo partner.
Alcune donne ne portano uno appositamente creato allo scopo di controllare il proprio uomo….
E’ chiamato “sacchetto della natura” ed anticamente era utilizzato anche per mantenere fedele un amante, o allontanare un marito, in quanto i suoi contenuti sono legati all’amore, alla devozione e al dominio.
Solitamente esso dovrebbe contenere necessariamente anche radice di Iris di Jezebel (Iris hexagona), ampiamente usata nella magia dell’amore in Hoodoo, e conosciuta anche come ‘Love Drawing Herb’, o ‘Radice della regina Elisabetta’.
Oltre ad essa, è consuetudine usare il sangue mestruale come elemento chiave, così come lo sperma dell’uomo coinvolto.
Esiste anche un Mojo in chiave moderna, chiamato “Jackball”, realizzato ed utilizzato in modo molto diverso: contiene anche radici ed altri componenti tipici del Mojo, ma essi vengono racchiusi in una palla di cera d’api, aggiungendola lentamente agli ingredienti e modellando una palla.
Si avvolge, quindi, in filo rosso o spago rosso, lasciando dietro di sé una lunga coda, una volta completato.
Il Jackball è considerato incantesimo/contenitore, che invoca la stessa energia che si utilizzerebbe per creare un Mojo o una bottiglia di strega.
E’ usato come talismano per proteggersi dal male, per influenzare gli altri, per conferire maestria al custode e può anche essere usato per la divinazione, come il pendolo.
Certo, alcuni utilizzano il Mojo come strumento dannoso, per maledire altre persone, spesso lasciato sulle lapidi di chi è stato crudele in vita, o appeso su edifici e case di chi si odia.
Ma io voglio pensare, che la maggior parte di noi lo utilizzi solo in maniera positiva, come portatore di buona fortuna, rispecchiando la parte “buona” della pratica Voodoo.
Insomma, il Mojo deve essere creato per manifestare risultati nella vita di una persona come buona fortuna, denaro, amore, benessere.
Basta usare i giusti ingredienti appropriati ed indossarlo in un luogo segreto del tuo corpo.
Cosa aspetti…
“La nostra Arte ha molte forme di rituali e cerimonie in tutto il mondo.
Non possiamo ignorare i principi basilari di ciò che chiamiamo magia e religione
più di quanto non possiamo ignorare le leggi della fisica e della chimica,
per quanto diversi siano il linguaggio e l’attrezzatura di laboratorio.”
—Cora Anderson–
Feri (o Faerie, Faery, Fairy) è una tradizione neopagana americana legata alla Stregoneria, fondata nella costa occidentale degli Stati Uniti tra gli anni ’50 e ’60 da Victor Henry Anderson e sua moglie Cora.
La coppia si era sposata nel 1944, affermando di essersi incontrati molte volte prima di farlo, nel Regno astrale, un luogo metafisico in cui la dimensione spirituale superiore si abbassa di livello, tramutandosi in energia psichica, in pratica una sorta di limbo situato tra il mondo dello spirito e quello terrestre.
Fin dall’infanzia, Cora era stata esposta alle pratiche di magia popolare, quindi non era neofita sull’argomento.
Victor, invece raccontava che, da piccolo, aveva trovato una donna minuscola e bruna nei boschi vicino a casa sua in Oregon, seduta nuda in cerchio, circondata da diverse ciotole di ottone piene di varie erbe.
Era stato attirato fuori da casa, dal suono dei tamburi e la donna gli disse che era una strega, lo accolse nel cerchio e lui, istintivamente, si spogliò e fu iniziato sessualmente.
Dopodiché, gli fece avere una visione, in cui lui poteva vedere perfettamente nonostante fosse quasi totalmente al buio, e dove la donna divenne la Dea posta in alto in un brillante cielo tropicale pieno di stelle.
La luna era verde e lui era consapevole dei suoni e degli odori della giungla attorno a lui, dalla quale emerse un uomo bellissimo, nudo, effeminato e tuttavia potente, col suo fallo eretto, aveva le corna e una fiamma blu si irradiava dalla sua testa.
Dopo alcune comunicazioni da parte degli spiriti, la visione svanì e la donna lo istruì nell’uso rituale delle diverse erbe e tisane che li circondavano, lo lavò con burro, olio e sale e gli disse anche, che avrebbe dovuto essere paziente, perché alla fine sarebbe stato trovato da altri come lui, e poi proseguì per la sua strada.
Quando gli Anderson si sposarono, da subito iniziarono a praticare alcuni rituali, erigendo un altare in casa, chiamando il figlio con un nome ricevuto in sogno, dedicandosi agli Dei, ecc.
Victor, per un certo periodo di tempo, ebbe contatti con Gerald Gardner (creatore del Libro delle Ombre ed esponente della Rede Wicca) dal quale, si pensa, che egli trasse una sorta di “guida di stile” per lo sviluppo della sua tradizione di Stregoneria neopagana.
Negli anni ’60, gli Anderson fondarono una congrega, chiamandola Māhealani, dalla parola hawaiana “Luna piena”, avviandovi un certo numero di persone, tra cui Gwydion Pendderwen, esperto di Esoterismo.
Questi contribuì allo sviluppo di quella che divenne nota in seguito come tradizione Feri, quindi in un certo senso ne fu un cofondatore, insieme con gli Anderson.
Dopo vari tentativi, chiusure e nuove fondazioni, durante i successivi quattro decenni, gli Anderson iniziarono alla loro tradizione Feri circa trenta persone, dove lo stesso Anderson era considerato il “maestro fondatore” e la “voce seminale”.
Ma, in realtà, sembra che egli si considerasse un “Gran Maestro e un capo delle fate”.
Egli era la voce originale di Feri e diede inizio ad alcuni dei luminari pagani più influenti nel movimento della Stregoneria di oggi.
Inizialmente il nome originale di questa tradizione era Vicia ed il nome Fairy (Fata) si sovrappose ad esso in modo quasi accidentale, in quanto si usava spesso quella parola, parlando degli spiriti della natura e della magia celtica.
All’inizio, gli adepti scrivevano alternativamente il nome della tradizione come Fairy, Faery o Faerie, ma Anderson iniziò ad usare Feri durante gli anni ’90, per differenziarlo più facilmente da altre tradizioni Wiccan con nomi uguali o simili.
Sua moglie invece affermava che Feri fosse un nome originale, che significava “le cose della magia“.
Feri è principalmente una tradizione orale, non esiste un modo “ufficiale” di tramandarla scrivendone.
Feri è davvero paradossale, non ci sono molte regole su rituali e pratiche, non esiste quasi nemmeno un insieme di regole etiche solide ed intellettualizzate.
La tradizione Feri cerca di trasformare l’individuo attraverso pratiche di magia rituale, meditazione e lavoro energetico, traendo potere da varie culture e dai loro sistemi magici, incluso Huna, Evocazioni, Hoodoo, Voodoo, Tantra, Folclore celtico, Misticismo cristiano, Mitologia Yezidi, Gnosi greca, ecc.
Quindi integra la magia ed i misteri delle culture antiche e in evoluzione nel suo ricco arazzo spirituale, attraverso l’esperienza diretta, mentre gli aderenti includono praticanti dedicati e persone iniziate ritualmente ai suoi misteri.
I praticanti la descrivono come una tradizione estatica, che pone molta enfasi sull’esperienza sensuale e sulla consapevolezza, compreso il misticismo sessuale, che non si limita all’espressione eterosessuale.
Anche se alcune persone la confondono ancora con i Radical Faeries, non è specificamente una “tradizione gay”, in quanto vengono onorati allo stesso modo tutti i generi e gli orientamenti sessuali.
La tradizione, fondamentalmente relazionale, afferma la natura erotica dell’essere in tutte le cose, in particolare nell’ecosistema interdipendente di cui gli esseri umani fanno parte.
La forza vitale nelle sue pratiche nasce dall’amore e dal desiderio tra Sé e l’Altro, che sono parte l’uno dell’altro, riflessi di una nascita divina e santa.
Feri afferma che l’Universo non abbia avuto inizio con parole o comandamenti, bensì facendo l’amore, pertanto onora questo modo di essere non solo nelle pratiche apertamente spirituali, ma in ogni respiro e momento della vita degli adepti.
I principi base della Tradizione Feri sono:
1–Uguaglianza tra gli Iniziati: Nessun Iniziato Feri ha autorità su un altro. L’insegnante o un tutore possono sentirsi protettivi e desiderare guidare il nuovo Iniziato, ma ciò deve essere fatto riconoscendolo come loro pari. Ogni Iniziato è autonomo e libero, legato agli altri Iniziati solo dall’amore.
2–Rapporti reciproci e consensuali: nel mito della Creazione, la Dea delle Stelle guarda nello specchio dello spazio dicendo che, ciò che sperimentiamo è il nostro riflesso. La frase: “Fai agli altri quello che vorresti fatto a te” dimostra che la reciprocità è la base di tutte le interazioni autentiche. Inoltre mostra che l’amore per l’altro scaturisce dal sentimento d’amore interiore, che l’amore e il desiderio di unirsi all’amore sono santi. Il sesso è sacro di per sé e, naturalmente, deve essere assolutamente consensuale, altrimenti non sarà espressione di amore, ma di potere. La predazione sessuale è la peggiore forma di violazione contro l’umanità e viene condannata vigorosamente. Quando è consensuale, il sesso deve essere celebrato come un atto divino ed in tutte le sue forme.
3–Rapporti comunitari etici: Bisogna rispettare tutti i ricercatori e gli studenti, così come tutti gli Iniziati, in quanto figli della Dea delle Stelle, quindi è necessario trattare tutti i soggetti coinvolti con tatto, cortesia e cura. Insegnare richiede molto lavoro, e qualche insegnante potrebbe ritenere che gli debba spettare un compenso. Ma gli Anderson non hanno mai richiesto alcuna forma di pagamento, manodopera o altro compenso per il loro insegnamento, per cui il miglior “pagamento” che un insegnante possa ricevere, dovrebbe essere che lo studente si eserciti bene e poi si assicuri che gli insegnamenti vengano trasmessi correttamente. Questo è l’unico scambio energetico necessario per una sana relazione insegnante/studente, così da trasmettere il beneficio che è stato donato gratuitamente all’insegnante.
4–Responsabilità nell’insegnamento: L’autoritarismo non è necessariamente inerente alla gerarchia, perché facilmente può generare paura che, con il conseguente desiderio di controllare l’altro, può portare a complessi di superiorità/inferiorità, che possono interferire con relazioni sane. Nelle strutture gerarchiche della congrega, l’insegnante governa il cerchio, ma deve sempre comprendere il valore dei propri studenti, non per le loro capacità, ma per quello che sono. Se l’insegnante non riconosce il valore intrinseco dello studente fin dall’inizio della formazione, in seguito non accetterà mai pienamente la sua parità: si è tutti uguali, anche se non si posseggono uguali livelli di abilità o conoscenza.
5–Ospitalità: Il modo in cui si trattano gli altri è racchiuso nella propria ospitalità, o nella sua mancanza, per cui riflette ciò che si ha nel proprio cuore. Essere consapevoli nell’accogliere gli ospiti e nel prendersi cura delle loro esigenze aiuta a creare calore e rispetto tra tutte le persone della casa, siano esse nuove arrivate o vecchi amici, giocando anche un ruolo importante nei luoghi pubblici, fisici o elettronici.
6– Trattamento rispettoso delle opere creative: Gli Iniziati Feri ed i loro studenti hanno responsabilità nei confronti degli altri Iniziati, riguardo ai loro contributi originali alla tradizione, come rituali, poesia e liturgia. Per esempio, divulgare senza permesso del materiale ricevuto in via confidenziale da un altro adepto, equivale a rubare il lavoro creativo di questa persona. Inoltre, a causa di questa violazione della fiducia, i materiali formativi tradizionali che richiedono un contesto ed una guida individuale, diventano così di dominio pubblico, e possono essere facilmente fraintesi, sfruttati o utilizzati in modo non etico.
Naturalmente questi sono solo alcuni dei principi Feri, che oggi è una tradizione mondiale, con la maggior parte dei suoi aderenti che risiede ancora sulla costa occidentale dell’America.
Essa ha avuto un enorme impatto sull’insegnamento e la visione particolarmente “aperta”, che deve aver dato ai suoi studenti.
Nonostante ciò, non tutti conoscono la Tradizione Feri, non tutti sono consapevoli delle innumerevoli sue connessioni o di quanta gratitudine possa esser scaturita da questo tesoro vivente, quanto le dovremmo tutti noi, spesso sembra una storia ai margini.
Ma soprattutto, Feri è una pratica per persone ribelli, intese come insofferenti di ogni autorità, soggezione ed imposizione negativa.
Ribelli che insorgono contro gli oppressori, l’ipocrisia, l’ingiustizia e la mancanza di libertà.
Non si possono stabilire regole per i ribelli.
Si dice che gli Iniziati Feri abbiano un certo luccichio negli occhi o un profumo che li rende riconoscibili.
Potrebbe essere vero…
“Essere Feri significa essere una brava persona”
–Cora Anderson–
Marie Catherine Laveau nacque il 10 settembre 1801, anche se c’è una certa confusione riguardo all’anno di nascita.
Infatti alcuni documenti indicano che nacque nel 1794, ma comunque sia, da una donna africana libera e di colore di nome Marguerite D’Arcantel, e da Charles Laveau Trudeau, un politico francese bianco.
Nel 1819, Marie sposò un uomo creolo di Sainte-Domingue (oggi Haiti) di nome Jacques Paris, che era fuggito come rifugiato dalla rivoluzione haitiana il quale, secondo le cronache, ben presto scomparve e, in seguito, dichiarato morto.
Da quel momento, la donna iniziò a presentarsi come la “vedova Paris”.
In seguito, Marie iniziò una relazione con Jean Louis Christophe Duminy de Glapion, un nobile di origine francese, col quale ebbe diversi figli, alcuni dei quali morirono nelle epidemie di febbre gialla, che affliggevano New Orleans a quei tempi, a causa dello scarso sistema di drenaggio della città.
Nonostante la donna fosse una buona madre e moglie, gran parte dell’aiuto pratico le proveniva dai suoi figli spirituali e dalla comunità in generale.
Marie divenne una parrucchiera, per creare stabilità economica per sé e per la sua famiglia e, grazie ai contatti che aveva con i suoi clienti neri che erano domestici, veniva a conoscenza di informazioni personali sui suoi ricchi clienti bianchi, che spesso cercavano il suo consiglio.
Ella, quindi, utilizzava queste informazioni per fornire alle persone che glieli chiedevano, consigli utili e sapienti sui loro affari privati e personali cosicché, durante le sue consultazioni Voodoo con ricche donne orleaniane, la donna migliorava la sua immagine di chiaroveggente.
Così in molti, ricchi e politicamente benestanti, sia bianchi che neri, pagavano Marie per consigli personali, interventi in alcune situazioni e protezione contro qualsiasi energia malvagia, che avrebbe potuto essere messa contro di loro.
Bisogna ricordare che, all’epoca, in quelle zone era molto praticato il Vodou (o Vodu, Vodù, Vudù, Voodoo, Hoodoo) come sistema religioso, il quale derivava dalle pratiche spirituali del Dahomey, lo storico regno dell’Africa occidentale (attuale Benin).
Esso era il culto prevalentemente della popolazione nera discendente dagli schiavi deportati nell’isola di Haiti, dopo lo sterminio nel 1533 della locale popolazione india.
Nonostante il divieto del 1685, gli schiavi deportati mantennero i loro riti, che di fatto erano un fattore di identità culturale, religiosa e politica.
Vodou è in realtà una parola della popolazione Fòn, che significa “spirito” o “divinità” e come religione, fu portata a New Orleans, prima dal gruppo iniziale di africani ridotti in schiavitù, provenienti dall’Africa occidentale poi, arrivò una seconda ondata, dopo la “Rivoluzione di Sainte Domingue” (1791–1804).
Quindi, Marie Laveau, era un’erborista ed ostetrica rinomata di New Orleans, praticava il Rootwork, ovvero un sistema che combina la credenza nella causalità magica della malattia con le cure per stregoneria, ed una tradizione empirica che sottolinea la causalità naturale della malattia, con le cure per mezzo di erbe e medicine.
Inoltre, praticava l’evocazione e lo spiritualismo.
Marie, con l’aiuto del dottor John Bayou, un noto prestigiatore senegalese, che si occupava di rootwork, iniziò a dominare la cultura e la società del Vodou a New Orleans.
Per decenni, ella fu una donna molto potente, una regina, una madre per molti.
Le persone chiedevano il suo consiglio per affari coniugali, controversie domestiche, questioni giudiziarie, gravidanza, finanze, salute e buona fortuna.
La donna, a sua volta, consigliava i suoi praticanti, fornendo loro consigli o oggetti spirituali protettivi come candele, polvere ed un assortimento di altri oggetti mescolati insieme per creare un gris-gris (amuleto voodoo, che protegge chi lo possiede dalla sfortuna o attira su di sé la buonasorte).
Marie era nota per assistere i prigionieri condannati a morte ad alcuni dei quali, circolavano voci, avrebbe dato veleni o altre sostanze prima che andassero al patibolo, cosa che non è mai stata provata.
Ma, dopo la sua morte, sua figlia Marie Philomène affermò, durante un’intervista con un giornalista del Picayuneche che, durante queste visite, avrebbero avuto luogo solo tradizioni cattoliche e che sua madre avrebbe anche preparato l’ultimo pasto degli uomini e pregato con loro.
Marie qualche volta chiese anche la grazia o la commutazione delle condanne, per coloro che aiutava, avendo spesso successo nelle sue richieste.
Marie morì il 17 giugno 1881, serenamente nella sua casa, così come annunciato dal Daily Picayun.
Il suo funerale fu sontuoso, con la partecipazione di un pubblico eterogeneo, inclusi membri dell’élite bianca.
Subito dopo, si iniziò a raccontare, che molte persone l’avevano vista in città dopo la sua morte.
Il nome di Marie Laveau e la sua storia continuano ad essere circondati da un alone di mistero e da leggende, ispirando numerosi testi, rappresentazioni e musiche artistiche.
Anche se in molti l’additavano come “strega”, era anche chiamata “Sacerdotessa Voudou” e, soprattutto “Regina Voodoo”, titolo che indiscutibilmente mantiene ancora oggi, visto che molti seguaci del Voodoo della Lousiana, la pregano come se fosse uno spirito Lwa (spiriti intermediari tra l’umanità e Bondyé, una divinità creatrice trascendente), chiedendole favori e canalizzandola tramite la possessione degli spiriti.
Inoltre, ancora oggi alcuni lasciano offerte di elastici per capelli accanto alla targa nella sua ex casa al 1020 di St. Ann Street, doni che onorano la sua fama di parrucchiera.
Marie Laveau fu sepolta nel cimitero n. 1 di Saint Louis nella cripta della famiglia Laveau-Glapion (in tutto ci sono 3 cimiteri).
E di tutte le tombe elaborate, che si trovano a New Orleans, quella che attira il maggior numero di visitatori ogni anno, è proprio la sua.
C’è un’altra cripta nel cimitero n. 2, che è conosciuta come Wishing Vault o Voodoo Vault, dove i visitatori (illegalmente) disegnano “XXX” sulla sua lastra bianca, nella speranza che lo spirito di Marie esaudisca loro un desiderio, oltre a decorarla con cuori, pentagrammi, poesie ed iniziali.
Sebbene non ci siano prove reali, che si tratti effettivamente della tomba di Marie Laveau, centinaia di visitatori ogni anno compiono un pellegrinaggio regolare al sito dove, secondo la tradizione, lo spirito di Marie interverrebbe personalmente a chiunque lasci un’offerta di monete, perline del Mardi Gras, fiori, rum o candele.
Inoltre, vengono lasciate offerte di ciambelle alla statua di Sant’Espedito, che rappresenta lo spirito in piedi tra la vita e la morte, ritenendo che queste offerte accelerino i favori richiesti a Marie Laveau.
I giocatori d’azzardo gridano il suo nome, quando lanciano i dadi e sono state raccontate molteplici storie di avvistamenti della regina Voodoo.
La sua lapide ha più visitatori della tomba di Elvis Presley e, sebbene non sia ancora ufficialmente considerata una santa, c’è un forte movimento per far canonizzare Marie.
L’obiettivo principale del Voodoo della New Orleans di oggi è servire gli altri ed influenzare l’esito degli eventi della vita, attraverso la connessione con la natura, gli spiriti e gli antenati, aiutare gli affamati, i poveri ed i malati, proprio come faceva una volta Marie Laveau.
Molto probabilmente, dopo la morte di Marie, una delle sue figlie assunse la sua posizione, mantenendo il suo nome, e continuò la sua pratica magica, assumendo anche il ruolo di regina poco dopo la morte di sua madre.
Non si è mai saputo se sua madre abbia scelto il ruolo per sua figlia, o se Marie II abbia scelto di seguire le orme di sua madre, ma sembra che si assomigliassero molto fisicamente.
Ma, nonostante tutti i suoi sforzi, la figlia non ha mai eguagliato la fama di sua madre.
Apparentemente le mancava il calore e la compassione di sua madre, perché ispirava più paura e sottomissione.
Come la madre, iniziò come parrucchiera, finendo per poi gestire un bar e un bordello in Bourbon Street.
Marie II fu proclamata una “talentuosa mezzana”, in grado di soddisfare i desideri di qualsiasi uomo a pagamento.
Durante le sue sontuose feste, tenute alla Maison Blanche, si offrivano champagne, buon cibo, vino, musica e ragazze nere nude, che ballavano per uomini bianchi, politici e alti funzionari.
La donna, presumibilmente, morì annegata in una grande tempesta.
“… unguento unguento
mandame alla noce de Benevento
supra acqua et supra vento
et supra omne maltempo “.
Il Noce è conosciuto sin dai tempi più antichi e proviene dalle regioni dell’Asia occidentale.
Il suo nome scientifico è “Juglans regia”, “ghianda di Giove” che, facendo anche riferimento al glande, è simbolo di fecondità e fertilità.
I Greci pensavano che fosse stato importato in Europa dai re persiani, pertanto lo chiamavano “Karya basilica” (noce regale) ed il suo nome era legato alla leggenda mitologica del dio Dioniso ed al suo amore per la principessa Caria.
“Dioniso, ospite nella casa di Dione, re della Laconia, non seppe resistere al fascino di Caria, una delle figlie del re, di cui s’innamorò, riamato.
Poi ripartì per il suo viaggio intorno alla Terra.
Quando finalmente lo concluse, tornò nella casa di Dione, spinto dall’amore per quella giovane.
Le sorelle di Caria, incuriosite, cominciarono a spiarlo, raccontando tutto al re.
A nulla valsero gli avvertimenti di Dioniso: le due sorelle non riuscivano a resistere alla tentazione; sicché il dio decise di punirle facendole impazzire, per poi mutarle in rocce.
Caria ne morì per il dolore; ma Dioniso, che l’aveva tanto amata, la trasformò in un Noce dai frutti fecondi”.
Artemide, sorella di Apollo e molto legata a Dioniso, raccontò questa storia ai Laconi che, successivamente, eressero in suo onore, chiamandola “Artemide Cariatide”, un tempio dalle colonne scolpite in legno di Noce modellato in sembianze femminili, che furono dette “Cariatidi” (personificazioni del destino, che portavano via ogni eroe quando moriva.
Erano raffigurate come esseri alati, neri, con grandi denti bianchi ed unghie aguzze, intente a straziare i cadaveri ed a bere il sangue dei morti e dei futuri).
Un’altra leggenda narra, che il famoso “Nucillo” (un liquore, “Nocino di Sorrento”) debba essere preparato con le Noci raccolte la notte di S. Giovanni, 24 giugno, poiché la rugiada di quella notte è considerata magica e medicamentosa.
Nella simbologia popolare, la Noce evoca il ternario sacro che presiede ad ogni manifestazione: corpo (guscio), spirito (mallo), anima (gheriglio).
Ha anche il significato di “protezione dagli sguardi dei profani”, grazie al suo involucro.
Il legame del Noce con divinità femminili si è tramandato anche nella cultura medioevale, come testimonia la leggenda del “Noce di Benevento”.
Si narra che, nella notte di S. Giovanni, le streghe sciamassero a migliaia nei cieli, recandosi al gran Sabba che si teneva, appunto, sotto il Noce di Benevento.
Queste streghe erano soprannominate “Janare”, in onore di Artemide, in quanto sue seguaci, la quale aveva ereditato le funzioni di Caria.
Quell’albero era molto vecchio perché, nel VII secolo, sotto il regno di Costante II, il vescovo Barbato l’aveva fatto sradicare, per stroncare alcune pratiche pagane, che vi si celebravano durante i Sabba.
Al primo tentativo di reciderlo, apparve il diavolo, nelle sembianze di un serpente.
In seguito, alla morte del vescovo, il Noce rinacque, facendo riprendere i riti janari.
La convinzione che streghe e demoni prediligessero il Noce, per i loro Sabba, era diffusa in tutta Italia.
Gli antichi Romani, durante la festa “Cerealia” o le cerimonie nuziali, effettuavano la “sparsio nucum”, nelle quali si gettavano Noci lungo la strada, come auspicio di fecondità.
A Roma, una leggenda narra, che la chiesa di Santa Maria del Popolo fu costruita per ordine di Pasquale II, nel luogo in cui precedentemente vi era un Noce, intorno al quale migliaia di diavoli danzavano nel cuore della notte.
Anche a Bologna si credeva, fino al secolo scorso, che le streghe si riunissero sotto questi alberi.
Nelle campagne si dice, ancora oggi, che non conviene riposare, e tanto meno dormire, all’ombra di un Noce, perché ci si potrebbe risvegliare con una forte emicrania, se non addirittura con la febbre.
E si crede che, se le radici dell’albero penetrano nelle stalle, faranno deprimere il bestiame.
Effettivamente le sue radici, come le foglie, contengono una sostanza tossica, la “juglandina”, capace di provocare la morte di molte piante che crescono nelle vicinanze.
Può anche aumentare l’alcalinità del suolo intorno alle radici.
Alcune piante, come il lampone nero o il mirtillo rosso, non hanno difficoltà a crescere sotto il Noce.
Altri, come pomodori, pini, mele o betulle, non possono crescere e saranno avvelenati dalla juglandina.
Questo è stato ben noto e documentato per secoli, fino a Plinio il Vecchio che scrisse: “L’ombra degli alberi di Noce è veleno per tutte le piante nel suo raggio d’azione”.
La juglandina è concentrata nei gusci di noci, radici e germogli; in misura minore, si trova anche nelle foglie e negli steli.
In Belgio, le ragazze che vogliono sposarsi, il giorno di San Michele, mescolano noci vuote a piene, afferrandone una a caso con gli occhi bendati: se prendono la noce piena, troveranno presto marito.
Una leggenda slava narra che, il giorno del diluvio universale, le persone giuste, destinate a ripopolare il mondo, si salvarono grazie ad un guscio di noce, dentro al quale raggiunsero la terraferma.
Si dice che una noce con tre setti sai un ottimo portafortuna.
Ed anche che, se si mette una noce sotto il piede di una sedia, sulla quale è seduta una strega, questa non riuscirà più ad alzarsi.
Tenuta in una tasca, allontana sortilegi e malattie, oltre a favorire i parti.
Anticamente, agli ammalati si donavano 9 noci, per una pronta guarigione.
Nella tradizione Hoodoo, le foglie ed i frutti delle Noci sono usate per mettere i Jinx (affascinatura/incantesimo) sulle persone.
Le Noci sono usate anche per “innamorarsi”.
Catherine Yronwode (scrittrice, editrice e praticante americana di magia popolare), nel suo libro “Hoodoo Herb and Root Magic”, descrive un rituale, in cui si prepara un tè di nove noci nere (intere), bollite in tre litri d’acqua, bollendolo fino a quando l’acqua evapora fino a 1 litro.
Poi, fare il bagno in quest’acqua, rinunciando ai legami con il vecchio partner, e buttare l’acqua a un bivio o contro un albero.
Questo tipo di bagno, ovviamente non si può fare nella vasca da bagno, di solito viene fatto in una vasca più piccola.
Il Noce è legato a poteri mentali, infertilità, salute e desideri.
Portare con sé una Noce, può rafforzare il cuore e mitigare i reumatismi.
Se ti viene regalato un sacchetto di Noci, i tuoi desideri saranno esauditi.
Se invece lo regali, auspichi al ricevente tanta energia o l’inizio di nuovi progetti.
Si possono posizionare foglie di Noce intorno alla testa (o in un cappello), per prevenire mal di testa o colpi di sole.
Si racconta, che una donna che voleva rimanere senza figli dopo il matrimonio, poteva mettere le Noci nel suo corpetto il giorno del suo matrimonio: ogni Noce rappresentava un anno di assenza di figli.