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Mandragora è un genere di piante appartenenti alla famiglia delle Solanaceae, conosciuto anche come Mandragola.
Il suo nome deriva dal persiano ‘mandrun-ghia’ = ‘erba-uomo’, per la forma antropomorfa delle radici.
Altri nomi sono: Herbstalraune, Mandrake, Mandragore.
Si tratta di piante erbacee perenni fetide, poste a livello del terreno, alte fino ad una trentina di centimetri, con foglie disposte in rosetta basale, al cui centro nascono i fiori di colore dal bianco-verdastro a blu pallido o viola.
Tra le varie specie, una è Mandragola mediterranea (Mandragora officinarum) di origine appunto mediterranea, radice eretta spesso ramificata, e fiori campanulati bianco-verdastri, seguiti da bacche gialle o arancioni.
Un’altra specie è la Mandragola autunnale (Mandragora autumnalis), di origine balcanica e con fiori violacei.
La Mandragola è una specie estremamente tossica, contenente alcaloidi simili a quelli della scopolamina, josciamina ed atropina, presenti anche nella Belladonna e nel Giusquiamo .
Dosata moderatamente viene talvolta utilizzata come preanestetico e nella cura degli spasmi intestinali, oltre che nell’omeopatia come rimedio sedativo nei casi di asma e tosse.
A causa di questi alcaloidi tropanici allucinogeni deliranti, che causano appunto delirio ed allucinazioni, e la forma delle loro radici che ricordano figure umane, nel corso della storia, la Mandragola è stata sempre associata ad una varietà di pratiche religiose e spirituali.
E’ stata (ed è ancora) a lungo usata nei rituali magici, nelle pratiche pagane contemporanee come Wicca ed Heathenry.
Tuttavia bisogna precisare, che le “Mandragole” utilizzate in questo modo non erano sempre specie di Mandragora, ma spesso si trattava di Bryonia alba.
La Mandragola è una pianta sacra, sia nella sua accezione positiva sia negativa: può dare la vita come la morte.
Evocando il corpo umano, essa rappresenta la panacea, ma contiene anche una forza malefica.
Si pensava che, strappare dal terreno una Mandragola, provocasse una morte istantanea, in quanto essa era lo strumento di Dio come del diavolo.
Infatti, nell’ epoca romana, si credeva che la Mandragola, svellendola dal terreno, avrebbe risvegliato il demone.
Quindi, si suggeriva di disegnare tre cerchi e di legarla al collo di un cane con un filo nero, per evitare l’evocazione malefica.
Nelle regioni appenniniche del lago Scaffaiolo (Modena), la Mandragola era considerata un potente rimedio contro i temporali e le bufere.
I pastori del luogo guardavano di mal occhio gli escursionisti, temendo che essi raccogliessero la pianta, spesso maltrattando i malcapitati soprattutto dopo una tempesta, ritenendoli responsabili delle perturbazioni atmosferiche.
Si narra che, quando la magica pianta viene estratta dal terreno, emetta un grido che fa morire chi lo sente.
Gli Assiri impiegavano il fumo della radice bruciata come esorcismo, soffiandolo sul corpo della persona da guarire, per cacciare il male, così come in Armenia si bruciava la radice per allontanare gli spiriti malvagi, mentre in Israele era nota come amuleto per rendere fertili.
Nel Testamento di Salomone (I – III secolo d.C.), si fa probabilmente riferimento alla radice di Mandragora dicendo, tra l’altro, che sotto la pietra preziosa dell’anello magico di Salomone, portatogli dall’arcangelo Michele, ci fosse un pezzo di radice della pianta, e che tale anello servisse per assoggettare gli spiriti e curare gli ossessi.
I nomi ebraici ed arabi per la pianta si riferiscono ad essa come “l’ardente“, o “Lampada del diavolo”, in quanto si credeva che brillasse di notte con una fiamma ultraterrena.
L’uso farmaceutico di questa pianta risale ai tempi più antichi e, superstiziosamente, gli uomini la credevano capace di provocare l’amore e di creare ricchezza.
Per queste virtù la Mandragola era nota anche come Circea, alludendo alle meravigliose ed incantevoli arti della maga Circe.
Ciò si spiegherebbe, in quanto la Mandragola era la pianta per eccellenza di Ecate, la quale probabilmente, in origine, era una Dea asiatica della Terra.
Madre delle maghe Circe e Medea, viveva in Caria (Asia Minore) ed era la Dea ctonia degli Inferi, la “Signora del mondo sotterraneo”, a cui erano rivolte formule di incantamento, oltre ad essere la Dea delle streghe, degli spiriti notturni, delle nascite e dei trivi.
Causava nell’uomo sonno pesante, sogni gravosi, stati di coscienza mutevoli, epilessia e pazzia, e portava una corona composta da serpenti e rami di quercia (esiste un’associazione tra Mandragora e quercia, secondo una leggenda francese del picchio).
Il cane era il suo animale sacro e spirito aiutante, ed essa stessa appariva come fantasma di un cane, oltre al fatto che era evocata come “nero cane”.
Pertanto, il cane era l’animale da sacrificare e dedicare a Ecate, durante la raccolta della radice di Mandragola, offerto anche nei templi a lei dedicati.
Spongia Somnifera
Esiste un’antica forma di anestetico, che utilizzava gli effetti inebrianti ed antidolorifici di piante come la Mandragola, il giusquiamo insieme all’oppio e ad altri ingredienti.
I liquidi volatili delle piante venivano assorbiti da piccole spugne, per immagazzinare il liquido una volta asciugato.
Quando era pronta per l’uso, la spugna inumidita veniva posta sotto il naso del paziente ed inalata, per beneficiare dei suoi effetti anestetici.
Le prime testimonianze delle spugne risalgono all’antico Egitto.
Per la rassomiglianza della figura umana, la cui radice ricorda gli arti inferiori dell’uomo, Pitagora la chiamò Anthropomorphos e l’iconografia, che sin dai tempi più lontani fu ricchissima, non abbandonò mai tale fantasticheria.
L’uso della pianta come “semplice” fu enfatizzato con l’avvento della “Dottrina delle Segnature” , che sfruttò altresì la già esistente atmosfera magica attorno ad essa.
Nel Medioevo, la diffusione della Mandragola fu enorme e divenne il simbolo delle arti occulte.
In tutte le pratiche magiche se ne fece un largo impiego, sfruttando gli effetti allucinogeni delle polveri e dei succhi.
In antiche tradizioni germaniche, si utilizzava il corpo della radice di alcune piante antropomorfe, soprattutto la Mandragora, come contenitore per lo spirito.
Venivano eseguiti preparativi rituali, per portare lo spirito nel feticcio e venivano fatte offerte regolari, per mantenere il tutto attivo.
Questa radice/contenitore/feticcio era conosciuto come Mannakin, Mandragora o Alraun, e veniva trattata con tutti gli onori.
Il Mannakin agiva come uno spirito familiare, protettore ed insegnante.
Il feticcio e il suo spirito venivano spesso tramandati di generazione in generazione, mantenendo il contratto con lo spirito originale, ed erano spesso conservati in una scatola simile a una bara, che era tenuta in un luogo segreto, poiché il Mannakin doveva sempre rimanere invisibile.
Altre fantastiche storie riguardano la nascita della pianta che, essendo di fattezze umane, non poteva altro che provenire dall’uomo, secondo il mito del “Homunculus”.
L’Essere innaturale, simile all’uomo, era ottenuto dallo sperma umano posto nelle più differenti strutture biologiche.
Così la tradizione popolare cercò fra gli uomini, chi poteva essere l’inseminatore e lo trovò in Adamo, il cui sperma, caduto sulla terra, originava la magica radice. Anche lo sperma degli impiccati, avendo trovato alcune piante sotto i patiboli, fu reputato in grado di generare la Mandragola.
Tutto ciò portò ad affermare, che la pianta, posta in un vaso accanto a sperma e mestruo femminile, potesse creare quindi l’Homunculus, cioè l’Essere innaturale dotato di poteri formidabili.
A seguito delle conoscenze che i Crociati portarono in Europa al ritorno dalla Terra Santa, la Mandragola era il rimedio più costoso in assoluto.
Quindi, si ritiene che molte leggende siano state create appositamente, per mantenerne alto in prezzo visto che, per esempio, nel 1690 una radice costava lo stipendio annuale di un artigiano medio.
Esistevano vari rituali per arricchirsi con la Mandragola: messo un pezzetto di radice in una cassetta o borsa con delle monete, le decuplicava in un giorno.
Nel ‘400, durante la luna di maggio, in Francia si preparavano talismani e amuleti con la polvere o le foglie seccate, in modo che procurasse amore e denaro, credenza talmente diffusa, che si faceva bruciare le Mandragore che la gente teneva in casa, sicuri che, in quel modo, non sarebbe mai diventata povera.
Anche se in seguito, un articolo del diritto di Bordeaux prescriveva pene severe, per chi usava la Mandragola con l’intento di procurarsi ricchezze.
Giovanna d’Arco portava la Mandragola nel corpetto, per avere “buona sorte, ricchezze e cose temporali”, coraggio e poteri particolari, e che le faceva udire le voci misteriose: tutte cose che la portarono al rogo.
Nel XVI secolo, era vietato ai carcerati il possesso di radice di Mandragola, perché si credeva che avesse il potere di aprire qualsiasi serratura, specialmente quelle di ferro vecchio, e soprattutto quelle di forzieri contenenti tesori .
Ciò ci riporta alla leggenda su citata del picchio, che usa la stessa radice per aprire il suo nido chiuso.
In Inghilterra, si credeva che la Mandragola avesse il potere di far vincere i processi e di far ottenere grandi vantaggi in carriera e nel gioco, mentre in Austria si pensava che, chi otteneva improvvisamente una grande fortuna, avesse una radice di Mandragola in tasca.
In Romania si racconta, che il possessore della Mandragola possa chiederle qualunque cosa ed arricchirsi rapidamente e, a tale proposito raccomanda:
“Una domenica, recati a cercarla nel campo, dalle da mangiare e da bere (del vino o del pane) e portala a casa tua, circondata da musicisti e da folla; se le rendi, in seguito, gli onori che merita, se le mostri un volto allegro, se non litighi e non bestemmi (stai attento a non dimenticare nessuno di questi consigli, perché essa ti ucciderebbe), potrai inviarla ovunque, chiederle qualunque cosa ed essa te la concederà. Ma stai attento: non far trascorrere una domenica senza condurre presso la pianta musicisti o uomini del villaggio per danzare; e non cessare di essere sempre allegro, specialmente in quel giorno”.
Inoltre:
∞ Se vuoi ottenere fortuna, cuci con le tue mani un sacchetto di stoffa blu e inserisci polvere di Mandragola, grano o farina, una piccola pietra di alta montagna, una margherita e un’oliva e, all’alba di un giovedì di dicembre, tenendolo stretto nelle mani, pronuncia le seguenti parole magiche: “Beliaz-Ivhaz-Avanhaz-Sira-Manuta-Ilka”. Poi indossalo appeso a un cordino blu, senza che sia mai toccato da alcuno tranne che te.
∞ Se vuoi ottenere ricchezza, recati a mezzanotte di ogni luna piena, nel luogo dove cresce la Mandragola, versale intorno in circolo del latte misto a vino tenuto in una brocca d’argento, poi inginocchiati davanti a lei, pregala di voler esaudire il desiderio ed infine sotterra vicino alla radice una moneta d’oro o d’argento, dicendo mentre ricopri con la terra: “Zibak-Izerav-Afraun”. Gli affari ed i guadagni prospereranno di molto se la moneta è d’argento, di moltissimo se d’oro, ma ricordati di ripetere il rito ogni mese, durante la luna piena, almeno per tredici mesi, altrimenti lo spirito della Mandragora si adirerà, causandoti miseria.
∞ Se vuoi vincere al gioco, scrivi il tuo nome su un biglietto di carta bianca con inchiostro magico blu, seguito dalla parola RHALAZ, poi arrotolalo intorno ad un pezzetto di radice di Mandragola e fissalo con un filo o una catena in oro, o con un nastro blu, e tienilo sempre in tasca, dalla parte del cuore.
∞ Se vuoi ottenere denaro extra, metti in una scatola di legno del denaro in banconote, denaro in monete, una moneta d’oro, una d’argento, un anello d’argento o oro bianco con zaffiro, grani d’incenso, semi di girasole, alcuni chicchi di grano, un po’ di farina, un po’ di zucchero, una bottiglietta d’olio, una pietra raccolta in un fiume, e della polvere o foglie o radice di Mandragola.
∞ Se vuoi protezione contro invidia, malie e sortilegi, cuci con le tue mani un sacchetto di stoffa rossa e inserisci un po’ di polvere di Mandragola, timo, ruta, incenso, sale, tre spine di rosa, un pezzetto di legno di olivo e un pezzetto di carbone. All’alba di un martedì di marzo, tenendo il sacchetto nelle mani, pronuncia le parole magiche: “Issax-Bezak-Makan-Ezeliah-Zanan-Ezeliah-Myrzah”, poi, indossalo legato a un cordino rosso, facendo in modo che non sia mai toccato da estranei.
∞ Se vuoi fare una strabiliante vincita al gioco, all’alba del giorno di San Giovanni, metti in un piccolo sacchetto di lino blu o bianco, della polvere di Mandragola mischiata a polvere d’oro e d’argento, chiudilo con nastro rosso e tienilo sempre con te.
PIANETA: Mercurio
ELEMENTO: Fuoco
SEGNO ZODIACALE ASSOCIATO: Capricorno
CHAKRA: 1, Mūlādhāra (C. della Radice)
ll Giusquiamo, il cui nome botanico è Hyoscyamus, è un membro dell’ordine delle piante delle Solanacee, che comprende membri innocui come l’umile patata ed il pomodoro, ma anche quelli altamente velenosi e famigerati come la belladonna, la mandragora e le datura.
E’ conosciuta anche come: Alterco, Erba apollinaria o apollinea, Erba càmola, Erba d’I mal di dent, Endormie, Oppio dei forti, Zambugnara, Grassuda.
È una delle leggendarie piante “streghe”, rinomata nel folklore per le sue pretese qualità magiche ed è presente in molte delle ricette per unguenti volanti delle streghe, che sono state conservate nei registri dei processi alle streghe nei vari secoli.
Il Giusquiamo comprende undici specie, di cui due sono diffuse in Europa: la varietà “nera”, cioè lo Hyoscyamus niger, e quella “bianca”, lo Hyoscyamus albus.
La varietà più usata è quella “nera” e la sostanza attiva viene ricavata dalle foglie e dai fiori.
Il Giusquiamo nero è la specie più diffusa di tutte.
Cresce dall’Europa all’Asia, dalla penisola iberica alla Scandinavia.
Ora è stato naturalizzato in Nord America ed Australia.
Questa solanacea, di origine orientale, è facile da trovare su terreni poveri di sostanze nutritive.
Riesce a crescere fino a mille metri di quota ed è diffusa in molte parti d’Europa.
Come altre piante della famiglia quindi, il Giusquiamo contiene delle sostanze allucinogene e tossiche.
Negli organi di questa particolare specie sono contenuti due alcaloidi che hanno proprietà psicoattive, chiamati “scopolamina” e “hyoscyamina”.
E’ molto probabile che, anticamente, i Druidi ne abbiano fatto uso nei loro riti divinatori, ma anche per scopi decisamente meno nobili, dato che la pianta è altamente velenosa.
Si ritiene che queste persone avessero una conoscenza approfondita delle piante nocive, delle loro parti e delle preparazioni atte ad esaltarne selettivamente i principi tossici.
Questa pianta dedicata dai Celti al dio del sole e degli oracoli Belenos, era consacrata dai Romani al suo omologo latino Apollinaris.
In Carnia lo si piantava nelle vicinanze delle stalle, per tenere lontane le vipere.
Alberto Magno indica il Giusquiamo in un suo elenco delle erbe magiche.
Nell’antichità veniva comunque utilizzato, sia nella preparazione di anestetici e sia come sonnifero.
Veniva utilizzato anche nella composizione dei filtri delle streghe. Infatti ben si adattava alla funzione di preparare la strega per il viaggio, vero o finto che fosse, verso il Sabba.
Alcuni dicevano che era una pianta magica consacrata a Giove, e poteva essere utilizzato nelle operazioni occulte, se queste si tengono il giovedi, nelle ore diurne sacre a Giove; in questo caso la pianta portava all’illuminazione, al benessere ed alla prosperità.
Il Giusquiamo compare, assieme ad altre erbe e droghe magiche, in un trattato del 1699, opera di Ludovico Maria Sinistrari, un frate francescano che si occupava di demonologia.
Tutte le parti della pianta sono altamente tossiche, le foglie sono la parte più velenosa della pianta, tanto che è stato scoperto, che il semplice odore delle foglie fresche causa vertigini e stupore in alcune persone.
Il Giusquiamo era utilizzato nell’odontoiatria antica, in quanto alleviava rapidamente un mal di denti con i suoi effetti allucinogeni e soporiferi.
I semi venivano riscaldati a carbone, fino a quando non producevano fumi, che venivano inalati.
Inoltre, si dice che gli antichi Egizi fumassero la pianta di Giusquiamo per i problemi dentali.
La radice essiccata di Giusquiamo veniva appesa come collana intorno al collo dei bambini piccoli, per favorire una facile dentizione e prevenire le convulsioni.
Esso era utilizzato per scopi rituali e sciamanici in Eurasia sin dal Paleolitico, così come era usato come pianta rituale dai popoli pre-indoeuropei dell’Europa centrale.
Un’urna di semi di Giusquiamo, insieme con ossa e gusci di lumaca, risalente alla prima età del bronzo, è stata portata alla luce in Austria.
Secondo Carl Ruck (professore della Boston University), si credeva che fosse sacro alla Dea Demetra (Persefone), perché il suo animale sacro era la scrofa, e una traduzione del nome Giusquiamo deriva dal termine “fagiolo di maiale”.
Nelle regioni celtiche, la pianta era chiamata “belinuntia” (pianta del Dio del sole Bel).
I Galli avvelenavano i loro giavellotti con un decotto di Giusquiamo, mentre gli erbari anglosassoni medievali ne menzionavano gli usi medicinali.
Alberto Magno, nel suo “De Vegetabilibus et plantis” ( nel 1250) affermava che i negromanti usavano il fumo per invocare le anime dei morti, oltre che i demoni. Il Giusquiamo prese una piega più erotica negli stabilimenti balneari medievali del tardo Medioevo, dove i semi venivano sparsi sui carboni ardenti per incitare, come si dice, sentimenti eccitanti.
Le associazioni tra Giusquiamo e stregoneria, come le conosciamo oggi, iniziarono nel Medioevo:
“Le streghe bevevano il decotto di Giusquiamo e facevano quei sogni per i quali furono torturate e giustiziate. Era usato per gli unguenti delle streghe ed era usato per creare il clima e evocare gli spiriti. Se ci fosse stata una grande siccità, allora un gambo di Giusquiamo verrebbe immerso in una sorgente e la sabbia cotta dal sole ne sarebbe cosparsa” (Perger 1864).
In esoterismo, il Giusquiamo era particolarmente associato alla divinazione e alla magia dell’amore.
Era anche una delle piante preferite dai monaci avvelenatori.
Si credeva anche che portare la radice sulla propria persona li avrebbe resi invulnerabili alla stregoneria degli altri.
Inoltre, il fumo delle foglie serviva per diventare invisibili, e veniva fumato in una pipa per ottenerne lo scopo.
“Oleum hyoscyamin infusum” (olio di Giusquiamo) era ottenuto mettendo in infusione le foglie a fuoco dolce nell’olio.
Ciò rendeva un raffinato olio da massaggio erotico o un trattamento terapeutico per il dolore.
I semi erano usati anche dagli Assiri, combinati con lo zolfo, per proteggersi dalla magia.
I visionari persiani intrapresero anche viaggi astrali sotto l’influenza di vini e intrugli di Giusquiamo.
Druidi e Bardi (cantori sacri e poeti) inalavano il fumo, per viaggiare nei regni delle Fate e degli Esseri ultraterreni.
I Vichinghi attribuivano una notevole importanza al Giusquiamo, che conosciamo grazie alle centinaia di semi trovati nelle tombe.
Una donna conosciuta come la donna Fyrkat è stata portata alla luce in Danimarca, con indosso un sacchetto di semi di Giusquiamo.
Il primo documento conosciuto, che menziona gli usi germanici della pianta, risale al tempo del vescovo Burchard von Worms, che morì nel 1025.
Esso descrive un confessionale in grande dettaglio, che illustra un rituale della pioggia:
“… raccolgono diverse ragazze e scelgono tra queste una piccola fanciulla come una specie di leader. La spogliano e la portano fuori dall’insediamento in un posto dove possono trovare Giusquiamo, che è noto come Bilsein in tedesco. Le fanno tirare fuori questo con il mignolo della mano destra e legano la pianta sradicata al mignolo del piede destro con qualsiasi tipo di corda. Quindi le ragazze, ognuna delle quali tiene una verga tra le mani, conducono la suddetta fanciulla al fiume successivo, trascinandosi dietro la pianta. Le ragazze poi usano le bacchette per cospargere la giovane fanciulla con acqua di fiume, e in questo modo sperano di far piovere con la loro magia. Prendono la giovane fanciulla, nuda com’è, che posa i suoi piedi e si muove come un granchio, per le mani e la conducono dal fiume indietro all’insediamento “.
I semi del Giusquiamo servivano come fumiganti per le arti necromantiche e per evocare i morti per i praticanti magici del Rinascimento.
L’occultista fondatore Henry Cornelious Agrippa scrive nel 1531:
“Così, dicono, che se il coriandolo, il piccione, il Giusquiamo e la cicuta si trasformano in un fumo, gli spiriti si riuniranno subito; per questo sono chiamate erbe dello spirito. Inoltre, si dice, che il fumo fatto dalla radice dell’erba canina sagapen, con il succo di cicuta e Giusquiamo, e l’erba tapsus barbatus, levigatrici rosse e papavero nero, facciano apparire spiriti e strane forme; e se si aggiunge loro un po’ di piccolezza, il fumo scaccia gli spiriti da qualsiasi luogo e distrugge le loro visioni “.
La radice del Giusquiamo era anche usata come amuleto.
Alessandro di Tralles (550 d.C.) prescriveva spesso una miscela fatta con un amuleto di Giusquiamo e sagge parole progettate per creare protezione magica.
Egli era un seguace dello Gnosticismo, un movimento religioso complesso che fiorì nell’era pre e paleocristiana.
Uno dei suoi amuleti prescritti era, appunto, la radice di Giusquiamo appesa al collo di un paziente, per un magico sollievo dal dolore.
Poi ancora per la gotta: “un po’ di Giusquiamo, quando la luna è in Acquario o Pesci, prima del tramonto, deve essere scavato con il pollice e il terzo dito della mano sinistra”.
In Germania si credeva anche che il Giusquiamo producesse sterilità nella terra e nel bestiame. (Thiselton-Dyer).
Poiché l’aumento delle tempeste e la rovina dei raccolti e del bestiame erano tra le accuse più comuni, poste alle “streghe” accusate dal popolo, non è impossibile che questo folclore tedesco possa derivare dall’associazione della pianta con le streghe; se le streghe, infatti, sollevavano tempeste e rovinavano i raccolti, forse lo facevano con Giusquiamo e altre piante nocive.
D’altra parte, se il bestiame era stato avvelenato da foraggi contenenti Giusquiamo (e altre piante simili), potrebbe essere stato più facile presumere, che la morte improvvisa e inspiegabile delle bestie fosse dovuta alla stregoneria, piuttosto che tentare di scoprire cosa li aveva uccise davvero.
Gli antichi Greci credevano che le persone sotto l’influenza dell’erba, diventassero profetiche, e si dice che le sacerdotesse dell’Oracolo di Delfi avessero inalato il fumo dal Giusquiamo fumante.
Questa pianta era così intimamente legata ai pensieri di stregoneria, che il possesso di essa era sufficiente per condannare una persona per stregoneria.
Ci sono molte menzioni nei processi alle streghe del XVI e XVII secolo, come prova di intenti malevoli.
Il Giusquiamo era anche usato come ingrediente nella birra psicoattiva, che fu messa al bando, con le leggi bavaresi sulla purezza nel 1516.
Anche se l’uso di questa pianta nei rituali era in particolare come incenso (semi), i Tedeschi amavano le birre al Giusquiamo, quindi piantarono giardini di Giusquiamo solo per questo scopo, i quali erano sotto la protezione di Odino, padre di Donar.
Questi giardini di Giusquiamo hanno lasciato il segno nella storia della Germania con nomi di luoghi come Bilsensee (lago di Giusquiamo) e Billendorf (villaggio di Giusquiamo).
Quindi, come detto sopra, con l’avvento delle leggi bavaresi sulla purezza della birra, il Giusquiamo fu bandito dall’uso popolare, per essere poi riscoperto da parte di coloro che avevano fame di magia secoli dopo.
Henbane Pilsener (pilsener di Giusquiamo)
– 20 litri di acqua
– 1 litro di malto
– 1/2 litro di miele
– 40 grammi di Giusquiamo foglie essiccate
– lievito per birra (la quantità dipende dal prodotto)
Trova un contenitore abbastanza grande da contenere tutti gli ingredienti.
Cuoci il Giusquiamo in acqua per 5-10 minuti.
Nel frattempo, sciogliere il malto in un paio di litri d’acqua, sciogliervi il miele e aggiungere l’acqua delle foglie di Giusquiamo.
Quindi aggiungere il lievito. Potrebbe essere utile aggiungere un po’ più di lievito di quanto raccomandato, perché gli alcaloidi influenzano il lievito.
Non sigillare il contenitore, in quanto potrebbe esplodere.
L’infuso dovrebbe iniziare a fermentare dopo circa un giorno e la fermentazione dovrebbe terminare dopo 4 o 5 giorni.
La birra è ora pronta per essere bevuta.
Puoi anche imbottigliarla, nel qual caso puoi aggiungere qualche goccia di miele a ciascuna bottiglia e lasciarla fermentare per un’altra settimana o due.
Servire preferibilmente freddo.
Conservare come una normale birra.
Un’ ultima curiosità.
Sere fa ho visto un bellissimo thriller del 2018: “Paziente 64 – Il giallo dell’isola dimenticata”, di Jussi Adler-Olsen, diretto da Christoffer Boe, con Nikolaj Lie Kaas e Fares Fares.
Narra di due poliziotti che, mentre indagano su alcune sparizioni sospette, ritrovano tre corpi mummificati seduti attorno a un tavolo, con un quarto posto rimasto vuoto. Mentre tentano di svelare l’identità delle tre mummie e di capire a chi fosse destinato il posto libero, scoprono che le ultime persone che hanno abitato quell’appartamento sono collegate al famoso ospedale sull’isola di Sprogø (Danimarca), luogo in cui venivano internate e sottoposte a sterilizzazione forzata le donne che all’epoca erano considerate promiscue o con inclinazioni omosessuali.
Si scoprono così gli orrori commessi nella struttura, che rappresentano una delle pagine più deprecabili nella storia della Danimarca, ma man mano che le indagini proseguono emergono elementi che fanno ritenere che gli esperimenti, che si compivano a Sprogø, continuano anche nel presente.
La struttura sull’isola in cui è ambientata la narrazione esiste veramente: fu attiva dal 1922 al 1961, e si trattava di un vero e proprio centro d’internamento per giovani donne indesiderate dalla società (a cominciare dai loro genitori), per i loro comportamenti giudicati trasgressivi o asociali.
Essa rappresenta una delle pagine più deprecabili nella storia della Danimarca.
Ma la curiosità di cui parlavo, sta nel fatto che il Giusquiamo è un po’ l’elemento dominante della narrazione in quanto, dall’inizio alla fine, è nominato ed usato.
Viene usato come infuso e bevuto dalle ragazze dell’isola di Sprogø come allucinogeno, a parer loro, con effetti simili alla marijuana, ma anche bevuto dai protagonisti in età adulta.
Oltre ad essere la causa della morte delle tre mummie, perché somministrato in dosi massicce e, quindi, mortali.