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Festival delle Luci
Il Solstizio (dal latino “solstĭtĭum”, composto da “sōl”, «Sole», e “sistĕre”, «fermarsi») è in astronomia il momento in cui il Sole raggiunge, nel suo moto apparente lungo l’eclittica, il punto di declinazione massima (Solstizio d’Estate) o minima (Solstizio d’Inverno).
Il Solstizio d’Inverno avverrà il 21 dicembre 2020 alle ore 10:02 e sarà il giorno con il minor numero di ore di luce solare durante tutto l’anno, quindi il “giorno più corto” dell’anno.
È il momento astronomico in cui il Sole raggiunge il Tropico del Capricorno, abbiamo il giorno più corto e la notte più lunga dell’anno nell’emisfero settentrionale in termini di luce diurna. Indipendentemente da ciò che il meteo dice realmente, il Solstizio segna l’inizio ufficiale dell’inverno.
Spesso pensiamo al Solstizio d’Inverno, come a un evento che abbraccia un intero giorno di calendario ma, in realtà, dura solo un momento.
In particolare, è il momento esatto in cui un emisfero è inclinato il più lontano possibile dal Sole.
Il Solstizio d’Inverno ha un significato importante in molte culture, poiché segnala il cambiamento delle stagioni.
Infatti, esso tradizionalmente segnava il punto intermedio della stagione, piuttosto che l’inizio di essa, il che spiega perché le festività, come il Giorno di Mezza Estate, vengano celebrate intorno al primo giorno d’estate.
Alcuni popoli antichi hanno persino solennizzato il Solstizio, usando enormi strutture in pietra, come Newgrange, in Irlanda.
Questo sito, risalente al 3200 a.C., è costituito da un grande tumulo circolare con un passaggio in pietra e camere interne.
Quando il sole sorge durante il Solstizio d’Inverno, la camera è inondata di luce.
Nel Galles, Alban Arthan è un festival universale, celebrato da molte persone ed è probabilmente il più antico festival stagionale dell’umanità.
Nelle tradizioni druidiche, il Solstizio d’Inverno era un momento di morte e rinascita, in cui i poteri della Natura e le anime delle persone si rinnovavano.
Segnava il momento in cui moriva il Vecchio Sole (al tramonto del 21 dicembre) e nasceva il Sole del Nuovo Anno (all’alba del 22 dicembre), incorniciando la notte più lunga dell’anno.
Si pensava che la nascita del nuovo Sole facesse rivivere l’aura della Terra in modi mistici, dando una nuova prospettiva di vita agli spiriti e alle anime dei morti.
In Scandinavia, quando i fuochi venivano accesi per simboleggiare il calore, la luce e le proprietà vivificanti del Sole che tornava, si festeggiava Yule.
Yule era una festa pagana che seguiva il Solstizio d’Inverno (di solito intorno al 21 dicembre) e celebrava il ritorno del Sole, mentre le giornate cominciavano ad allungarsi di nuovo.
I festeggiamenti, che prevedevano molto bere e consumare animali macellati, duravano fino a 12 giorni, da qui i 12 giorni di Natale.
Esiste una vecchia usanza, quella di bruciare il “Ceppo di Natale”, che risale a prima del Medioevo.
In origine era una tradizione nordica, in uso in Scandinavia e in altre parti dell’Europa settentrionale, come la Germania.
Il Ceppo di Natale era in origine un albero intero, scelto con cura e portato in casa con una grande cerimonia.
L’estremità più grande del tronco era collocata nel focolare, mentre il resto dell’albero sporgeva nella stanza.
Il Ceppo doveva essere acceso dai resti del ceppo dell’anno precedente, che era stato accuratamente conservato ed alimentato lentamente nel camino, durante i dodici giorni di Natale.
Si riteneva importante, che il processo di riaccensione fosse eseguito da qualcuno con le mani pulite.
In Provenza (Francia), era tradizione che tutta la famiglia aiutasse a tagliare il tronco e che ogni notte ne venisse bruciato un po’.
Se avanzava una parte del tronco dopo la dodicesima notte, veniva tenuto al sicuro in casa, fino al Natale successivo, per proteggerlo dai fulmini.
In alcune parti dei Paesi Bassi, veniva fatta la medesima cosa, ma il tronco doveva essere conservato sotto un letto.
In alcuni paesi dell’Europa orientale, il ceppo è tagliato la mattina della vigilia di Natale ed acceso quella sera.
In Cornovaglia (Regno Unito), il ceppo si chiama “The Mock”.
Esso viene asciugato e poi la corteccia viene tolta prima che entri in casa per essere bruciato.
Anche nel Regno Unito, i produttori di botti (o Coopers, come venivano tradizionalmente chiamati) davano ai loro clienti vecchi tronchi, che non potevano usare per fare le botti, per realizzare i tronchi di Yule.
L’usanza del Ceppo di Natale si è diffusa in tutta Europa e diversi tronchetti di legno vengono utilizzati in diversi Paesi.
In Inghilterra, la Quercia è tradizionale; in Scozia, è la Betulla; mentre in Francia è il Ciliegio. Inoltre, in Francia il tronco viene cosparso di vino, prima che venga bruciato, in modo che abbia un buon profumo quando è acceso.
Nel Devon e nel Somerset (Regno Unito), alcune persone preparano un mucchio molto grande di ramoscelli di Frassino, invece di utilizzare il tronco.
Questo deriva da una leggenda locale, secondo cui Giuseppe, Maria e Gesù erano molto infreddoliti, quando i pastori li trovarono la notte di Natale.
Così i pastori fecero bruciare alcuni mazzi di ramoscelli di Frassino, per tenerli al caldo.
In alcune parti dell’Irlanda, invece, le persone usano una grande candela invece del ceppo, che viene acceso solo la vigilia di Capodanno e la dodicesima notte.
Il ceppo non era mai bruciato completamente, si conservava come segno di buona fortuna e utilizzato come fuoco, per il ceppo dell’anno successivo.
Invece, in Inghilterra, Germania, Francia e altri Paesi europei, il ceppo di Natale era bruciato fino a quando non rimaneva nient’altro che cenere.
Le ceneri venivano poi raccolte e sparse nei campi come fertilizzante, ogni notte fino alla dodicesima notte, o portate al collo come talismano.
I contadini francesi mettevano le ceneri del tronco raffreddate sotto i loro letti, credendo di proteggere la casa da tuoni e fulmini.
Ma ci sono tre teorie principali su Yule: la prima lo descrive come una celebrazione per il ritorno del Sole.
La seconda teoria parla di Yule, come di una festa di metà inverno, dedicata ai morti.
La terza teoria descrive Yule come una festa della fertilità, in cui le persone sacrificavano animali agli Dei, nella speranza di ottenere un buon raccolto nell’anno successivo.
Poiché Yule (antico norvegese: Jól) è in realtà plurale e significa letteralmente feste, tutte e tre le tesi potrebbero, in teoria, essere vere.
Yule è la svolta dell’anno in cui, man mano che le giornate iniziano ad allungarsi, i popoli nordici hanno celebrato la fine dell’anno e il ritorno del Sole, il completamento di un altro ciclo annuale di vita, morte e rinascita.
Il Solstizio d’Inverno era particolarmente infausto la notte, in quanto si diceva che Odino cavalcasse nei cieli con la “Caccia Selvaggia” (un corteo notturno di esseri sovrannaturali che attraversava il cielo, o il terreno, intento in una furiosa battuta di caccia, con cavalli, segugi e battitori al seguito, raccogliendo le anime dei morti).
Così tutti rimanevano in casa a banchettare, timorosi di uscire, per non essere scoperti soli e venire rapiti dalla Caccia Selvaggia.
Si dice che, in seguito, il re Hakon di Norvegia, che era cristiano, approvò una legge secondo la quale, il giorno di Natale cristiano e le celebrazioni natalizie pagane dovevano essere celebrati, d’ora in poi, allo stesso tempo. Quindi, da quel momento, Yule si trasformò in Natale.
In Scandinavia è ancora tradizione lasciare fuori il cibo (di solito porridge con burro) per i piccoli “Tomte” (vecchietto piccolo e barbuto, vestito sempre di grigio. Vive sotto le fattorie ed è il protettore della casa) e “Nisse” (folletti) e quindi abbiamo la tradizione di lasciare il cibo (di solito i biscotti) fuori per Babbo Natale, che in Svezia è chiamato “Jul Tomte” (Elfo di Yule).
Un’altra tradizione in Scandinavia è quella della capra natalizia, le cui origini si perdono nella notte dei tempi.
Il “Jul Bok” (capra di Yule) è oggigiorno di solito fatto di paglia, il che indica che probabilmente una volta era un’offerta dell’ultimo raccolto (come i carrelli di mais britannici), ma altre tradizioni parlano di un uomo che si traveste da capra a Yuletide, che potrebbe essere un lontano ricordo di un rituale pagano della fertilità, o anche essere collegato alle due capre che hanno trainato il carro di Thor nella mitologia norrena.
Era consuetudine che, durante il periodo natalizio, non si facesse alcun lavoro.
Da fonti germaniche leggiamo storie della Dea “Berchta”, che visita le case della gente e punisce coloro che giravano durante il periodo natalizio.
Nella “Saga di Svarfdæla”, islandese, si parla di un guerriero che rimanda un combattimento a dopo il Natale, e anche “La saga di Hakon, il Buono” dice che Yule doveva essere santificato.
I moderni pagani scelgono di celebrare questo momento come i “Dodici giorni di Yule”, con l’ultimo giorno che culmina la 12^ notte.
Gli antichi calendari seguivano un diverso metodo del tempo, e le celebrazioni del Solstizio, così come le successive osservanze natalizie, possono variare da luogo a luogo rispetto a quando si verificano.
Oggi, la maggior parte dei pagani celebra il periodo natalizio dal 20 al 31 dicembre circa.
Alcuni gruppi pagani scelgono di non condurre affari, durante il periodo di Natale.
Invece altri praticanti della “Tradizione del Nord” scelgono persino di ritirarsi completamente e di isolarsi da mailing list online, bacheche e social media come Facebook, per poter rimanere concentrati sul trascorrere il Natale con amici e familiari.
Anche se non è sempre un’opzione per tutti, ci sono quelli che scelgono di utilizzare le ferie dal lavoro, in modo da poter trascorrere liberamente l’intero periodo natalizio.
I pagani allestiscono l’altare di Yule, che dovrebbe essere rivolto a nord.
Esso è decorato con agrifoglio, vischio, foglie secche e frutti.
Bisogna aggiungere un calice di vino, idromele o sidro appropriato, un tronco di quercia o pino con un massimo di 13 candele verdi, bianche e rosse decorate con intagli, rune o simboli, che viene posto centralmente sull’altare.
Non deve mancare nemmeno l’incenso profumato appropriato, che brucia e profuma l’aria, per esempio all’alloro, ginepro, cedro, pino o rosmarino.
I festeggiamenti di Yule permangono nel Neopaganesimo della Wicca, con la commemorazione della morte di “Re Agrifoglio” (Holly King), che simboleggia l’anno vecchio ed il Sole al declino, per mano del suo successore, “Re Quercia” (Oak King), che simboleggia l’anno nuovo ed il Sole che inizia la sua ascesa.
In altre tradizioni, si celebra la nascita del nuovo Dio Sole bambino, come l’antica festività romana del “Sol Invictus”.
Il Solstizio d’Inverno, ancora oggi è celebrato da molte persone in tutto il mondo, come l’inizio del ritorno del sole e l’oscurità che si trasforma in luce.
Il “Talmud” (uno dei testi sacri dell’Ebraismo) riconosce il Solstizio d’Inverno come “Tekufat Tevet”.
In Cina, il “Festival di Dong Zhi” viene celebrato durante il Solstizio d’Inverno da famiglie, che si riuniscono e mangiano cibo speciale festivo, come il “tang yuan” (polpette di riso glutinoso).
Si pensa che sia iniziata come una festa di fine raccolto, con i lavoratori che tornavano dai campi e si godevano i frutti del loro lavoro con la famiglia.
Fino al XVI secolo, i mesi invernali erano un periodo di carestia nel nord Europa.
La maggior parte del bestiame veniva macellato, in modo da non dover essere nutrito durante l’inverno, rendendo il Solstizio un momento in cui la carne fresca era abbondante.
Ed è noto che la maggior parte delle celebrazioni del Solstizio d’Inverno in Europa prevedeva allegria e banchetti.
Nell’antica Roma, il Solstizio d’Inverno veniva celebrato in occasione della “Festa dei Saturnali”, in onore di Saturno, il Dio della generosità agricola.
Durando circa una settimana, i Saturnalia erano caratterizzati da banchetti, dissolutezza e regali.
Con la conversione dell’imperatore Costantino al Cristianesimo, molte di queste usanze furono successivamente assorbite nelle celebrazioni natalizie.
Una delle celebrazioni più famose al mondo, del Solstizio d’Inverno, oggi si svolge nelle antiche rovine di “Stonehenge”, in Inghilterra.
Lì ogni anno, migliaia di druidi e pagani si danno appuntamento per ballare, cantare e suonare, in attesa di vedere la spettacolare alba.
Le feste pagane del Solstizio d’Inverno richiamavano soprattutto l’importanza della trasformazione e della rinascita.
Tra i simboli antichi del Solstizio troviamo il vischio, che richiama la vita e la rigenerazione.
Nell’Arizona settentrionale, c’è “Soyal”, la celebrazione del Solstizio d’Inverno degli indiani Hopi.
Le cerimonie e i rituali includono la purificazione, la danza e talvolta la donazione.
Al momento del Solstizio, gli Hopi accolgono i “Kachina”, spiriti protettivi delle montagne ed utilizzano i bastoncini di preghiera, per varie benedizioni e altri rituali.
In Perù si festeggia “Inti Raymi” , celebrazione Inca in onore del Dio Sole.
Originariamente celebrato dagli Inca prima dell’arrivo dei conquistatori spagnoli, i festeggiamenti includevano feste e sacrifici di animali o forse anche di bambini…
Gli Spagnoli vietarono la festa, ma fu ripresa (con finti sacrifici invece di veri e propri) nel XX secolo ed è celebrata ancora oggi.
Ciò avviene però a giugno. Infatti, bisogna considerare l’emisfero di appartenenza. L’Italia appartiene all’emisfero boreale, pertanto avrà il Solstizio d’Inverno a dicembre e quello d’Estate a giugno.
Il Perù, così come tutti gli altri Stati ricadenti nel emisfero australe, avrà il Solstizio d’Inverno a giugno e quello d’Estate a dicembre.
In entrambi gli emisferi, il Solstizio d’Inverno sarà sempre il giorno più corto dell’anno.
In Iran si festeggia “Yalda”, il festival persiano che ha avuto inizio nei tempi antichi.
Segna l’ultimo giorno del mese persiano di Azar.
Yalda è tradizionalmente vista come la vittoria della luce sull’oscurità ed il compleanno del Dio del Sole, Mithra.
Le famiglie festeggiano insieme con cibi speciali, come noci e melograni, e alcuni rimangono svegli tutta la notte, per accogliere il sole del mattino.
In Scandinavia si festeggia anche Santa Lucia, martire cristiana, con il “Festival delle Luci”, festa incorporata con le precedenti tradizioni del Solstizio nordico, come l’accensione di fuochi per allontanare gli spiriti durante la notte più lunga.
Le ragazze si vestono in abiti bianchi con cinture rosse ed indossano corone di candele sulle loro teste in onore di Santa Lucia.
“Lohri” è la celebrazione più popolare del nord dell’India, soprattutto in Punjab ed Haryana.
Originariamente si teneva durante il Solstizio d’Inverno, poi è stata spostata a Gennaio, prima del “Makar Sankranti,” festival indù dedicato alla divinità Surya.
Nei giorni che precedono le vacanze, le persone raccolgono legna da ardere, in preparazione degli enormi falò accesi nella notta di Lohri.
Le specialità culinarie includono popcorn, arachidi e “gajak” (dolce a base di sesamo), che vengono mangiati dai partecipanti, prima di essere buttati nel fuoco.
In questo giorno invernale, i Giapponesi osservano e celebrano il “Tōji”, il Solstizio d’Inverno.
Infatti esso, radicato nella filosofia cinese di ying e yang, simboleggia l’armonia e l’equilibrio della forza vitale.
Si ritiene che lo “yin” del freddo e dell’oscurità siano al massimo, nel giorno più corto dell’anno. Quando lo yin sarà passato, lo “yang” del calore e della luce sarà su di noi e presto tornerà la primavera. Quindi, il Solstizio d’Inverno è un momento per festeggiare.
L’usanza vuole che si faccia un bagno speciale agli agrumi, si mangi zucca invernale, nonché tutti gli alimenti che hanno la lettera “n” nel nome (si ritiene che porti fortuna) come: “udon” (noodles), “ninjin” (carota), “ginnan” (ginko dado), ecc.
Il 21 dicembre a Vancouver (Canada), si tiene un evento tra i più festosi, il “Festival delle Lanterne”, durante il quale migliaia di persone si riversano in strada, per illuminare la notte più buia.
Tra lanterne, spettacoli di fuoco ed intrattenimento musicale, si allontana la tristezza invernale.
A Chichicastenango (Chichi), in Guatemala, si celebra il “Festival di Santo Tomas”, anche se la Chiesa cattolica lo festeggia a febbraio.
Probabilmente, ciò è dovuto al fatto che è un mix della cerimonia cattolica con i rituali Maya dei nativi, che si programmavano per il Solstizio.
Oggi, la festa è caratterizzata da costumi tradizionali dai colori vivaci, maschere, sfilate, fuochi d’artificio e musica.
Il momento clou è dato dall’usanza che sfida la morte, della danza “Flying Pole”: arrampicarsi su un palo di una trentina di metri, legare una corda e saltare giù dalla cima.
A Brighton (Inghilterra), si tiene il Festival “Burning of Clocks”, durante il quale le persone, che indossano costumi che rappresentano orologi ed il passare del tempo, procedono con lanterne di legno e carta verso la spiaggia, dove le lanterne vengono bruciate in un enorme falò, a simboleggiare i desideri, le speranze e le paure, che verranno tramandate tra le fiamme.
In Cornovaglia, da dodici anni si celebra il “Festival di Montol”, durante il quale dei personaggi, “Guisers”, indossando costumi da carnevale, procedono con lanterne, creando un “fiume di fuoco” ,inteso a celebrare il ritorno del sole.
Nell’antica usanza, i Guisers (quelli che indossavano travestimenti) vagavano per le strade, mettendo in scena parodie, canzoni e scherzi; parte del divertimento stava nell’indovinare chi era chi.
Musica tradizionale, balli e spettacoli si aggiungevano all’atmosfera festosa.
E oggi?
La tragedia del Covid-19 ha gettato il Mondo in una situazione complessa, per la quale stiamo ancora cercando di trovare la via da seguire.
In considerazione di questo scenario incerto, numerosi ricercatori ed esperti hanno messo in atto i propri strumenti, per sviluppare soluzioni o alternative, che puntino i riflettori su ciò che sta accadendo e su come superarlo.
La situazione estremamente traumatica che stiamo vivendo, segnata da un cambiamento così improvviso e repentino, ha avuto (ed avrà per tanto tempo) sicuramente un grande impatto a breve termine su tutti noi, generando nuove prospettive, nuovi modi di vedere le cose e un nuovo scenario in generale.
Quindi, alla luce di tutto ciò, quest’anno ogni tipo di festività si svolgerà piuttosto in sordina.
Ma, al di là dei festeggiamenti e delle cose materiali, dovremmo celebrare ugualmente in “noi”, cercare un po’ di gioia e serenità in questi giorni, abbracciando emozioni positive.
Ricordiamoci la fortuna di esserci, di poter esistere e resistere, di poter festeggiare la nostra vita, così importante e spesso data per scontata.
Coltiviamo la nostra gratitudine nei confronti di tutto ciò che siamo, di tutto ciò che illumina la nostra vita, a partire dai nostri cari.
Facciamoci il regalo più bello: riflettiamo e non restiamo indifferenti a tutte le volte che siamo caduti e ci siamo rialzati, tutte le volte che abbiamo asciugato in silenzio le nostre lacrime, tutte le volte che abbiamo gioito, scovando il buono in ogni cosa.
Quindi, auguri a NOI, piccole parentesi nell’Infinito, affinché possiamo essere forti ora, per ricostruire insieme il nostro futuro.
Questa è la notte più lunga della nostra vita, ma arriverà la luce e con lei la nostra Rinascita.