ADE
“Da una casa si sente un gramolare;
e sono i poveri i pallidi morti
che laggiù fanno il loro triste pane
il loro bianco pane d’asfodelo.”
-Corrado Govoni-
Asphodelus è un genere di piante, che conta un centinaio di specie, con foglie basali a rosetta dal cui centro emerge uno stelo nudo, alto circa un metro, che culmina con una spiga di fiori, quasi sempre biancastri con una striscia centrale più scura.
Ha rizoma breve, la cui radice tuberosa è commestibile.
Originario del bacino del Mediterraneo ed Asia, cresce nei terreni rocciosi, ed è naturalizzato nell’America del nord.
Il suo nome deriva dal greco: “A” =non, “SPOD(OS)”= cenere, “ELOS”=valle, sottolineano chiaramente, che la pianta è tra le prime a rinascere dopo gli incendi, colonizzando terreni poveri ed aridi, poiché gli animali non si cibano di essa.
Per questo le antiche Herbane (Streghe delle Erbe) credevano fosse una pianta benefica per eccellenza e le sue radici venivano usate per tisane da somministrare alle donne in attesa di un figlio.
Queste avrebbero aiutato il bambino a radicarsi nel ventre materno, crescendo sano e forte.
L’Asfodelo viene utilizzato come ornamento per aiuole, oppure è coltivato per ricavarne fiori recisi.
Ha anche usi alimentari e farmaceutici.
E’, infatti, utilizzato nella medicina popolare, ma non iscritto nella Farmacopea Ufficiale.
La droga è data dai tubercoli che si raccolgono in estate, quando le foglie sono secche e si mettono a seccare all’ombra, tagliati in fettine sottili.
I tubercoli di questa pianta sono commestibili; sembra che abbiano costituito una fonte importante di cibo in età preistorica e, più di recente, nei periodi di carestia.
Infatti le radici, essiccate e bollite in acqua, producono una materia mucillaginosa, che in alcuni Paesi viene mescolata con grano o patate, per fare il pane all’Asfodelo.
In Spagna e in altri Paesi l’Asfodelo è usato come foraggio per gli animali, in particolare per gli ovini.
In Iran, si fa la colla con i bulbi, che vengono prima essiccati e poi polverizzati.
La polvere, mescolata con acqua fredda, si gonfia e forma una forte colla.
Ippocrate, Dioscoride e Plinio dicevano che le radici venivano cotte nella cenere e mangiate.
Anticamente, i pastori raccoglievano i fiori secchi degli Asfodeli, per utilizzarli come combustibile per il fuoco, e per farne delle torce, per rischiare le lunghe notti in montagna.
Un uso particolare delle foglie di Asfodelo si ha nella produzione di formaggi tipici di Rignano (Fi).
Le foglie, divise in due nel senso della lunghezza, in Sardegna sono utilizzate per la costruzione di cesti.
Ottimo è il miele di Asfodelo.
L’Asfodelo rappresentava per gli antichi Greci il simbolo dei Morti, e dividevano il regno dell’Aldilà in Campi Elisi come Paradiso, il Tartaro come Inferno e le Praterie degli Asfodeli come Purgatorio.
Assieme ad altre credenze, ciò portava a piantare Asfodeli sulle tombe.
Nell’Odissea, Omero chiama l’Asfodelo la ‘pianta degli Inferi‘.
Le Praterie degli Asfodeli erano una sezione del mondo sotterraneo dell’antica Grecia, dove le anime ordinarie e indifferenti erano mandate a vivere dopo la morte.
Ade, nome greco degli Inferi, era diviso in due sezioni principali: Erebo e Tartaro .
Erebo era il luogo in cui i morti entravano per la prima volta negli Inferi.
Caronte traghettava i morti attraverso il fiume Stige, per arrivare nel Tartaro.
Il Tartaro era la sezione degli Inferi, in cui i morti trascorrevano tutta l’eternità, nel posto in cui il Giudizio li avrebbe ordinati.
Il Tartaro, a sua volta, era quindi diviso in tre sottosezioni: i Campi Elisi, le Praterie degli Asfodeli e il Tartaro.
I Campi Elisi erano per le anime buone ed eroiche, luogo in cui sarebbero state per sempre felici.
Il Tartaro era il luogo in cui le anime malvagie e traditrici venivano inviate a vivere l’eternità, in un’orribile punizione.
E poi c’erano le Praterie degli Asfodeli, nel quale si riunivano le anime degli ignavi e di coloro che in vita non si erano macchiati di colpe gravi, ma nemmeno erano stati straordinariamente virtuosi.
Qui esse potevano passeggiarvi o anche svolazzarvi come pipistrelli.
Il loro unico piacere era bere il sangue delle offerte dei vivi.
La prateria era caratterizzata da un tedio senza fine, dove solo l’ombra del cacciatore Orione, inseguendo eternamente dei daini, sembrava godere del conforto di avere qualcosa da fare.
Questi prati avevano il nome dell’Asfodelo, questo fiore spettrale e pallido, così come lo era questo luogo, pallida copia di un mondo che non c’era più.
Quindi essendo un simbolo anche dei rimpianti, non di raro è possibile ammirarlo sulle sponde del lago Averno e, si dice, che il nome degli Asfodeli sia sussurrato anche nei recessi dell’Ade stesso, ad indicare prati sterminati in cui i defunti, che non si sono distinti in vita, né in un senso né in un altro, possono cibarsi di bulbi, simili a patate, che provengono dalla pianta stessa.
Nell’antica Grecia, l’Asfodelo era anche coltivato sulle tombe, forse per la credenza che i morti se ne cibassero.
Nel linguaggio dei fiori, il significato dell’Asfodelo è: “ricordato oltre la tomba” o “i miei rimpianti ti seguono nella tomba”.
L’Asfodelo è sacro ad Ade (Asfodelo piantato intorno alle tombe), Persefone ed Ecate (le statue di queste Dee erano adornate con Asfodelo sull’isola di Rodi).
In Esoterismo, l’Asfodelo è usato nei rituali di morte ed agonia.
Può essere utilizzato come incenso, infusione o impacchettato, da aspergere durante la pulizia rituale.
Infatti, da sempre le Streghe, durante i loro bagni, massaggiano le punte dei capelli con una crema ottenuta dalle ceneri di questa pianta incorporata all`uovo e alla birra, l`impiastro farebbe ottenere riflessi brillanti.
Gli uomini, invece, lo applicano sulla barba, per renderla morbida e visibilmente curata.
Nonostante l’Asfodelo generalmente sia associato alla morte, lutto e tutto ciò che può essere negativo, anticamente gli si riconosceva anche una valenza positiva.
In alcune zone dell’Italia meridionale si credeva che, se si nascondeva un pezzetto di radice di Asfodelo tra le proprie vesti, si provocava l’innamoramento della persona desiderata.
Inoltre, nelle zone rurali, nel giorno delle nozze, le spose portavano un mazzo di Asfodeli, a significare: ‘oblio per il passato e promessa per il futuro‘.
Infine, in magia, l’Asfodelo è considerato un contravveleno universale: Giambattista Della Porta, filosofo, alchimista, commediografo e scienziato italiano del XVI secolo, infatti diceva che questa pianta fosse rimedio contro il morso dei serpenti e la puntura degli scorpioni.
PIANETA: Plutone
ELEMENTO: Terra
SEGNO ZODIACALE ASSOCIATO: Scorpione
SOLSTIZIO D’INVERNO, IL GIORNO IN CUI SI ‘FERMA IL SOLE’
Il Solstizio d’inverno, che cade il 21 dicembre di quest’anno alle 16:59, segna il giorno più corto dell’anno in cui avremo solo 8 ore e 46 minuti di luce del giorno, tra l’alba e il tramonto.
Questo è il momento in cui ha inizio cosiddetto l’inverno astronomico, relativo al movimento della Terra attorno al Sole e su sé stessa, nonché con l’inclinazione dell’asse di rotazione del nostro pianeta e il moto apparente del Sole nel cielo terrestre.
Da questo momento in poi, le nostre giornate cominceranno ad allungarsi, all’inizio solo un minuto o due, ma non ci vorrà molto perché aumenti notevolmente.
La parola “Solstizio” deriva dalle parole latine ‘sol’= ‘sole’ e ‘sistere’ = ‘fermarsi’.
Il Solstizio d’inverno è conosciuto anche come ‘Il giorno in cui il sole si ferma’.
Questo giorno magico, ha dato vita a tantissime leggende, superstizioni e tradizioni.
Eccone alcune.
Anticamente, il Solstizio d’inverno era immensamente importante, perché le persone dipendevano economicamente dal monitoraggio dell’andamento delle stagioni.
Durante i primi mesi invernali, era comune la penuria di cibo, da gennaio ad aprile (emisfero nord) o da luglio a ottobre (emisfero sud), erano noti anche come ‘ mesi della carestia’.
Quindi, nei climi temperati, la festa di metà inverno era l’ultima festa, prima che iniziasse il profondo inverno.
La maggior parte dei bovini veniva macellata, in modo da non doverli nutrire durante l’inverno, quindi era quasi l’unico periodo dell’anno in cui era disponibile un’abbondante scorta di carne fresca.
La maggior parte del vino e della birra prodotti durante l’anno era finalmente fermentata e pronta da bere in questo momento.
Nella mitologia finlandese, si narra che Louhi, la “Dea strega del Nord“, rapì il Sole e la Luna e li tenne prigionieri all’interno di una montagna, provocando l’oscurità dell’inverno.
I popoli Yupik, indigeni dell’Artico, raccontano la storia dei Kogukhpak, mostri sotterranei con corpi bulbosi e zampe di rana che venivano uccisi solo dal Sole.
Al Solstizio d’inverno, i Kogukhpak emergevano per cacciare e si diceva, che le carcasse di mammut fossero i cadaveri di coloro che erano rimasti fuori troppo a lungo ed erano morti al sorgere del Sole.
Nella mitologia greca c’erano creature pericolose, pelose e simili a gnomi, i Kallikantzaroi, che cercavano di abbattere l’Albero della vita.
Anch’essi potevano essere uccisi solo dalla luce del Sole ed emergevano durante il Solstizio, per devastare case e villaggi.
Essi erano piuttosto stupidi ed incapaci di contare oltre il 3, quindi gli abitanti del villaggio tiravano fuori degli scolapasta per allontanarli.
Così i Kallikantzaroi finivano per cercare di contare i buchi nei colini fino all’alba e poi erano costretti a tornare sottoterra, prima di essere uccisi.
Gli antichi Persiani (i moderni Iraniani), che praticavano una religione chiamata Zoroastrismo, credevano che Mitra, il Dio della luce, fosse nato nel Solstizio d’inverno.
Gli antichi Greci credevano che il Dio degli Inferi, Ade, avesse catturato la Dea Persefone e l’avesse costretta a diventare la sua sposa.
La madre di Persefone, Demetra, la Dea del raccolto, fu così sconvolta dalla perdita, che fece precipitare il Mondo in una fredda stagione di morte, fino a quando Ade accettò di riportare Persefone nel Mondo dei vivi per sei mesi.
Nell’Europa orientale, il popolo slavo celebrava Korochun, una festa che segnava la distruzione del vecchio Sole, Hors, da parte del Dio malvagio Czernobog.
Due giorni dopo il Solstizio d’inverno, Hors risorgeva come il nuovo sole, Koleda.
Il ‘Tempio di Karnak’ in Egitto e ‘Newgrange’ in Irlanda, furono costruiti per allinearsi con il Sole la mattina del Solstizio d’inverno.
Nell’antica Britannia, si diceva che due divinità rivali, Re Agrifoglio e Re Quercia, fossero impegnate in una battaglia costante.
Durante il Solstizio d’estate, il giorno più lungo dell’anno, il Re della Quercia era all’apice del suo potere, ma il suo rivale ne iniziava a prendere il controllo con l’inizio dell’autunno.
Il Solstizio d’inverno segnava il momento dell’anno in cui il Re dell’Agrifoglio aveva il pieno controllo, ma anche il momento in cui iniziava a perdere la presa sul potere, permettendo al Re della Quercia di iniziare la sua ascesa ed iniziare il processo, che portava alla primavera e al ritorno della vita al mondo.
Questo antico mito celebra il cambio di stagione ed è interessante, perché ricordava agli antichi Pagani, che si crogiolavano nella calura estiva, che un cupo inverno avrebbe inevitabilmente oscurato il Mondo, oltre a consentire loro di aspettare la primavera, mentre tremavano per il freddo di un cupo dicembre.
Csodaszarvas era una straordinaria bestia, figura importante nei miti del popolo ungherese.
Due fratelli chiamati Hunor e Magor avvistarono un cervo bianco, Csodaszarvas, mentre erano a caccia.
Cercarono di seguirlo, ma non riuscirono mai a raggiungerlo, stabilendosi alla fine in quella zona e fondando le dinastie, che poi divennero gli Unni e il popolo ungherese.
Si dice, che gli antichi Ungheresi credevano, che il 21 dicembre fosse il giorno in cui Csodaszarvas raccolse il Sole nelle sue corna e lo portò nel nuovo anno, dove avrebbe illuminato ancora una volta il Mondo e riportato in vita le piante.
Gli antichi Cinesi raccontavano la storia di un Dio chiamato Gong Gong, che era un mostro con i capelli rossi e la coda di un serpente.
Si è schierato in lotta contro Zhurong, il Dio cinese del fuoco, su chi avesse il diritto di reclamare il trono del Cielo.
Purtroppo GongGong perse la battaglia ed era così sconvolto, che dette una testata al monte Buzhou, un picco mitologico che sorreggeva il Cielo.
Questo inclinò i cieli in modo permanente, causando il Solstizio d’inverno e d’estate.
Questo mito è stato utilizzato, anche per spiegare perché la maggior parte dei fiumi della Cina scorrono verso sud-est, mentre il Sole, la Luna e le Stelle viaggiano verso nord-ovest.
Per i Norreni, c’è la leggenda di Frigg e Baldr.
Frigg, era la Dea del parto e delle madri, il cui figlio Baldr venne ucciso da altri Dei gelosi.
Si narra, che Baldr risplendesse ed è stato spesso descritto come il Dio nordico della luce o dell’illuminazione, quindi la sua morte è legata all’oscurità causata dal Solstizio d’inverno.
Frigg era furiosa, perché suo figlio era stato ucciso e visitò gli Inferi, per salvarlo dalla morte.
Le fu detto che sarebbe stato rilasciato e riportato in vita, finché ogni singola creatura nell’Universo avesse pianto per lui.
Purtroppo un gigante, probabilmente il Dio del male, Loki, travestito, si rifiutò di piangere e Baldr fu condannato a languire negli Inferi fino al Ragnarok , una battaglia apocalittica che porterà alla fine dell’Universo.
La storia di Frigg, conosciuta anche come Frigga o Freya, rivive nel nome del giorno preferito della settimana lavorativa da tutti, il venerdì.
Il Solstizio d’inverno segna il trionfo della morte, indicando l’apice del buio e dell’oscurità, che inducono quindi l’uomo ad un cambiamento fisico e spirituale
Questo dovrebbe essere un momento di riflessione, per tracciare un bilancio delle energie positive che ci hanno caratterizzato, in correlazione con gli errori e gli aspetti negativi.
Questa analisi interiore può servirci per vivere con un slancio e propositività il nuovo ciclo di vita, che ci apprestiamo a vivere nella nostra umanità temporale.
Ora è il periodo di regalare il Vischio, pianta considerata sacra già presso gli antichi Celti.
Era una vera e propria manifestazione divina, arrivata sulla Terra grazie a un fulmine e la cui raccolta prevedeva uno specifico rituale: soltanto il più importante fra i Druidi (i sacerdoti), durante il Solstizio d’inverno, poteva reciderne i rametti con un falcetto d’oro.
Così, il Vischio veniva poi deposto in catini con acqua, per permettere al resto della popolazione di vederlo ed adorarlo. Poiché si credeva che questa pianta avesse poteri magici e medicamentosi, l’acqua, con cui i rametti erano stati bagnati nel catino, veniva successivamente distribuita fra i malati.
Quindi, procuriamoci un rametto di Vischio durante il Solstizio d’inverno, e teniamolo fino alla fine delle festività, sarà bene augurante e protettivo, per noi, la nostra casa ed i nostri cari.
Sin dai tempi antichi, diverse teorie hanno sostenuto l’esistenza di regni e territori sotterranei, dando vita alla “Teoria della Terra Cava”, secondo la quale, il pianeta Terra sarebbe cavo proprio all’interno.
Praticamente, sotto la superficie terrestre vi sarebbero altre superfici concentriche, che potrebbero a loro volta essere abitate o abitabili.
A partire dal XVII secolo, questa teoria fu formulata in termini scientifici, diventando popolare nei secoli successivi, grazie ai romanzi fantastici che la sfruttavano come artificio narrativo.
Oggi è ampiamente confutata dalla scienza moderna (geologia, geofisica ed astrofisica), pseudoscienza, ma questa teoria della Terra cava rimane affascinante, trovando diversi sostenitori di “teorie del complotto”.
Alcune di queste teorie costituiscono le basi per luoghi concettuali, come “l’Ade” della mitologia greca, lo “Svartálfaheimr” della mitologia norrena, lo “Sheol” ebraico o “l’Inferno” cristiano.
Anticamente, gli Eschimesi erano chiamati dagli Scandinavi “Trolls” poiché, secondo le leggende, provenivano dall’interno della Terra, così come altri esseri fantastici, tipo fate e gnomi.
Anche gli Eschimesi affermano di esser giunti nelle loro terre odierne da un luogo lontano e sotterraneo.
Altre popolazioni ammettono l’esistenza di un mondo sotterraneo, nascosto e non facilmente raggiungibile, come le popolazioni del Sud America, che ci parlano dell’Eldorado e le popolazioni asiatiche che raccontano di “Agartha”.
Si narra che, una volta, esistevano due grandi continenti, “Atlantide” e “Mu” che, per misteriose ragioni, furono distrutte da un grande cataclisma.
I superstiti si divisero in diversi gruppi. Alcuni abitavano le terre dell’Asia, dell’Europa e delle Americhe; altri, gli “eletti”, scesero all’interno del pianeta, dando vita ad una civiltà nascosta, divisa tra altri due grandi continenti, “Eldorado” e Agartha.
Eldorado era accessibile dal Polo Sud, Agartha dal Polo Nord.
Agartha, la Terra cava, narra di un’ipotetica terra abitata da esseri molto più evoluti di noi sotto la crosta terrestre. (vedi articolo dedicato in questo sito)
Agartha, con la sua capitale Shamballa, è narrata in un testo “Il Dio Fumoso”, biografia di un marinaio norvegese di nome Olaf Jansen.
Invece, nel saggio “Agartha – I Segreti delle Città Sotterranee”, scritto da Willis Emerson, si racconta di come l’imbarcazione di Jansen abbia navigato attraverso un ingresso verso l’interno, situato al Polo Nord.
Per due anni, Jansen visse a stretto contatto con gli abitanti delle colonie di Agharta, che erano alti ben 12 metri ed erano illuminati e riscaldati da un ‘fumoso’ sole centrale.
Shamballa Minore, una delle colonie, era la sede del governo delle colonie, piccoli ecosistemi chiusi, situati poco sotto la crosta terrestre o all’interno di alcune montagne.
Eldorado è un luogo leggendario, in cui ci sarebbero immense quantità di pietre preziose ed oro, oltre a conoscenze esoteriche antichissime.
Secondo la leggenda, al momento della scomparsa di Atlantide a causa di una catastrofe naturale, gli uomini migliori furono trasferiti in questo luogo, chiamato Eldorado.
Gli esseri degeneri, invece, furono inviati ad Agartha.
Nell’Eldorado, situato al di là del mondo conosciuto, i bisogni materiali sono appagati e gli esseri umani vivono in pace tra loro godendo della vita, tanto che, spesso, viene associato al Paradiso terrestre, all’Eden.
Qui vi sono solo laghi e fiumi e la quasi totalità della superficie interna è terraferma.
La Terra Cava, si narra, inizialmente fu creata per ospitare solo animali, mentre la superficie esterna avrebbe dovuto ospitare gli umani.
Fino a 120.000 anni fa, gli umani non si erano mai trasferiti in massa nella Terra Cava.
Con la distruzione di Atlantide quindi, molti umani furono costretti a trasferirsi nella Terra Cava.
Gli umani della Terra Cava sono molto simili agli uomini che vivono in superficie, in quanto hanno le medesime origini genetiche, pertanto non vi è differenza sostanziale fisica.
L’unica differenza è che essi hanno mantenuto una base genetica alla nascita più elevata di quella degli umani di superficie.
Esistono due entrate principali che portano alla Terra Cava, e si trovano ai due poli e, casualmente, a volte un uomo di superficie è riuscito ad entrarci.
Invece, molte persone della Terra Cava sono salite in superficie, ma non sono riconoscibili, in quanto sono fisicamente come gli umani di superficie.
Oltre ai poli, gli altri ingressi si troverebbero:
Kentucky Mommoth Cave, USA
Mount Shasta, California, USA
Manaus, Brasile.
Mato Grosso, Brasile
Cascate di Iguazù, sul confine tra Brasile e Argentina.
Monte Epomeo, Italia.
Montagne himalayane, Tibet.
Mongolia.
Rama, India.
Piramide di Giza, Egitto.
Miniere di Re Salomone.
Nel 1864, nel suo secondo romanzo “Viaggio al centro della Terra”, Jules Verne narrò di una guida islandese, un professore e un giovane, che scendono al centro della Terra.
Egli rese popolare l’idea che esistano ancora forme di vita estinte (tipo i dinosauri) all’interno della Terra.
Edmond Halley (lo scopritore dell’omonima cometa) nel XVII secolo, fu il primo scienziato ad affermare la probabile esistenza di un “vuoto” all’interno del pianeta .
Studiando l’elettromagnetismo terrestre, teorizzò che la Terra fosse cava e, al suo interno, si trovasse un altro globo incandescente, come un altro sole, capace di illuminare le terre interne.
Affermò che la Terra era composta da quattro sfere, ciascuna incassata nell’altra, come tante matrioske e che l’interno del pianeta fosso abitato e illuminato da una sorta di atmosfera leggera.
Qualche anno dopo, John Cleves Symmes si offrì volontario per provare empiricamente la realtà del fenomeno, dichiarandosi pronto ad affrontare un viaggio verso il Polo Nord che, secondo lui, l’avrebbe condotto nella cavità della Terra.
Non riuscendo a realizzare questo progetto, scrisse un romanzo, “Symzonia”, in cui descrisse il viaggio del capitano Adam Seaborn al centro della Terra, il quale scopriva l’esistenza di un mondo del tutto simile a quello della superficie.
Successivamente, Eulero sostituì la teoria delle sfere multiple con quella di una sola sfera concava e vuota, contenente un sole che riscaldava e illuminava una civiltà avanzata.
Nell’Ottocento, il capitano John Cleves Symmes dell’Ohio dichiarò che la Terra è vuota ed abitabile all’interno, che contiene un certo numero di sfere solide, concentriche, cioè poste l’una dentro l’altra, e che è aperta ai due poli per una estensione di dodici o sedici gradi, e che al Polo Nord e al Polo Sud ci sono due aperture, che conducono all’interno del globo.
Subito dopo la II guerra mondiale, la rivista di fantascienza ” Amazing Stories” ripropose la Teoria della Terra cava, pubblicando una serie di storie di Richard Sharpe Shaver, in cui veniva presentata come realistica la storia di una razza superiore preistorica (come gli Atlantidei), che sarebbe sopravvissuta nelle cavità della Terra.
I “Dero” (discendenti di questa razza) vivevano nelle caverne, usando macchine fantastiche abbandonate da razze antiche, per tormentare coloro che vivevano in superficie.
Subito dopo queste affermazioni, migliaia di persone scrissero al giornale, affermando di sentire “voci infernali” provenienti da sottoterra.
Alcuni ricercatori sono convinti, che i cosiddetti UFO non provengano da altri pianeti, ma siano controllati da questi esseri viventi all’interno della Terra.
Inoltre si pensa che ci siano dei rappresentanti di razze dette «negative» o dominatrici, come i “Draconiani” o gli “Zeta-Reticuliani” (dal sistema stellare di Zeta Reticuli), talvolta chiamati «Piccoli Grigi» .
Infine, ci sono anche i “Grigi Positivi”, originari dell’antico Sole Centrale della nostra Galassia.
Recentemente, alcune immagini della Nasa hanno mostrato un gigantesco buco al Polo Nord, che darebbe credito alla Teoria della Terra cava.
Le immagini rivelano che si nasconderebbe un enorme buco, che porta direttamente al centro della Terra.
Quindi esse sosterrebbero che esista un mondo sotterraneo parallelo a quello che noi conosciamo, nel quale vivono animali mostruosi e creature aliene.
Mistero!
IL REGNO DI ADE
Ade era il mondo degli Inferi, la casa del Dio omonimo e dell’oltretomba.
Infatti, in greco antico, Hádēs identifica il regno delle anime greche e romane (chiamato anche Orco o Averno).
Nella tradizione greca, uno degli ingressi all’Ade si trovava nel paese dei Cimmeri, che si trovava al confine crepuscolare dell’Oceano, regione remota in cui Ulisse dovette recarsi per discendere all’Ade e incontrare l’ombra dell’indovino Tiresia.
Nella mitologia romana, invece, uno degli ingressi infernali si trovava vicino al lago dell’Averno, divenuto poi il nome del regno infernale stesso, dal quale Enea discese insieme alla Sibilla cumana.
Per accedervi, bisognava superare prima Cerbero, poi attraversare l’Acheronte pagando un obolo al terribile traghettatore Caronte e raggiungere i tre giudici Minosse, Eaco e Radamanto, i quali emettevano il loro verdetto.
Zeus, dopo la sconfitta del padre Crono e dopo avere precipitato i Titani nel Tartaro, nominò dio degli Inferi suo fratello Ade.
L’Ade accoglieva le anime di tutti i defunti, tranne dei morti rimasti insepolti.
L’Ade, quindi, era un luogo tenebroso situato all’interno della Terra, temuto persino dagli Dei dell’Olimpo.
Secondo Esiodo, primissimo tra tutti nacque il Caos, poi la Terra (Gea), il Tartaro (luogo di punizione delle anime malvagie) ed Eros (l’amore). Da Caos nacquero Erebo e la nera Notte.
Tutti i morti, fossero stati in vita buoni o malvagi, giungevano nell’Ade attraverso una qualsiasi voragine aperta nel terreno.
L’Ade comunicava con l’esterno tramite tutti quei luoghi della superficie terrestre, che emanavano vapori sulfurei, ribollivano di lava o si spalancavano in tetre voragini.
Raramente, anche i vivi potevano accedere al Regno dei Morti, tra cui Ulisse, Enea, Ercole, Orfeo, Teseo, Pirotoo.
Si racconta che l’entrata era situata nella più remota parte occidentale, dove non giungevano i raggi del sole.
In Sicilia, si trovava sul monte Etna; nel Peloponneso a Capo Tenaro; ad Atene nelle caverne di Colono; nella costa ionica della Grecia ad Ammoudia.
Ma si trovavano anche presso Cuma, in Campania, nelle vicinanze del lago Averno, formato dal cratere di un vulcano profondo, circondato da rupi e pieno di esalazioni mefitiche.
Secondo l’etimologia, Averno vuol dire “senza uccelli” ed effettivamente gli uccelli non vi potevano vivere a causa delle esalazioni.
I Greci, che da tempo popolavano le colonie campane, non accettando come dimora dei morti, una terra d’origine troppo lontana dalla baia di Ammoudia, scelsero un luogo più vicino, i Campi Flegrei.
Nell’Ade si riversavano principalmente cinque fiumi ed una palude: Stige, Acheronte, Cocito, Flegetonte, Lete e palude Acherusiade.
Lo Stige, fiume dell’odio. Secondo Platone è una palude di colore blu cupo, formata dal fiume Stigia.
Stige è considerata essa stessa una terribile divinità figlia della Notte e di Erebo.
L’ acqua dello Stige ha proprietà magiche e la Nereide Teti avrebbe immerso il figlio Achille per renderlo invulnerabile.
Se gli Dei non rispettano un giuramento fatto sull’acqua dello Stige, subiscono castighi terribili, giacendo per un anno senza respiro, avvolti nel torpore e non possono avvicinarsi al nettare e all’ambrosia, oltre a non potersi avvicinare agli altri Dei per nove anni.
L’ Acheronte, fiume del dolore o dei guai, è descritto come il fiume principale che circonda l’Ade ed è situato subito dopo l’ingresso. La sua riva è sempre colma della infinita torma dei morti, in attesa di Caronte, il traghettatore.
Questi è un vecchio di orribile squallore, dagli occhi fiammeggianti come brace e dalle membra muscolose. Per traghettare le anime dei morti sull’altra riva, si serve di una grossa barca, vecchia e malandata. Trasporta solo i morti che possono pagarlo con l’obolo (antica moneta greca) che i parenti pongono in bocca del defunto prima degli onori funebri .
Gli altri devono aspettare 100 anni (secondo alcuni, per l’eternità), in una lunga attesa che è per loro causa di indicibile tormento anche se sanno che, al di là del fiume, li attende una pena terribile ed eterna.
Il Cocito, fiume dei lamenti o del pianto, affluente dell’Acheronte e ramo dello Stige.
In esso sono immersi gli omicidi.
Il Cocito acquista una corrente violenta a partire dalla palude Stige, si inabissa e scorre a spirale, in senso contrario al Flegetonte, fino a toccare, dalla parte opposta, le sponde della palude acherusiade.
Dopo aver compiuto un largo giro, si getta nel Tartaro dalla parte opposta al Flegetonte.
Secondo Virgilio, il Cocito è una palude stagnante di fango nero e canne deformi invece, per Dante, è la confluenza di tutti i fiumi infernali ed è ghiacciato nell’ultimo girone dei traditori.
Il Flegetonte, fiume del fuoco, circonda il Tartaro e, ogni tanto, lo rischiara con le sue vampe di fuoco. Il fiume si unisce al Cocito nel formare l’Acheronte.
Secondo Platone, invece, si riversa in una grande pianura arsa da fuoco violento e forma una palude più grande del mare, tutta ribollente d’acqua e di fango; da qui scorre circolarmente, torbido e fangoso e, sempre sotto terra, volge a spirale il suo corso fino a giungere alle estreme rive della palude acherusiade, ma senza mescolare le sue acque.
Dopo molti altri giri sotterranei, si getta in un punto del Tartaro che è più in basso. Il Flegetonte riversa sulla terra torrenti di lava, ovunque trovi uno sbocco. Si immagina che in quel fiume si punissero i violenti.
Il Lete, fiume dell’oblio, attraversa l’Elisio; chi beve o si immerge nella sua acqua, perde la memoria della sua vita passata e può quindi reincarnarsi in un altro corpo.
In un’altra versione, non c’è il Lete, ma due cipressi bianchi vicino cui sgorgano due fontane: quella dell’Oblio e quella della Memoria. Le acque della prima cancellano il ricordo della vita passata, quelle della seconda rinnovano la memoria delle cose amate.
-PRATO DEGLI ASFODELI-
La palude Acherusiade è la palude principale situata all’ingresso dell’Ade. E’ formata dalla acque dell’Acheronte, del Flegentonte e del Cocito. Secondo Platone, qui si raccolgono le anime di coloro che hanno condotto una vita mediocre.
Quando muoiono, tutte le anime subiscono la stessa sorte. Raggiungono l’Ade, dove vivranno per sempre sotto forma di ombre incorporee, che hanno le sembianze dei loro corpi.
Risiedono probabilmente tutte nel Prato degli Asfodeli, luogo monotono, senza dolori, ma anche senza gioie, senza un futuro e senza la luce del sole.
Col passare del tempo, gli spiriti dei morti entrano in uno stato di semi coscienza, chi più chi meno.
A parte Tiresia l’indovino, nessuno possiede il dono della preveggenza. Ognuno però mantiene i ricordi della vita terrena. Vengono attirati dai sacrifici offerti dai vivi, che consistono in un rituale con preghiere e sangue di alcuni animali uccisi. Ottenuto il permesso di bere il sangue, riacquistano completa coscienza e, se lo vogliono, possono parlare.
L’Ade è stato anche suddiviso in vari settori, a seconda delle azioni commesse in vita.
– Atropo (una delle Parche) decide di tagliare il filo della vita di un uomo. Ipno (il sonno) e Tanatos (la morte), adolescenti alati, allontanano il corpo di un guerriero morto sul campo di battaglia.
– Ermes Psicopompo (Mercurio) prende in consegna le anime dei morti e le trasporta alle porte dell’Ade o le consegna a Caronte.
– Caronte traghetta le anime al di là del fiume Acheronte, al prezzo di un obolo. Oltrepassato il fiume, i morti percorrevano un lungo viale con pioppi e salici ed arrivavano ad una grandissima porta da cui tutti potevano passare. Lì c’era un terribile guardiano che vegliava rabbioso contro i vivi che tentavano di entrare e contro i morti che cercavano di uscire: Cerbero.
-Cerbero era un cane mostruoso fornito di tre teste, sempre vigile e pronto a scagliarsi contro i trasgressori delle leggi divine.
– Prateria degli Asfodeli (dal greco “a”= non, “sphodos”= cenere, “elos”= valle, ovvero “valle di ciò che non è stato ridotto in cenere”). Varcata la soglia, le anime degli eroi attraversavano questa prateria, vagando tra altri morti, che svolazzavano qua e là come pipistrelli. Il loro unico piacere era bere il sangue delle offerte dei vivi.
– Erebo (coperto), Palazzo di Ade e di Persefone, cinti da possenti mura sulle quali stavano le Furie. Le Furie o Erinni sono tre: Tisifone, Aletto e Megera, con il compito di torturare le anime che si sono macchiate di gravi colpe verso i familiari e gli Dei. Solo quando la a pena era stata interamente scontata, la loro persecuzione cessava, ed allora, diventate benevole, erano venerate col nome di Eumenidi. Ai lati del Palazzo sorgono due cipressi bianchi, da cui sgorgano due fontane: quella dell’Oblio e quella della Memoria. Le acque della prima cancellano il ricordo della vita passata, quelle della seconda rinnovano la memoria delle cose amate.
– Minosse, Radamanto ed Eaco sono i giudici infernali, che stanno su un incrocio di tre strade: da qui loro giudicano le anime e le indirizzano verso una delle tre aree o le isole. La leggenda narra che Eaco, anche custode delle chiavi, si dovesse occupare delle anime di provenienza europea, Radamanto di quelle di provenienza asiatica e Minosse dei casi più difficili.
– Le tre aree in cui risiedono i morti sono:
1) Prateria degli Asfodeli, in cui si riunivano le anime degli ignavi e di coloro che in vita non si erano macchiati di colpe gravi, ma nemmeno erano stati buoni e virtuosi. La prateria è caratterizzata da un tedio senza fine, dove solo il cacciatore Orione, inseguendo eternamente dei daini, sembra godere del conforto di avere qualcosa da fare
2) Tartaro, destinato agli empi, che nella vita si sono macchiati di colpe verso gli Dei o verso i propri simili (per esempio, i Titani, Tantalo, Issione, Tizio). Il Tartaro è immerso nel buio ed ogni tanto è rischiarato dalle vampe di fuoco del fiume Flegetonte. I dannati vengono perseguitati da mostri infernali, che rimproverano loro le colpe di cui sono macchiati.
3) Campi Elisi (o Elisio) sono riservati ai giusti, ai virtuosi, ai saggi e agli eroi, dove essi vivono eternamente sereni, in luoghi pieni di luce e di fiori, dediti alle occupazioni che più li avevano dilettati in vita. Ad allietare questo luogo ridente ci sono musiche, danze, canti e banchetti. Qui abitano due figli della Notte, Thanatos, il demone della morte, e Hypnos, il sonno. Figli di questi sono i Sogni, che abitano in una grande casa al di là dell’Oceano. Questa casa ha due grandi porte, una di avorio e una di corno. Dalla prima escono sogni falsi e ingannevoli, dalla seconda escono sogni premonitori.
4) Isole Beate, riservate a coloro che nacquero tre volte e ogni volta vissero virtuosamente.
ADE: IL MITO
Nella mitologia dell’antica Grecia, Ade è figlio di Crono e Rea, fratello di Zeus e di Poseidone, Dio degli Inferi, delle ombre, dei morti, nonché sposo di Persefone.
Era padre di Macaria, dea della morte “felice”.
La sua corte era formata da figure mostruose: demoni della morte (Thanatos), demoni del sonno (Hypnos), demoni della morte violenta in battaglia (Keres), demoni della violenza delle tempeste (Arpie), demoni del rimorso e della maledizione divina (Erinni).
Nella mitologia latina, dapprincipio corrispondeva a Plutone, dal greco plutos «ricchezza» e quindi venerato solo come dispensatore delle ricchezze celate in seno alla terra. Per questo motivo era considerato come un dio benefattore, distributore della ricchezza agricola (Ploutôn, quello che arricchisce), da qui la sua cornucopia.
Ade era un dio implacabile ed inflessibile e, pronunciare semplicemente il suo nome, era già di cattivo augurio.
Pertanto, spesso veniva chiamato come:
Ploutôn = colui che arricchisce
Eubouleus = buon consulente
Aïdoneus = colui che non si vede
Klymenos = rieletto
Polydegmon = che riceve molto
Pylartes = alle porte solidamente chiuse
Stygeros = orribile, Orcus, nome utilizzato dai Romani la cui origine resta oscura.
Alla nascita, venne divorato dal padre Crono, insieme con Poseidone, Era, Demetra, e Estia; solo Zeus fu salvato dalla madre, Rea, grazie ad uno stratagemma. Ella sostituì il neonato con un sasso, inducendo Crono a divorarlo, spacciandolo per il figlio.
Divenuto adulto, Zeus affrontò il padre, costringendolo a rigettare tutti i suoi fratelli e, finalmente liberi, si accordarono per spartirsi equamente regni e poteri.
Ade, quando si innamorò di Persefone, figlia di Demetra (dea del grano e della mietitura), fu costretto a rapirla perché temeva un suo rifiuto e la condusse nel suo tetro regno.
Quando Demetra lo seppe, la sua ira scatenò una carestia che si diffuse in tutto il mondo. Una carestia così terribile, che il genere umano rischiò l’estinzione. Zeus cercò di rimediare tale catastrofe, inviando un suo messaggero ad Ade, per fargli riportare indietro Persefone, raccomandandole di non mangiare cibo del mondo degli Inferi durante il suo periodo di permanenza.
Ade non voleva rinunciare alla sua amata e, sapendola a digiuno, offrì a Persefone un melograno, del quale lei mangiò solo alcuni grani. Ciò fece scatenare nuovamente la collera di Demetra e Zeus dovette riproporre un nuovo accordo.
Non avendo mangiato l’intero frutto, Persefone sarebbe rimasta accanto ad Ade nel mondo dei morti, solo per un numero di mesi corrispondente al numero di grani ingeriti. Il tempo restante sarebbe ritornata dalla madre nel suo mondo. Il nuovo patto fu accolto favorevolmente da tutti e Persefone cominciò la sua nuova vita.
Ella trascorreva sei mesi (successivamente associati ai periodi dell’autunno e dell’inverno) come regina del mondo degli Inferi accanto a suo marito Ade e sei mesi (associati ai periodi della primavera e dell’estate) accanto alla sua adorata madre Demetra.
Ade possedeva un elmo che rendeva invisibili se indossato, Kunée, che usò Perseo per uccidere Medusa.
Il dio partecipava a Titanomachie (lotte guidate da Zeus contro i Titani), nelle quali indossava un casco che lo rendeva invisibile, fabbricato per lui dai Ciclopi.
Ade usciva raramente dal suo regno, una volta per rapire Persefone ed un’altra volta per farsi curare, sul monte Olimpo, della ferita inflittagli da una freccia di Eracle.
Possedeva anche greggi, che pascolavano nell’isola di Erizia, l’isola rossa. Erano custodite dal pastore Ménoétès, che fece la spia di Eracle, quando l’eroe rubò le greggi di Gerione.
Per Ade si sacrificavano, unicamente nelle ore notturne, pecore o tori neri e coloro che offrivano il sacrificio voltavano il viso, poiché guardare negli occhi Ade senza l’ordine o il permesso del dio, avrebbe portato immediatamente alla morte.
Il suo culto non era molto sviluppato ed esistono poche statue con sue raffigurazioni.
Ad Ade erano associati lo “Scettro delle Tenebre” e “Cerbero”, il cane a tre teste.