Indian Summer, Estate indiana o Seconda Estate, che per noi Italiani non è altro che l’Estate di San Martino, è un periodo di clima insolitamente caldo e secco, che a volte si verifica in autunno, per appena quattro giorni e fino a sette giorni dopo il gelo finale, nelle regioni temperate dell’emisfero settentrionale.
Il primo riferimento noto sull’Estate indiana si trova in un saggio scritto negli Stati Uniti intorno al 1778 da J. Hector St. John de Crevecœur, scrittore francese del ‘700, naturalizzato statunitense, il quale descrisse il carattere di questo evento:
“Le grandi piogge finalmente riempiono le sorgenti, i ruscelli, la palude ed impregnano la terra.
Poi un grave gelo riesce a ricevere il voluminoso strato di neve che presto seguirà; anche se è spesso preceduto da un breve intervallo di fumo e mitezza, chiamato l’Estate indiana.
Questa è in generale la regola invariabile: Non è propriamente detto che l’inverno inizi, finché quei pochi giorni moderati e l’innalzamento delle acque, non lo avranno annunciato all’Uomo”.
Nonostante, questo periodo forse fu così chiamato, perché notato per la prima volta nelle regioni abitate dai nativi americani, o perché i nativi lo descrissero per la prima volta agli Europei, esso si basava sulle condizioni calde e nebbiose dell’autunno, quando le popolazioni indigene andavano a caccia.
E, visto che il clima caldo non era certamente una situazione permanente in quelle terre, si fece una connessione con il termine “Indian giver”, “Donatore indiano”, ovvero una persona che dà un “dono” e in seguito lo vuole indietro, o si aspetta qualcosa di equivalente valore in cambio.
Ciò si basa su incomprensioni culturali tra i primi coloni europei e le popolazioni indigene con cui commerciavano, in quanto spesso gli Europei confondevano uno scambio di articoli come regali e credevano di non corrispondere nulla in cambio ai nativi americani.
A loro volta, i popoli indigeni intendevano lo scambio proprio in maniera commerciale e quindi avevano aspettative diverse dei loro ospiti, attendendo qualcosa di ugual valore.
Oggi la frase è usata per descrivere un atto negativo o un affare losco, ed è considerata offensiva per molti Americani indigeni.
Quando l’Uomo Bianco conobbe l’Estate indiana, scrisse in molti almanacchi di agricoltori quanto segue: “Se Tutti i Santi tirano fuori l’inverno, San Martino fa emergere l’Estate indiana”.
Ciò in quanto ci si basava sull’idea che, se l’inverno iniziava subito dopo il giorno di Ognissanti (1 novembre), l’Estate indiana arrivava tra il giorno di San Martino (11 novembre) ed il 20 novembre.
Un altro nome che l’Uomo Bianco utilizzava per l’Estate indiana era “Estate di San Luca”, un incantesimo caldo che si poteva verificare più o meno nello stesso periodo del giorno della festa di San Luca, il 18 ottobre.
Leggende nativo-americane menzionano il Dio o “Donatore di Vita“, che conferisce clima caldo autunnale a vari guerrieri o popoli, consentendo loro di sopravvivere dopo una grande disgrazia, come la perdita di raccolti.
Da qui nasce Indian Summer.
Una di queste, narrata da Joseph Bruchac, racconta che:
«Molto tempo fa c’era un uomo, che era conosciuto come Notkikad.
Quest’uomo era un buon marito e padre e lavorava sodo per la sua famiglia.
Piantava molto ogni anno e si prendeva cura dei suoi orti, in modo che ci fosse cibo in abbondanza.
Era sempre grato a Tabaldak, il Maestro della Vita, e ringraziava per ogni raccolto.
Un anno, però, le cose non andarono bene per lui: ci fu una gelata tardiva ed il suo giardino fu ucciso.
Lo piantò di nuovo e poi arrivò la siccità.
Piantò di nuovo, ma questa volta era autunno ed arrivò il freddo, che uccise le piante prima che fossero mature.
Notkikad era molto turbato.
Era novembre, sua moglie ed i suoi figli avevano raccolto bacche ed altri cibi dalla foresta, ma senza il mais secco, la zucca ed i fagioli da conservare durante il lungo periodo freddo, temeva che non sarebbero sopravvissuti.
Ora era arrivata la stagione fredda e le foglie cadevano dagli alberi e soffiavano venti gelidi.
Cosa poteva fare?
Quella notte, prima di dormire, accese un piccolo fuoco ed offrì del tabacco al Maestro della Vita: “Non ho mai chiesto aiuto”, disse, “sono sempre stato grato per le benedizioni che mi sono state date. Ma ora sono turbato, non tanto per me stesso, quanto per mia moglie ed i miei figli. Voglio sapere cosa posso fare”.
Poi andò a letto e sognò.
Nel suo sogno, il Maestro Tabaldak venne da lui: “Ti sto dando questi semi speciali”, disse il Maestro, “Ti sto anche dando un momento in cui piantarli”.
Quando Notkikad si svegliò, trovò i semi lì accanto a lui.
Uscì e, sebbene le foglie stessero ancora cadendo dagli alberi, il clima era stranamente caldo e piacevole, come se fosse estate.
Con l’aiuto della moglie e dei figli, preparò il terreno e piantò tutti i semi.
Il sole tramontò e sorse, ed i semi erano già germogliati ed avevano sollevato rametti verdi dalla terra.
Il sole sorse e tramontò di nuovo, ed ora le giovani piante erano già alte fino alla vita.
Così andò avanti di giorno in giorno, mentre i semi speciali che gli erano stati dati crescevano rapidamente in solo una manciata di giorni.
Poi Notkikad colse il suo raccolto e fece essiccare il mais, i fagioli e la zucca per l’inverno.
Lui e la sua famiglia conservarono tutto il cibo nel loro wigwam. E poi, all’improvviso come se n’erano andati, i venti freddi tornarono e quella stagione speciale, data dal Maestro della Vita, se ne andò».
Ancora oggi, la gente dice, che ogni anno ci viene dato un momento speciale, anche se non abbiamo nessuno dei semi magici.
Quel momento, che oggi la gente chiama Indian Summer, Estate Indiana, era chiamato Nibubalnoba o “Estate di un Uomo” dagli Abenachi, tribù di nativi americani appartenente alle Prime Nazioni ed al ceppo linguistico degli Algonchini.
Ciò ricorda loro di essere sempre grati.
L’Estate indiana è un fenomeno parte naturale di un sistema meteorologico, con un termine tecnico di singolarità meteorologica (evento climatico che ricorre nello stesso periodo dell’anno) e può verificarsi in tutto il Mondo, dove naturalmente è chiamato con termini locali, come:
Ø Altweibersommer, Estate delle donne anziane, o Goldener Oktober, in Germania, Svizzera, Austria, Lituania
Ø Vénaszonyok nyara, Estate delle vecchie, in Ungheria
Ø Vananaistesuvi, Estate della vecchia signora, in Estonia
Ø Estate gitana o Estate del povero, in Bulgaria
Ø Estate di San Michele, in Serbia
Ø All Halloween Summer, o Old Wives’ Summer, o Halcyon Days, in Inghilterra
Ø Brittsommar, in Svezia
Ø Crone’s Summer, in Norvegia e Finlandia
Ø Intiaanikesä, in Finlandia
Ø Fàmhar beag na ngéanna, Piccolo autunno delle oche, in Irlanda
Ø Membrillo o El sol del membri, Piccola estate delle Mele cotogne, in Spagna
Ø Veranico o Veranito o Veranillo, Piccola estate, in Argentina, Cile, Uruguay e Brasile
Ø Estate di Santa Teresa d’Avila, Francia, Spagna e Portogallo
Ø Estate di San Martino, Italia, Spagna, Francia, Portogallo e Malta
Ø Estate di San Demetrio, Grecia e Cipro
Ø Pastorma yazà, Estate pastrami (specialità a base di manzo, solitamente preparata a novembre), in Turchia e Romania
Ricapitolando, l’Estate indiana, tradizionalmente, è un periodo di clima insolitamente caldo, che si verifica a fine autunno, tra il giorno di San Martino (11 novembre) ed il 20 novembre, con cieli generalmente sereni, giornate soleggiate ma nebbiose.
L’atmosfera è fumosa, non c’è vento, il barometro è alto e le notti sono limpide e fredde.
Spesso si verifica dopo una forte gelata, oppure prima della prima nevicata, e preferibilmente, questa ondata di caldo deve essere preceduta da un periodo considerevole di clima normalmente fresco.
Mi piace questo periodo, è quello che ho amato più di tutti, più del Natale, fin da piccola.
Nel pomeriggio uscivo dalla scuola elementare e tornavo a casa, con la mia cartella sulle spalle, felice di sentire l’abbracciante odore di caldarroste misto al fumo della legna che ardeva nei camini delle case, mentre le mie scarpe scricchiolavano sul manto di foglie secche cadute dai tigli.
Mi sentivo grata, guardavo intorno a me, nel crepuscolo pomeridiano, pensando che tutto ciò che vedevo e sentivo all’esterno era anche dentro di me, ero tutt’uno con l’Universo.
Ero piccola, ma capivo già l’importanza di dover conservare quelle sensazioni ed emozioni, che avrei dovuto ricordare nel corso della vita, soprattutto nei momenti di buio.
Vi lascio con “La leggenda dell’Estate indiana” una Poesia di Kate Harrington:
Ho imparato una semplice leggenda,
Mai trovata nei libri di sapere,
Non copiata da vecchie tradizioni,
Né da classici letti in passato;
Ma le brezze me la cantavano
Con un ritornello basso e dolce,
Mentre le foglie dorate e scarlatte
Fluttuavano giù per catturare la melodia.
E i grandi vecchi alberi sopra di me,
Mentre i loro maestosi rami ondeggiavano,
Gettavano sul mio giaciglio di cremisi
Più luce del sole che ombra.
Ero rimasto lì a sognare, meditando
Sulla fioritura scomparsa dell’estate,
Chiedendomi se ogni foglietto disegnato a matita
Non segnasse la tomba di qualche fiore;
Pensando a come ogni albero potesse raccontarmi
Molte storie di fama di guerriero;
Guardando il cielo e chiedendomi
Come fosse arrivata “L’Estate indiana”.
Poi mi è sembrato che una cadenza sussurrata
Si sprigionasse dagli alberi infestati,
Mentre le foglie continuavano a cadere, cadere,
Alla musica della brezza.
“Ti racconterò”, disse il sussurro,
“Cosa ho imparato dal libro della Natura;
Perché i raggi del sole scrissero questa leggenda
Sulle rive di un ruscello.
Riguarda una fanciulla indiana,
Lei il fiore stellare della sua razza,
Con un cuore le cui dolci emozioni
Increspavano il suo volto illuminato dall’anima.
Tutta la sua tribù le rendeva omaggio,
Perché suo padre era il loro capo;
Lui era severo, e lei indulgente,
Lui portava dolore, e lei sollievo.
E lo chiamavano ‘Inverno indiano’,
Tutte le sue azioni erano così fredde;
La chiamavano ‘Estate indiana’,
Perché sembrava un filo d’oro
Che lampeggiava attraverso la sua foresta natia,
Raggiante nella tenda indiana solitaria,
Cantando agli uccelli, suoi compagni di gioco,
Finché non cantavano di rimando il suo tono.
Quando i giorni estivi furono finiti,
E i mesi freddi si avvicinarono,
Quando le nuvole erano appese, opache e plumbee,
E le foglie cadevano, marroni e secche,
Portarono alla presenza del capo
Uno, un ‘Viso pallido’, giovane e coraggioso,
Ma che né la giovinezza né il valore virile
Potevano salvare dalla vendetta selvaggia.
“Portatelo fuori!” con toni di tuono
Così gridava ‘L’Inverno indiano’,
Mentre la dolce ‘Estate indiana’
Dolcemente gli volteggiava accanto.
Quando il tomahawk fu sollevato,
E il coltello da scalpo brillò alto,
Orgoglio, vendetta e odio sanguinario
Lampeggiarono negli occhi del guerriero;
E il cipiglio sulla sua fronte
Si fece più scuro, più profondo, più severo;
Mentre le nuvole basse sopra di loro
Nascondevano alla vista il volto del cielo.
‘Risparmiatelo! Oh, padre mio, risparmiatelo!’
Amico e nemico furono separati,
Mentre il filo dorato della luce del sole
Si intrecciava attorno al cuore dell’uomo rosso.
E il suo occhio era pieno di pietà,
E la sua voce era piena d’amore,
Mentre gli raccontava del wigwam
Sul terreno di caccia lassù,
Dove il grande Manitù stava parlando,
Poteva sentirlo nella brezza;
Come chiamava il fratello ‘dal Viso pallido’
Fumava con lui la pipa della pace.
Allora il cuore del guerriero si placò,
E l’arma scintillante cadde:
‘Per amore della fanciulla,’ mormorò,
‘Sei perdonata, addio!’
E il sole, che avrebbe dormito
finché non fosse tornata la primavera,
Dalla sua luminosità accumulata
Gettò verso la terra un diluvio di pioggia dorata;
E ‘L’Estate Indiana’ lo vide,
Lei, la gentile bambina della foresta;
E a ‘L’Inverno Indiano’ sussurrò:
Guarda come ha sorriso Manitù!’
Tutta la tribù ricevette il presagio,
E lo chiamarono con il suo nome:
Estate Indiana, Estate Indiana,
Sarà sempre la stessa.
Sebbene il ‘Viso pallido’ ne abbia dato un altro
Alla bella fanciulla che ha conquistato,
La Natura riceve ancora il suo tributo
Dal wigwam del Sole.
Qui, da solo, questo simbolo splendente
Dora il ruscello, riscalda la zolla,
Perché nessuna Estate Indiana giunge
Se non dove hanno camminato i piedi degli Indiani.’