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MISTERO
“The Affair of the Poisons”, (“L’Affare dei Veleni”), è uno dei casi criminali più clamorosi della Francia del XVII secolo.
Nel 1679, un’indagine lunga svariati anni, guidata da Nicolas de La Reynie, magistrato francese, rivelò che nobili, ricchi borghesi e gente comune allo stesso modo avevano fatto ricorso segretamente a donne ‘indovine’, numerosissime a Parigi a quel tempo, per droghe e veleni, per messe nere e per altri scopi criminali.
Un Tribunale speciale per il processo degli imputati, noto come ‘Chambre ardente’ (‘Camera ardente’), fu creato nell’aprile 1679.
Qui si tennero 210 sessioni all’Arsenale di Parigi, in cui vennero emessi 319 mandati di arresto e condannate a morte 36 persone, compresa l’avvelenatrice ‘Madame La Voisin’ (al secolo Catherine Deshayes, Madame Monvoisin), bruciata al rogo il 22 febbraio 1680.
Ma chi era Madame La Voisin?
L’indovina, abortista, maga ed avvelenatrice Catherine Deshayes- Monvoisin nacque intorno al 1640 e la sua storia straordinaria illustra, quanto profondamente le persone credessero alla Stregoneria durante il XVII secolo.
Il suo soprannome “La Voisin” deriva dal suo nome da sposata “Monvoisin”.
Se la sua vita di moglie di un gioielliere parigino e mercante di seta fosse andata secondo i piani, sarebbe stata del tutto insignificante ma, quando gli affari di suo marito andarono in rovina, la donna si trasformò in levatrice ed indovina.
Ebbe così tanto successo, da essere in grado di sostenere l’intera famiglia: marito, madre e tre figli.
A poco a poco, oltre a fornire servizi di ostetricia, praticava anche aborti (che all’epoca erano illegali) e, poiché i suoi clienti iniziarono a dipendere dal suo aiuto e dai suoi consigli, non riuscì a resistere alla tentazione di vendere oggetti magici e alla miscelazione di pozioni d’amore.
Diventò, così, un business di enorme successo: nel 1660, la sua clientela comprendeva gli aristocratici più ricchi e potenti della Terra.
Catherine era ricca, famosa ed aveva molteplici amanti, tra cui un carnefice, un alchimista, un architetto, un mago ed un certo numero di conti e visconti.
Aveva una casa a Villeneuve-sur-Gravois, Parigi, dove aveva il suo studio e organizzava feste serali in giardino, con musica dal vivo.
Si dilettava nella scienza e nell’alchimia, e sperimentava con i veleni.
Le venne anche in mente di avvelenare suo marito, ma alla fine abbandonò il piano.
Madame La Voisin non era l’unica famosa indovina a Parigi in quel momento.
La sua rivale, Marie Bosse, gestiva un’attività simile per lo stesso gruppo di clienti ed entrambe le donne si guadagnavano da vivere, grazie alla feroce competizione per l’influenza alla corte del Re Sole, Luigi XIV.
Il favore reale non solo poteva elevare lo status di una persona, ma poteva rendere loro e l’intera famiglia ricchi per le generazioni a venire.
Invece, la caduta in disgrazia poteva comportare l’esilio, l’ergastolo o la morte.
Di conseguenza, consigliare ai cortigiani il modo migliore, per ingraziarsi il favore del Re, era un mestiere redditizio e Madame La Voisin spendeva una grande quantità di denaro in vestiti ed altri oggetti di scena, per assicurarsi che le persone credessero veramente in lei e la pagassero profumatamente per i suoi servigi.
Col tempo, sua figlia Marguerite divenne la sua assistente.
La domanda si intensificò, in quanto le persone non erano più soddisfatte delle pozioni prodotte da ossa di rospo, denti di talpa, limatura di ferro e sangue umano.
Pretendevano messe nere, durante le quali avrebbero potuto chiedere a Satana di rispondere alle loro preghiere.
Secondo quanto riferito, alcuni rituali prevedevano il sacrificio di un bambino, altri richiedevano solo l’uso del sangue di un neonato.
Quindi, Madame La Voisin cominciò ad assumere altre persone affinché l’aiutassero, persino invitando i sacerdoti ad officiare queste messe sataniche, naturalmente pagandoli profumatamente.
I servizi offerti da Madame La Voisin comprendevano afrodisiaci e veleni e, un esperto della nuova ‘scienza dell’uccisione con il veleno’, costituì una rete di farmacisti, per fornire le varie miscele necessarie.
La sua cliente più illustre era Françoise “Athénaïs” di Rochechouart di Mortemart, marchesa di Montespan, conosciuta meglio come Madame de Montespan, l’amante ufficiale di Luigi XIV.
Donna brillante, bella ed ambiziosa la quale, avendo soppiantato Louise de La Vallière nel 1667, era determinata a non essere sostituita da nessun’altra a sua volta, nella corte francese disseminata di rivali.
I suoi intrighi erano complicati dal fatto, che era incinta quasi permanentemente: aveva avuto sette figli dalla sua relazione con il Re, a cui si aggiungevano altri due che aveva avuto da suo marito.
Per mantenere l’affetto del Re e tenere a bada la concorrenza, Madame de Montespan si dedicava alla Stregoneria, alle messe nere e alle pozioni d’amore, tutte fornite da Madame La Voisin.
Re Luigi XIV, però, non fu mai un amante fedele, portando numerose donne a letto, anche durante i periodi in cui aveva un’amante ufficiale e, nel corso della loro relazione, Madame de Montespan metteva delle pozioni nel suo cibo.
Nel 1677, Madame de Montespan scoprì che il Re aveva iniziato una relazione con Angélique de Fontanges ed era così furiosa, da avere l’intenzione di avvelenarli entrambi.
Pertanto, consultò Madame La Voisin, la quale alla fine accettò di consegnare di persona al Re una sua missiva, su carta avvelenata.
Il piano fallì, ma subito ne fu escogitato uno nuovo.
Ma, prima che potesse essere messo in atto, un’altra nota indovina, Magdelaine de La Grange, fu arrestata per avvelenamento.
Fu l’inizio, quindi, di un grande scandalo noto come “L’affaire des poisons”, che scosse Parigi dal 1677 al 1682.
L’indagine successiva scoprì una rete di indovini, stregoni ed avvelenatori in tutta la capitale, tra cui anche un certo numero di importanti aristocratici, e tutti furono arrestati e condannati per stregoneria ed avvelenamento, dei quali ne vennero giustiziati 36, mentre molti altri furono imprigionati a vita.
Nel 1679, Marie Bosse, la principale concorrente di Madame La Voisin, fu arrestata e, inevitabilmente, tradì la sua rivale quindi, due mesi dopo, anche Catherine Deshayes-Monvoisin fu arrestata, così come sua figlia Marguerite.
A causa del suo alcolismo, Madame La Voisin non ebbe bisogno di tortura per parlare.
La donna raccontò della sua carriera, ammise di aver venduto veleni e servizi magici, e fece i nomi di alcuni dei suoi clienti meno conosciuti.
Nel febbraio 1680 fu processata e, due giorni dopo, fu bruciata viva in Place de Grève.
Anche sua figlia Marguerite confessò tutto, compreso l’elenco dei clienti di sua madre, l’attentato alla vita del Re ed il suo legame con Madame de Montespan, insieme a un numero enorme di altri cortigiani di alto rango.
Per evitare uno scandalo dalle proporzioni enormi, Re Luigi XIV chiuse le indagini, soppresse i pettegolezzi, sigillò le dichiarazioni dei testimoni, ordinò la distruzione di molti dei documenti dell’indagine e fece imprigionare gli altri imputati con una “lettre de cachet ” (Al tempo della monarchia assoluta, era una lettera firmata dal Re di Francia, controfirmata da uno dei suoi ministri e chiusa con il sigillo reale, o cachet, e conteneva ordini diretti del Re, spesso per forzare azioni arbitrarie e giudizi a cui non si poteva fare appello), il che significava che era praticamente tutto scomparso, senza alcuna esistenza legale ed ufficiale.
Tutti i personaggi di questo ‘affaire’ furono divisi ed imprigionati in varie roccaforti in tutto il Paese e, di loro, non si seppe più nulla.
Madame de Montespan fu sostituita da Françoise d’Aubigné, marchesa de Maintenon, la governante strettamente legata ai figli legittimi del Re, e quella fu la fine de “L’affare des poisons”.
Uno storico autore ed esperto del periodo, Jean-Christian Petitfils, descrisse Madame La Voisin come una donna il cui marito era inutile, provava tutti i tipi di professioni ma era pessimo in tutti.
Così iniziò a predire il futuro e si rivelò avere una testa migliore per gli affari.
Per cui, fece fortuna ed agì come una specie di agente procacciatrice d’affari, mettendo i clienti in contatto con persone che avrebbero fatto quasi tutto, pagando bene.
Prima dell’Illuminismo, le persone erano molto superstiziose, credevano in Dio e, visto che gran parte della religione si basa sui miracoli e sulla magia, esse erano predisposte a crederci.
Erano i tempi in cui si credeva che il vile metallo potesse essere trasformato in oro, che un talismano proteggesse nelle battaglie, che le streghe lanciassero facilmente incantesimi, che esistessero pozioni d’amore, maledizioni.
Tutto ciò ed altro era profondamente radicato nelle menti di tutti, tanto che offerte di questo tipo erano comunemente associate ad altri servizi illegali, come omicidio ed aborto.
Chi credeva in Dio, al di là della casta e dell’istruzione, automaticamente credeva anche in Satana e, se il primo non rispondeva alle preghiere, lo avrebbe fatto il secondo…
Si racconta che, nel suo giardino, Madame La Voisin avesse seppellito più di 2000 tra feti e neonati, e che battezzava i neonati prima di immolarli come sacrifici, per addolcire gli umori capricciosi del diavolo e fare rituali di magia nera.
Aokigahara è una fitta foresta, che si trova a nord ovest, ai piedi del Monte Fuji, in Giappone.
A causa della sua alta densità di alberi, Aokigahara è anche conosciuta come Jukai, che significa semplicemente “Mare di alberi“.
La copertura degli alberi è così fitta che, anche a mezzogiorno, difficilmente si trova un punto luminoso nella foresta.
Questa foresta di 35 kmq è fredda, rocciosa e contiene circa 200 grotte, di cui alcune, come la ‘Grotta del Ghiaccio‘ e la ‘Grotta del Vento‘, sono molto popolari tra i turisti.
A causa della zona rocciosa e degli alberi fitti, i dintorni di Aokigahara sono quasi identici, il che la rende il viaggio perfetto, per coloro che vogliono fare un viaggio di sola andata.
Infatti, i trekker e gli escursionisti spesso portano con sé del nastro di plastica, per contrassegnare la loro strada, in modo che possano ritrovare la via d’uscita.
Aokigahara è soprattutto tristemente conosciuta come la ‘Foresta dei Demoni del Giappone‘, la ‘Foresta dei Suicidi‘ e il ‘Posto perfetto per morire‘.
Ciò in quanto questa foresta unica, molto tranquilla con pochissima fauna selvatica, si è trasformata in un luogo comune tra i Giapponesi per porre fine alla loro vita.
E a causa del silenzio, in cui a malapena si riesce a sentire il cinguettio degli uccelli, molti Giapponesi credono che la foresta sia infestata dagli spiriti dei suicidi e non osano avvicinarsi.
Tutto nasce, innanzitutto, dalla mitologia giapponese, secondo la quale Aokigahara è infestata dai demoni, motivo per cui tanti Giapponesi hanno paura di entrare, in quanto credono che, chi entra nella foresta, non tornerà mai più.
Questi demoni sono gli Yurei, ovvero anime piene di odio, tristezza e desiderio di vendetta.
Secondo la leggenda le persone, durante la carestia, portavano i loro familiari nella foresta e li lasciavano morire lì, al fine di salvare il cibo per gli altri membri della famiglia.
Gli abbandonati nella foresta morivano lentamente di fame, trasformandosi in Yurei .
Nelle credenze popolari giapponesi, se una persona muore in un profondo senso di odio, rabbia, tristezza o desiderio di vendetta, la sua anima non può lasciare questo mondo e continua a vagare, apparendo alle persone colpite dall’incantesimo, o a coloro che attraversano il suo cammino.
Per far riposare in pace un Yurei, bisognerebbe che la sua maledizione venisse rimossa o che si risolvessero i conflitti, che ne hanno causato l’abbandono.
Ancora oggi, c’è chi crede agli Yurei infatti, quando un corpo viene trovato ad Aokigahara, i guardiani della foresta lo collocano in una stanza nelle sue vicinanze, prima di portarlo alle autorità.
Ciò in quanto, se il corpo viene lasciato solo nella stanza, il suo Yurei si muove urlando nella stanza.
Quindi, le guardie forestali giocheranno a ‘sasso-carta-forbici’, per determinare chi è lo sfortunato, che farà compagnia al corpo, prima che le autorità lo prelevino.
Poi, un’altra motivazione, che rende Aokigahara così misteriosa, è che essa fosse un luogo in cui una volta le persone praticavano l’ubasute, portando un parente anziano o malato in un’area remota e lasciandolo morire.
‘Tower of Wave’s‘, un romanzo degli anni ’60 di Seichō Matsumoto, presenta una bellissima eroina dilaniata dall’amore, che si suicida a Aokigahara.
‘Il manuale completo del suicidio‘, di Wataru Tsurumi, ha definito la foresta un luogo perfetto in cui morire.
Questo è un posto molto facile dove perdersi ed i visitatori sono fortemente incoraggiati a rimanere sui sentieri.
In effetti, questa escursione può essere pericolosa poiché, anche al giorno d’oggi, molti escursionisti possono facilmente perdersi in questa fitta foresta, anche a causa del ferro magnetico presente nella vicina area del suolo vulcanico, che interferisce spesso con il funzionamento di bussole o telefoni cellulari.
Ma ci sono anche delle persone, che entrano appositamente nella foresta con l’intenzione di non uscirne.
Pertanto, all’ingresso di Aokigahara, le autorità locali hanno affisso cartelli per la prevenzione del suicidio.
I cartelli recitano: “La tua vita è qualcosa di prezioso che ti è stato dato dai tuoi genitori” e “Pensa ancora una volta ai tuoi genitori, fratelli e figli. Non essere turbato da solo”.
I segnali terminano con un numero di telefono di assistenza, sperando che le anime perse, che cercano di morire, chiedano aiuto.
La Suicide Forest, come viene anche chiamata Aokigahara, è chiaramente un luogo che cattura il lato oscuro dell’immaginazione.
Dopo che, nel 2004, è stato segnalato un numero elevato di suicidi (per un totale di 108), i funzionari hanno smesso di pubblicizzare i decessi, per paura di glorificare la pratica.
Quindi, la prefettura di Yamanashi, dove si trova la foresta, ha iniziato ad assumere persone nel 2009, per pattugliarla e avvicinarsi a chiunque potrebbe non sembrare il turista medio durante un’escursione.
Ma, sebbene in alcuni casi ciò abbia contribuito a scoraggiare il suicidio, ci sono notizie in corso sulla continua scoperta di corpi.
Gli spiritualisti giapponesi credono, che i suicidi commessi nella foresta abbiano permeato gli alberi di Aokigahara, generando attività paranormali ed impedendo a molti che vi entrano, di fuggire dalle profondità della foresta.
A complicare ulteriormente le cose è l’esperienza comune, che le bussole siano rese inutili dai ricchi depositi di ferro magnetico nel suolo vulcanico della zona, come ho scritto pocanzi.
Nel gennaio 2018, la foresta ha attirato l’attenzione internazionale, dopo che uno YouTuber ha filmato e trasmesso il corpo di una vittima suicida sul suo popolare canale.
E’ invece doveroso ricordare che, se visiti la foresta, devi essere assolutamente rispettoso, se incontri vittime di suicidio.
Contatta le autorità locali, in modo che possano gestire adeguatamente la situazione.
È un posto cupo, in cui la gravità delle circostanze non dovrebbe essere presa alla leggera.
Comunque, è bene rammentare anche, che Aokigahara è una delle destinazioni più belle del Mondo, piena di magica atmosfera e di natura.
Chiunque rispetti la destinazione, sarà quasi sicuramente arricchito da ciò che il ‘Mare degli Alberi‘ ha da offrire.
Per esempio:
–Fugaku, Grotta del vento. È localizzata a poco più di 2 km a sud del Lago Sai, con pareti strette e soffitti bassi, con una temperatura interna, che si aggira sui 3 gradi centigradi. Si possono osservare stalattiti anche d’estate.
–Narusawa, Grotta del ghiaccio. Si è formata oltre 1150 anni fa, da rocce vulcaniche ed è lunga circa 153 metri. La lava incandescente discese fino a formare questa grotta.
–Grotta Ryugu. Si trova a est della Fugaku di cui ha fattezze simili, con due corridoi interni percorribili.
–Koumori-ana, Caverna dei pipistrelli. E’ la più vicina al Lago Sai ed è lunga più di 350 metri.
Probabilmente avrete già sentito dei coniugi Warren, famosi per la loro indagine sul famigerato caso di Amityville.
No?
Edward Warren Miney (1926 – 2006) e Lorraine Rita Moran-Warren (1927 – 2019) erano investigatori ed autori del paranormale americani, associati a casi importanti di presenze di fantasmi.
Edward era un demonologo autodidatta, autore e docente. Lorraine, invece era chiaroveggente e medium con trance, e lavorava a stretto contatto con suo marito.
Nel 1952, i Warren fondarono la New England Society for Psychic Research (NESPR), il più antico gruppo di caccia ai fantasmi del New England.
Scrissero molti libri sul paranormale e sulle loro investigazioni private su vari accadimenti legati a presenze demoniache e di fantasmi, avendo indagato su oltre 10.000 casi durante la loro carriera.
Essi furono tra i primi investigatori nell’infestazione di Amityville, di cui racconterò in seguito, e collaborarono ad indagini con una grande varietà di persone, tra cui medici, ricercatori, agenti di polizia, infermieri, studenti universitari e membri del clero.
Oggi nomino i Warren, perché si occuparono anche di comprendere un altro mistero: due giovani donne erano perseguitate da una bambola demoniaca.
Questa bambola, chiamata in questo caso ‘Annabelle’, era una classica bambola Raggedy Ann, personaggio creato dallo scrittore americano Johnny Gruelle, apparsa in una serie di suoi libri per bambini piccoli.
Annabelle era una bambola di pezza con fili rossi per capelli e naso a triangolo, dall’aspetto semplice, ed è rinchiusa in una teca al Museo dell’Occulto dei Warren, nella loro casa di Monroe, nel Connecticut.
Nel 2014, Hollywood ne ha tratto un film, basato proprio sui racconti dei coniugi Warren, in cui la bambola, invece, è di porcellana, dall’aspetto spaventoso a immagine di una bambina, con i capelli lunghi.
Il film è lo spin-off di “The Conjuring”, basato sul caso reale di Warren, che coinvolge la bambola.
Ma la Raggedy Ann, Annabelle, al Warren’s Museum non è una bambola qualunque.
Secondo i Warren, è posseduta da uno “spirito disumano” e c’è un avvertimento sulla teca di vetro, di non toccarla.
Un frequentatore del museo, che ha ignorato gli avvertimenti e ha schernito la bambola, è morto in un incidente motociclistico, poco dopo che gli è stato detto di lasciare il museo…
Ma, al di là di questo, ecco la ‘vera’ storia.
O almeno, vogliamo pensarlo!
Nel 1970, Donna, una studentessa infermiera, ricevette un’antica bambola Raggedy Ann da sua madre, come regalo di compleanno.
Portando la bambola nel suo piccolo appartamento, che condivideva con la sua coinquilina, la posò sul letto e non ci pensò più.
In un primo momento, entrambe le donne notarono che la bambola aveva iniziato a spaventarle, ma poi iniziarono a notare, che la bambola aveva iniziato a cambiare posizione, e poi a spostarsi in stanze diverse da dove era stata lasciata.
Donna e la sua coinquilina Angie trovavano la bambola seduta a gambe incrociate sul divano con le braccia conserte, altre volte veniva trovata in piedi, o in piedi e appoggiata a una sedia in sala da pranzo.
Più volte Donna, posando la bambola sul divano prima di partire per il lavoro, tornò a casa per ritrovare la bambola nella sua stanza sul letto con la porta chiusa.
La bambola non solo si muoveva, ma sapeva anche scrivere.
Infatti, dopo circa un mese di strane esperienze, Donna e Angie iniziarono a trovare messaggi a matita su carta pergamena, che dicevano “Aiutaci”.
La scrittura a mano sembrava appartenere a un bambino piccolo.
Sapendo che dovevano fare qualcosa con questa bambola sinistra, i coinquilini contattarono un medium, che condusse una seduta spiritica.
Attraverso il medium, Donna e Angie furono contattate da uno spirito di nome Annabelle Higgins, che raccontò loro la sua storia.
Annabelle spiegò che era una giovane ragazza, che risiedeva nella proprietà, prima che gli appartamenti fossero costruiti, quando erano “tempi felici”.
Era una ragazzina di soli sette anni, quando il suo corpo senza vita fu trovato nel campo, su cui ora sorgeva il complesso di quegli appartamenti.
Annabelle disse alle donne, che si sentiva a suo agio e al sicuro con loro, e che voleva rimanere per sempre con loro ed essere amata.
Provando compassione per Annabelle e la sua storia, Donna le dette il permesso di abitare con loro.
Avrebbero presto scoperto, tuttavia, che Annabelle non era tutto ciò che sembrava o diceva di essere.
A un amico comune delle ragazze, Lou, la bambola non era mai piaciuta ed aveva avvertito Donna di sbarazzarsene.
Una notte, i suoi avvertimenti si avverarono.
Svegliandosi da un sonno profondo, Lou scoprì con orrore di essere completamente paralizzato.
Guardandosi i piedi, vide la bambola, Annabelle, che cominciò a scivolare lentamente su per la sua gamba, si mosse sul suo petto e poi si fermò.
In pochi secondi, la bambola lo stava strangolando.
Paralizzato e senza fiato, sul punto di soffocare, Lou svenne, risvegliandosi la mattina dopo, sicuro che non avesse sognato.
Il successivo incontro terrificante, che il ragazzo visse, si verificò quando lui e Angie erano soli nell’appartamento, a prepararsi per un viaggio on the road il giorno successivo.
Sentendo dei fruscii dalla stanza di Donna, Lou si diresse silenziosamente alla porta della camera da letto, aspettando che gli strani rumori cessassero, prima di entrare e accendere la luce. Scoprì che la stanza era vuota tranne che per la bambola, che sembrava essere stata gettata in fretta nell’angolo.
Cominciò a cercare nella stanza qualcosa fuori posto ma, avvicinandosi alla bambola, ebbe la netta impressione che dietro di lui ci fosse qualcuno.
Girandosi, fu sorpreso di scoprire che non c’era nessun altro.
Poi in un lampo, si ritrovò ad afferrarsi il petto, piegato in due e sanguinante: sul suo petto c’erano sette distinti segni di artigli, tre in verticale e quattro in orizzontale, tutti caldi come ustioni.
Alla fine, convinta ormai che lo spirito dentro la bambola non fosse quello di una giovane ragazza, Donna contattò un prete di nome Padre Cooke, il quale chiamò immediatamente i Warren.
Ed e Lorraine Warren erano già famosi per la loro indagine paranormale sul famigerato caso Amityville.
Dopo aver parlato con i coinquilini, Ed e Lorraine giunsero alla conclusione, che la bambola non era posseduta ma, invece, era stata manipolata da una presenza non-umana, che usava la bambola per creare l’illusione che fosse viva.
La presenza disumana non stava cercando di rimanere attaccata alla bambola, dissero i Warren alle donne, stava invece cercando di possedere un ospite umano.
Per prima cosa, iniziarono a spostare la bambola per l’appartamento, mediante il teletrasporto per suscitare la curiosità del diabolico occupante, nella speranza di poter capire chi fosse.
Alla fine, compresero che, quando Donna aveva portato un medium nell’appartamento per comunicare con la bambola, lo spirito demoniaco era stato in grado di parlare, riuscendo a carpire le vulnerabilità emotive delle due donne, fingendosi una ragazza innocua e bisognosa di aiuto.
Durante la seduta spiritica, Donna, quindi, gli aveva dato il permesso di ‘abitare’ la bambola e, a sua volta, l’appartamento ed infine loro stesse.
I Warren credevano che la fase successiva del fenomeno dell’infestazione demoniaca sarebbe stata il completo possesso umano.
Se queste esperienze fossero durate altre 2 o 3 settimane in più, lo spirito si sarebbe completamente impossessato e avrebbe anche danneggiato o ucciso, uno o tutti gli occupanti della casa.
Al termine dell’indagine, i Warren ritennero opportuno recitare una benedizione di esorcismo, per purificare l’appartamento.
Su richiesta di Donna, e come ulteriore precauzione contro altri fenomeni che si sarebbero potuti verificare in casa, quando se ne andarono, i Warren portarono con loro la bambola di pezza.
Fecero costruire una custodia speciale per Annabelle, in cui risiede ancora oggi.
La custodia, chiusa a chiave, ha impedito alla bambola di muoversi, ma qualunque terribile entità sia attaccata ad essa è ancora lì, dormiente ma, senza dubbio, in attesa del suo momento.
Purtroppo, ‘The Warrens’ Occult Museum’ di Monroe è attualmente chiuso.
Thelema è una filosofia/religione occulta, che abbraccia il “libertinismo” (atteggiamento spirituale, diffuso nella civiltà e cultura illuministica, sostenitore della libertà di pensiero in materia di morale e di religione) e insegna che le persone dovrebbero avere la libertà di fare ciò che vogliono.
Thelema fu creata da Aleister Crowley, un occultista e scrittore, nella prima parte del ventesimo secolo.
Edward Alexander Crowley, il suo vero nome, era un occultista, scrittore e alpinista britannico, che praticava un rituale che chiamava “Magick” e si faceva chiamare la “Bestia 666”.
Fu denunciato ai suoi tempi per il suo stile di vita decadente e libertino e, nonostante avesse pochi seguaci, divenne una figura di culto dopo la sua morte.
Figlio di un evangelista erede di una grande fortuna, Crowley sviluppò presto una grande avversione verso il Cristianesimo e modificò il proprio nome in Aleister.
Frequentò l’Università non laureandosi e, grazie alla sua ricchezza, iniziò a viaggiare ed a pubblicare i suoi scritti.
Nel 1904, Crowley scrisse “Il Libro della Legge” (noto anche come “Liber AL vel Legis”), nel quale affermava che, mentre era in uno stato di trance, il libro gli era stato dettato da un’entità chiamata “Aiwass”, che Crowley considerava il suo angelo custode personale.
Questo libro è “scrittura” per i Thelemiti, ai quali è lasciata l’interpretazione, Crowley è il profeta di Thelema ed i suoi seguaci si chiamano “Thelemiti”.
Uno dei principi di Thelema è:
“Fai ciò che vuoi sarà l’intera Legge.
L’amore è la legge, amore sotto la volontà”
La parola “thelema” deriva dal greco e significa “scelta” o “volontà”.
Essa si trova spesso nella Bibbia, come ad esempio in Matteo 6:10, che contiene la frase:
“Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà”.
In greco, “volontà” è “thelema”.
I Thelemiti parlano del processo di raggiungimento della conoscenza, la “Grande Opera”, raggiungibile conversando con il proprio “Santo Angelo Custode” e compiendo la propria “Vera Volontà”.
La Vera Volontà in Thelema è lo scopo unico di un individuo, come dettato dalla sua natura.
Quindi, chi scoprirà la sua vera natura, insieme ai suoi veri desideri nella vita, e la seguirà fino in fondo, sarà soddisfatto.
Mentre coloro, che non troveranno mai i loro veri desideri, sono condannati a vagare senza meta attraverso la vita.
Crowley scrisse:
“La causa più comune di fallimento nella vita
è l’ignoranza della propria Vera Volontà,
o dei mezzi con cui realizzarla” .
Thelema cerca di liberarsi da ogni freno, infatti, la regola principale è che non ci sono regole.
I suoi seguaci sono liberi di svolgere qualsiasi tipo di attività, purché non interferisca con il perseguimento altrui del proprio destino.
Thelema promuove fortemente la liberazione sessuale:
“Fai a sazietà e volontà l’amore come vuoi,
quando, dove e con chi vuoi!”
Nella sua filosofia, naturalmente coinvolge anche la magia, lo yoga, l’astrologia e il misticismo.
Parla di reincarnazione e di proiezione astrale, mescolando anche un po’ di Gnosticismo ed Ermetismo.
I rituali includono l’uso di pentagrammi, altari sacrificali e adorazione del Sole, includendo anche alcuni Esseri spirituali greci ed egizi.
Secondo i Cristiani, Thelema è radicato in un vero e proprio inganno demoniaco, elogiando la concupiscenza della carne e la promessa della conoscenza segreta, che sono simili alla tentazione del serpente nel Giardino dell’Eden.
Essi, esortando le persone a stare lontane da Thelema e da tutte le altre filosofie e pratiche occulte, dicono:
“Non avere nulla a che fare con le opere infruttuose
delle tenebre, ma piuttosto esponile”
Intorno al 1907, Crowley fondò il suo ordine, A∴A∴, usando le iniziali, che stavano per le parole latine “Stella d’argento”.
Alla fine della prima Guerra Mondiale, si trasferì in Sicilia a Cefalù, dove trasformò una casa in un santuario, chiamandola Abbazia di Thelema.
In questo periodo scrisse “The Diary of a Drug Fiend “(Diario di un drogato), pubblicato come romanzo, ma si dice basato sull’esperienza personale.
La morte di un suo giovane seguace in Sicilia, presumibilmente dopo aver partecipato a rituali sacrileghi, portò alla denuncia di Crowley, denominato nella stampa popolare britannica come “l’uomo più malvagio del mondo”, e alla sua espulsione dall’Italia, nel 1923.
Nel 1944, pubblicò “The Book of Thoth”, in cui interpretava un nuovo mazzo di tarocchi, chiamato “Thoth”, che aveva disegnato in collaborazione con l’artista Lady Frieda Harris.
Crowley morì in povertà e nell’oscurità, in una pensione inglese nel 1947, ma dopo la sua morte divenne una figura di grande fascino nella cultura popolare.
I Beatles misero la sua foto sulla copertina dell’album “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”, mentre il chitarrista dei Led Zeppelin, Jimmy Page, acquistò una casa sul lago di Loch Ness, in Scozia, precedentemente di proprietà di Aleister Crowley.
Insomma, la Grande Bestia 666, Perabduro, Ankh-fn-khonsu, l’Uomo più malvagio del Mondo, Aleister Crowley è stato un noto e controverso occultista.
Scrisse ampiamente, fondò il proprio ordine religioso e disegnò una serie di tarocchi che sono ancora usati oggi, con aria di sfida non convenzionale sotto ogni aspetto.
I suoi interessi combinavano l’erotico e l’esoterico.
Pubblicò poesie, incluso un volume di versi descritto da un critico come “il pezzo erotico più disgustoso in lingua inglese”.
Fu anche coinvolto in gruppi segreti, come l’Ordine Ermetico della Golden Dawn.
Gradualmente ha evoluto il proprio insieme di credenze, che attingevano all’Oriente, all’antico Egitto e a un assortimento di altre tradizioni.
I suoi gusti sessuali variavano molto, ebbe molti amanti, sia maschi che femmine, e praticò una forma di magia sessuale.
E il tutto sempre perseguendo la volontà di ogni individuo, di non essere vincolato dall’opinione popolare, dalla legge o dall’etica convenzionale.
In Sicilia seguì l’illuminazione spirituale, dichiarandosi “Ipsissimus “ = “Al di là degli Dei”.
Sperimentò sesso e droghe, spingendo i suoi adepti a rituali misteriosi, tanto che, nel 1923, un inglese morì in circostanze oscure, dopo un rituale durante il quale si diceva avesse consumato il sangue di un gatto.
Sebbene impoverito, caduto in disgrazia e diventato un eroinomane quasi scheletrico, Crowley continuò ad avere molti seguaci, ed era ancora richiesto come medium e mago fino alla sua fine, nel 1947.
Nonostante fosse chiamato “l’uomo più malvagio del mondo”, egli negò questo fino alla fine, sostenendo che la sua opera era veramente buona, perché liberava gli uomini dalle regole terrene e apriva esperienze veramente spirituali.
Fatto sta, che non c’è dubbio che godette di una certa notorietà, che aumentò moltissimo dopo la morte.
Ancora oggi, ci sono gruppi che si definiscono Thelemiti: quelli che ancora usano i suoi tarocchi e leggono i suoi libri.
E’ comunque interessante approfondire la conoscenza di questa filosofia, che per me racchiude dei concetti comunque condivisibili.
Infatti, essa sotto molti aspetti, lungi dal rappresentare una licenza libertina, invita al massimo grado di auto- responsabilizzazione, al fine di poter scoprire e compiere la propria Vera Volontà, lasciando il prossimo libero di fare lo stesso, secondo la sua natura:
“Non hai altro diritto che fare la tua volontà.
Fai quella, e nessuno ti dirà di no.
Poiché la pura volontà, non alleviata dal fine,
liberata dalla lussuria del risultato, é in ogni modo perfetta.”
Ciò indica che si dovrebbe cercare e seguire il proprio percorso nella vita vera, conosciuta come realizzazione della propria più autentica volontà (il destino individuale di una persona durante l’esistenza), piuttosto che i propri piccoli desideri egoistici…
“”Do what thou wilt””
La Notte di San Giovanni è un’antica festa di Mezza Estate, che si svolge dalla sera del 23 giugno, anche conosciuta come la vigilia di San Giovanni.
Questa notte, le persone celebrano l’estate in vari modi, tradizioni e superstizioni antiche, per lo più di origini pagane, legate alla natura.
Eccone alcune.
Originariamente durante la celebrazione del Solstizio d’Estate, venivano accesi dei falò per onorare il Sole e per proteggersi dagli spiriti maligni, che potevano vagare liberamente per la notte.
Dopo l’introduzione del Cristianesimo, la celebrazione fu legata alla data di nascita di San Giovanni Battista, il 24 giugno.
Infatti, la tradizione religiosa narra che Zaccaria, il padre di Giovanni, accese dei falò per annunciare la nascita del figlio a parenti e amici.
Nei tempi antichi, i falò di Mezza Estate venivano accesi in cima a colline e scogliere in tutte le campagne e, i resti di queste tradizioni continuarono fino al XVIII secolo.
Questa celebrazione è sopravvissuta molto più a lungo nelle aree rurali, dove le persone erano più in sintonia con la natura.
Il Solstizio d’Estate era il momento in cui le persone mostravano il loro apprezzamento per i loro animali domestici guidandoli tra due falò, o in senso orario (emulando il movimento del Sole), attorno a un singolo falò.
Le persone saltavano anche su fuochi più piccoli e in alcuni luoghi si credeva, che il salto più alto rappresentasse l’altezza che il grano avrebbe raggiunto quell’anno.
In alcune zone dove c’erano pietre erette, si credeva che, se una persona avesse trascorso la notte tra i monoliti, avrebbe acquisito poteri di divinazione.
D’altra parte, c’era la possibilità che una persona, che si aggirava furtivamente tra le pietre antiche, potesse essere portata via dalle fate o finire matta, o morta.
Il fuoco è uno dei tre simboli basati sugli antichi rituali della notte di San Giovanni.
È l’elemento purificatore che ci libera dalla sfortuna.
Un rituale prevede di scrivere un elenco su un foglio di carta, di tutto ciò che vogliamo abbandonare nella nostra vita e bruciarlo nel fuoco.
I falò e i riti legati al fuoco iniziano alla vigilia del 24 per celebrare il potere del Sole e aiutarlo a rinnovare la sua energia.
La leggenda dice, che le ceneri del falò curino le malattie.
Inoltre, la protezione contro gli incendi durerà tutto l’anno, per coloro che oseranno scavalcare le fiamme.
L’acqua è il secondo simbolo della notte di San Giovanni, simboleggiando la fertilità e la purezza.
Si crede che dalla mezzanotte del 23 alla mattina del 24 Giugno, l’acqua di mare sia miracolosa, curi le malattie e dia felicità.
La tradizione dice anche, che saltare tra le onde doni un anno di salute, anche se secondo il rituale bisognerebbe saltare all’indietro.
L’acqua è quindi un elemento chiave nella Notte di San Giovanni, spesso collegato al terzo simbolo di questa magica notte, il mondo vegetale, famoso per la “Guazza di San Giovanni” (leggi articolo https://www.madameblatt.it/2021/06/22/san-giovanni-e-le-sue-erbe/).
Anticamente, le persone raccoglievano l’acqua da 7 diverse fontane, ponendola in una ciotola in cui si lasciava tutta la notte.
La ciotola deve essere lasciata all’aperto, insieme con le erbe di San Giovanni.
Al mattino, dovresti lavarti il viso con questa guazza, ma fai attenzione!
Se ti guardi allo specchio mentre lo fai, l’incantesimo non funziona!
Anche il bagno in mare fa parte del rituale.
L’acqua e il mare sono associati alla purificazione e alla fertilità, quindi, se vuoi prendere parte al rituale, devi saltare 7 onde.
Dicevo che il terzo simbolo di questa magica notte è legato al Mondo vegetale.
Oltre alla famosa “Guazza di San Giovanni” posta sul davanzale, anticamente non mancavano mai, alle porte di case e stalle, ramoscelli di Noce appesi agli stipiti.
Con fronde di Noce, infatti, si adornavano le case traendone responsi propizi dal sussurrare delle foglie al vento e dal loro avvizzire lento o veloce.
Un’usanza conosciuta era il “ramoscello di Noce di San Giovanni”, che fiorisce verso la fine di giugno, che si poneva all’ombra prima del sorgere del sole, verificando già dopo il mezzogiorno le condizioni del ramo, come da antiche tradizioni contadine.
Se esso era appassito prima di mezzogiorno, l’estate sarebbe stata molto secca, se restava verde vigoroso per più giorni, l’estate sarebbe stata piovosa.
Per alcuni, il ramoscello di San Giovanni serviva anche, a non far entrare in casa le streghe in volo per raggiungere il loro luogo di ritrovo.
In Sicilia, precisamente ad Alcara Li Fusi, celebre è la “Festa di Muzzuni” che, nonostante si festeggi nella notte di San Giovanni, deriva da un rito propiziatorio alla Grande Dea Cerere (o Demetra), che governa la fertilità della terra.
Questa celebrazione è dedicata alla ricerca dell’amore, al rigoglio della natura, alla giovinezza e alla fecondità.
I rituali di questa festa, durante la quale giovani donne vestite di bianco danzano le canzoni d’amore di musicisti maschi, possono anche invocare Afrodite e Adone.
Il termine “Muzzuni” probabilmente si riferisce ad una brocca priva di collo (“mozzata”), o alle spighe di grano falciato e raccolto in fascioni (“mazzuna”) e anche a San Giovanni decollato (con la testa mozzata).
Questa brocca mozzata viene riempita di grani, coperta con un fazzoletto, fuoriescono steli di grano e orzo fatti germogliare al buio, lavanda, spighe di grano maturo e garofani.
In seguito, una giovane donna del quartiere, a simboleggiare le antiche sacerdotesse pagane, lo colloca sull’altare tra due lucerne.
Si entra così, nel vero e proprio clima della Festa: ogni quartiere che ospita il “Muzzuni” viene animato con musiche e canti popolari.
Nei tempi antichi, la vigilia della notte di San Giovanni, giovani uomini e donne contattavano il Mondo degli Spiriti, per ottenere informazioni sulle loro prospettive matrimoniali.
Uno di questi incantesimi divinatori prevedeva la fusione del piombo, il “Chiummo” e la sua caduta in acqua fredda, dove si sarebbe congelato in forme che potevano essere interpretate, secondo il simbolismo tradizionale.
In pratica, il solidificarsi del piombo nell’acqua fredda, secondo leggi occulte e misteriose, gli avrebbe fatto assumere una forma che poteva essere associata al mestiere, che avrebbe svolto il futuro marito della ragazza, che eseguiva il rituale.
Quindi, se il metallo, per esempio, assumeva una forma paragonabile ad un martello, il futuro fidanzato avrebbe fatto il fabbro; se la figura assomigliava ad una pecora, il marito avrebbe fatto il pastore, e così via.
Questo rito veniva spesso compiuto a seguito di una novena, che durava dalla sera del 15 giugno fino alla vigilia della festa.
Ecco la formula:
San Giovanni benedetto,
pe’ un infame maledetto,
foste a morte condannato,
con sto’ piombo coagulato,
conoscere mi fai,
la fortuna che mi dai,
San Giovanni della vita.
Visto che non è molto facile reperire il piombo, questo rito si faceva con un uovo nell’acqua.
Si prendeva un bicchiere grande e trasparente e si riempiva d’acqua.
Poi, si rompeva un uovo, si separava l’albume dal tuorlo, mettendo solo il bianco nel bicchiere d’acqua, lasciandolo fuori per una notte sul davanzale della finestra.
Il giorno dopo, se l’acqua era ricoperta di bolle, significava che presto si sarebbe trovato un compagno bello, simpatico e ricco.
Se c’era invece l’immagine di un edificio o di una chiesa, era di buon auspicio, ma il matrimonio non ci sarebbe stato a breve termine.
Infine, se non fossero apparse immagini, bisognava solo aspettare fino al prossimo anno!
La vigilia di San Giovanni, oltre ad essere importante per le streghe ed i neopagani, lo è soprattutto per i praticanti del Vudù.
Infatti, a New Orleans si celebrano battesimi Vudù sulle rive del Bayou St. John, tradizione fatta risalire a Marie Laveau, la regina vudù di New Orleans.
Madame Laveau teneva un rito annuale la notte della festa di San Giovanni, riunendosi sulle rive del bayou di New Orleans, dove con i suoi devoti adorava i potenti Lwa (Spiriti), con offerte e doni per garantire un anno propizio.
Ancora oggi, ogni anno a New Orleans, Marie Laveau è onorata con una cerimonia di lavaggio della testa, i cui partecipanti si vestono di bianco dalla testa ai piedi, compreso un foulard bianco, e devono presentare un’offerta allo spirito della Regina Voodoo.
Alcuni dei regali più popolari sono nastri per capelli e mollette, graziosi pettini per capelli, cibo creolo, fiori, candele blu e bianche, piccole statue di santi cattolici, rosari e sacchetti gris-gris.
I praticanti, che non possono partecipare al battesimo, spesso eseguono un rituale di purificazione privato a casa, sotto una foto di Madame Laveau e davanti ad una vasca di acqua, con tre candele bianche, fiori bianchi, incenso, acqua della Florida, rum al cocco, nastri o cravatte per capelli bianchi, profumo, un pettine, foulard bianco e tazza bianca.
Quindi, bisogna allineare ed accendere le tre candele, l’incenso, riempire la vasca con acqua tiepida, aggiungendo una bottiglia piena di acqua della Florida e alcuni petali dei fiori bianchi.
Si sta nudi davanti alla vasca e presentare la propria richiesta alla Madre sotto forma di preghiera. Entrare nella vasca, immergere la tazza bianca nell’acqua e versare il contenuto sulla testa 7 volte.
Successivamente, ci si sdraia nell’acqua a meditare o pregare, non più di 30 minuti.
Usciti dalla vasca, si avvolge il foulard bianco intorno ai capelli e si rimane all’aria ad asciugare.
Ci si veste di bianco e ci si sdraia su lenzuola bianche pulite.
Et voilà, il rito di purificazione è fatto!
A New Orleans, un luogo che mi affascina veramente, c’è un altro rito che potrà interessare tanti di noi:
“per tenere gli esattori, i padroni di casa, la legge e i nemici lontani dalla tua porta, il 24 giugno, prendi l’acqua di un fiume (a New Orleans deve essere rigorosamente di Bayou St. John), mettila in una bottiglia e recita una preghiera.
Metti la bottiglia d’acqua su un lato della stanza, con la parte superiore rivolta verso la porta e, quando un debitore o un nemico bussa, chiedi a San Giovanni di impedire loro di entrare in casa, mentre fai rotolare la bottiglia verso la porta d’ingresso.
Quando la persona andrà via, col piede riporta la bottiglia nella posizione originale.
Mantieni la bottiglia nella sua posizione e non svuotarla mai.”
Insomma…
A San Giovanni, sta a te decidere se fare i rituali o meno.
Puoi saltare sul fuoco o nuotare al mattino presto, senza dover credere necessariamente in qualcosa.
Basta celebrare una notte magica come poche altre, una festa in cui l’energia del fuoco invita a godersi la serata e a lasciarsi ispirare da antiche sognanti credenze.
“By the lost town of Dunwich
The shore was washed away
They say you hear the church bells still
As they toll beneath the waves”
“Nella città perduta di Dunwich
La riva è stata spazzata via
Dicono che senti ancora le campane della chiesa
Mentre suonano sotto le onde”
-Al Stewart, “The Coldest Winter in Memory”-
Ci sono molti posti in Gran Bretagna, che si dice possano appartenere alla mitica Atlantide.
Si presume, addirittura, che le stesse isole britanniche potrebbero essere il fondamento del Regno di Atlantide.
Uno dei racconti più interessanti riguarda Dunwich, sulla costa del Suffolk.
Non tutti hanno mai sentito parlare di Dunwich, perché non ne è rimasto molto.
Tuttavia, 800 anni fa era paragonabile a Londra ed alle prime 10 città della Gran Bretagna.
Dunwich era un piccolo villaggio a 13 miglia a sud di Lowestoft, il punto più orientale della Gran Bretagna continentale, il cui porto si trova a più di 10 metri sotto le onde.
Nel periodo anglosassone, Dunwich era la capitale del Regno di East Angles, o East Anglia, e commerciava con i porti di tutto il Mare del Nord, soprattutto della Germania e dei Paesi Bassi.
C’erano 10 chiese parrocchiali, un piccolo monastero, due conventi, due ospedali (istituzioni religiose) e una casa dei Cavalieri Templari.
Contava oltre 3.000 persone, quando il Domesday Book (manoscritto che raccoglie i risultati di un grande censimento completato nel 1086, riguardante la maggior parte dell’Inghilterra e parte del Galles) fu compilato nel 1086.
Il 1 gennaio 1284, Dunwich fu colpita da una terribile tempesta, che provocò un effetto simile a uno tsunami e spazzò via molti degli edifici, opere portuali e inondò il terra.
Altre due ondate distruttive la colpirono nel 1285 e le peggiori arrivarono nel 1287, quando almeno due “tempeste del secolo” colpirono la città.
Questa carneficina fu sufficiente per vedere il porto, un tempo fiorente, iniziare una lunga strada di declino.
Una tempesta nel 1328 spazzò via completamente il vicino villaggio di Newton e la fine fu davvero vicina il 16 gennaio 1362, quando arrivò la seconda, la leggendaria “Alluvione di San Marcello”, o “Grote Mandrenke”.
Questa tempesta uccise 25.000 persone nel sud-est dell’Inghilterra e nei vicini Paesi Bassi e cambiò in modo permanente le caratteristiche geografiche delle coste.
A Dunwich, 400 case furono distrutte insieme al porto, mentre il fiume cambiò permanentemente il suo corso verso il mare.
Con il suo centro commerciale in rovina, le risorse per le difese del mare si concentrarono lungo la costa e l’erosione costiera si intensificò, con il clima che si raffreddava e si entrava in quella che è conosciuta come la piccola “Era glaciale” (periodo della storia climatica della Terra, che va dalla metà del XIV alla metà del XIX secolo, in cui si registrò un brusco abbassamento della temperatura media terrestre) .
In seguito, con la riduzione della popolazione, Dunwich divenne un Rotten Borough, ovvero un distretto parlamentare con poche persone, riuscendo a mantenere il diritto di avere 2 membri in Parlamento fino al Reform Act del 1832.
“The Dark Heart of Dunwich” è un pezzo del folklore del Suffolk, la cui leggenda narra di come Eva, una fanciulla di Dunwich, destinata a sposare il figlio di un proprietario terriero locale, si fosse invece innamorata di un bel mascalzone del villaggio, che l’aveva conquistata per poi abbandonarla, scappando per mare.
Dopo aver atteso invano il ritorno del suo amore perduto, Eva si strappò il cuore e lo scagliò in mare.
Tuttavia, secondo la leggenda, non riuscì a morire e infesta ancora la zona, in particolare intorno alla spiaggia, dove la terra incontra il mare.
Si racconta che il cuore stesso, che si crede sia simile nell’aspetto a un cuore di legno, si bagni occasionalmente e porti grandi disgrazie a chiunque lo raccolga.
Gli edifici del XIII secolo di Dunwich ora appartengono purtroppo al mare, comprese otto delle sue chiese.
La leggenda locale narra che in determinati orari e maree, le campane della chiesa possono ancora essere sentite suonare da sotto il mare.
Ciò che si trova ancora oggi a Dunwich sono i resti di Greyfriars, un priorato francescano e il Lebbrosario di St James.
Oggi il villaggio ha una popolazione stimata di 183 anime.
Recentemente sono state fatte molte ricerche, sia con la bassa marea che con dispositivi sonar subacquei, che hanno mappato le strade e gli edifici di Dunwich, come erano un tempo.
Dunwich merita sicuramente una visita.
Il giorno 8 aprile 2021, una missione archeologica egiziana ha annunciato la scoperta di Aten, una “Città d’Oro perduta” di 3000 anni fa, nella ricca città di Luxor, nella Valle dei Re in Egitto.
Una missione egiziana, guidata dal famoso archeologo egiziano Zahi Hawass, in collaborazione con il Consiglio supremo delle antichità egiziane, ha trovato la città che si era persa sotto la sabbia.
La città era conosciuta come “The Rise of Aten” (l’Ascesa di Aten), risale al regno di Amenhotep III e a quello di suo figlio, Amenhotep IV, noto anche come Akhenaton, e fu governata anche da Tutankhamon.
L’archeologo Hawass ha definito la scoperta, come la più grande città mai trovata in Egitto, in quanto è stata fondata da uno dei più grandi sovrani dell’Egitto, il re Amenhotep III, nono re della XVIII dinastia, che governò l’Egitto dal 1391 al 1353 a.C.
Amenhotep III ereditò un impero che si estendeva dall’Eufrate al Sudan, e morì intorno al 1354 a.C.
E’ interessante sapere anche, che la scorsa settimana, l’Egitto ha trasportato i resti mummificati di 18 antichi re e quattro regine attraverso Il Cairo, dal Museo Egizio al nuovo Museo Nazionale della Civiltà Egizia, con una processione soprannominata la “Parata d’oro dei Faraoni”.
Tra i 22 corpi c’erano quelli di Amenhotep III e di sua moglie la regina Tiye.
Aten era il più grande insediamento amministrativo e industriale dell’Era dell’impero egiziano sulla riva occidentale di Luxor, e la missione ha portato alla luce alcune delle strade della città che sono fiancheggiate da case, con muri alti fino a 3 metri.
Molte missioni internazionali hanno cercato questa città e non l’hanno mai trovata, mentre la missione egiziana ha iniziato a lavorare alla scoperta nel settembre 2020, trovando una città ben conservata con mura quasi complete e con stanze piene di strumenti della vita quotidiana.
L’area di scavo è inserita tra il tempio di Ramses III a Medinet Habu e il tempio di Amenhotep III a Memnon.
Dopo sette mesi di scavi, sono stati scoperti diversi quartieri, tra cui un panificio completo di forni e vasellame, oltre a distretti amministrativi e residenziali.
Nella parte meridionale della città, la missione ha trovato un panificio, un’area di cottura e preparazione dei cibi completata con forni e deposito di vasellame.
Anelli, scarabei, vasi di ceramica colorata e mattoni di fango, recanti i sigilli del cartiglio del re Amenhotep III, sono trovati durante la scoperta, confermando la datazione della città.
La missione ha anche portato alla luce molti strumenti utilizzati nella filatura, nella tessitura e nelle scorie per la produzione del vetro.
Si presume che la seconda parte della città, ancora in parte coperta, fosse il quartiere amministrativo e residenziale con unità più ampie e ben disposte, essendo recintato da un muro a zig-zag, con un solo punto di accesso, che conduce a corridoi interni e aree residenziali.
Oltre agli elementi strutturali, sono presenti anche sepolture rinvenute all’interno delle mura cittadine.
Infatti, sono state portate alla luce due insolite sepolture di animali, mucca o toro, insieme ai resti di una persona, trovata con le braccia tese di lato e una corda a brandelli avvolta attorno alle ginocchia.
A nord dell’insediamento, è stato scoperto un grande cimitero, la cui estensione deve ancora essere determinata.
“La scoperta di questa città perduta è la seconda scoperta archeologica più importante dalla tomba di Tutankhamon”, ha dichiarato Betsy Bryan, professoressa di arte egizia e archeologia alla Johns Hopkins University di Baltimora.
“La missione prevede di scoprire tombe incontaminate piene di tesori”.
Inoltre, il team degli archeologi del prof. Hawass ha dichiarato che questo sito è rimasto “intatto per migliaia di anni, lasciato dagli antichi residenti come se fosse ieri”.
“Voi che entrate qui, considerate ciò che vedete e poi ditemi
se tante meraviglie sono fatte per l’inganno o per l’arte”
-Sfinge all’entrata-
Bomarzo, chiamato anche il Sacro Bosco, il Parco dei Mostri o anche Giardini di Bomarzo , è un complesso monumentale manierista, situato nella località di Bomarzo, in provincia di Viterbo.
E’ il più antico parco di sculture del mondo moderno.
Esso, creato nel corso del XVI secolo, è situato in un fondovalle boscoso sotto il Castello degli Orsini, ed è popolato da sculture grottesche e piccoli edifici immersi nella vegetazione naturale.
Il nome del parco deriva dalle numerose sculture gigantesche, che popolano questo paesaggio prevalentemente arido.
Il materiale scelto per le sculture, il basalto, è largamente disponibile in quest’area del Lazio.
Sulle statue, alcune direttamente scolpite nella roccia, si trovavano frequentemente delle incisioni sibilline che, purtroppo, in buona parte sono difficilmente leggibili.
Quest’opera fu commissionata da Pier Francesco Orsini, detto Vicino, un condottiero e mecenate del XVI secolo, molto devoto alla moglie Giulia Farnese.
Quando la moglie di Orsini morì, egli creò i giardini per far fronte al suo dolore.
Il progetto è attribuito a Pirro Ligorio, mentre le sculture a Simone Moschino.
Durante il XIX secolo, e fino al XX, il giardino rimase ricoperto di vegetazione e trascurato.
Dopo che il pittore spagnolo Salvador Dalì realizzò un cortometraggio sul parco, e completò un dipinto in realtà basato sul Bosco di Bomarzo negli anni ’50, la famiglia Bettini realizzò un programma di restauro, durato per tutti gli anni ’70, integrando, all’interno del Tempio, una lapide dedicata a Tina Severi Bettini.
Oggi il giardino, che rimane proprietà privata, è una grande attrazione turistica.
Tra le varie opere, troviamo:
–La Casa Pendente: dedicata al cardinale Cristoforo Madruzzo, amico di Orsini e di sua moglie. Si tratta di un piccolo gioiello d’architettura rinascimentale, che sembra voler simboleggiare la sensazione di vertigine provocata dalla caduta delle sicurezze morali sociali. Caduta, che l’iniziato deve in un certo senso “sopportare”, per continuare il cammino verso la verità. Infatti, le sue convinzioni barcolleranno ma, proprio nel saper affrontare un simile stato d’animo, sta il superamento di questo stadio purificatorio.
–Il Tempio dell’Eternità: memoriale di Giulia Farnese, situato in cima al giardino, un edificio ottagonale con un misto di generi classici, rinascimentali ed etruschi. Attualmente ospita le tombe di Giovanni Bettini e Tina Severi, i proprietari che hanno restaurato il giardino nel Novecento.
–Cerbero
–Afrodite
–Un drago attaccato dai leoni
–L’ elefante di Annibale cattura un legionario romano
E tante altre meraviglie che non ho intenzione di descrivervi, perchè “dovete andarci di persona”, appena finalmente saremo liberi di viaggiare.
Tanti anni fa, ho avuto la fortuna di visitare il Sacro Bosco.
Ero in viaggio per lavoro, e mi fu detto che avrei ricevuto una sorpresa.
Mai avrei immaginato ciò che mi ritrovai davanti…
E’ stata l’emozione più magica della mia vita: sono stata letteralmente catapultata in un mondo fantastico, popolato di animali mitologici e giganteschi mostri di pietra, che incutono timore, sorpresa, meraviglia e riverenza.
E’ incredibile camminare in quel grottesco e surreale giardino delle meraviglie…
Le sue opere sono cariche di simbolismi, con continui riferimenti e rimandi alla mitologia ed al mondo del fantastico.
Aggrappata alla mano del mio principe, sono stata condotta attraverso un percorso fatto di grandi statue, edifici surreali, labirinti, iscrizioni ed indovinelli, che mi sorprendevano e mi disorientavano continuamente.
Ho camminato in un Regno del Sogno, tra richiami mitologici ed enigmi, tra statue di sirene, mostri marini, tartarughe giganti, satiri, sfingi, draghi, maschere, falsi sepolcri e giochi illusionistici.
Ciò che non riesco a dimenticare, è la Porta degli Inferi.
Camminavamo per mano in questa magia, fino ad arrivare ad una radura, che ospitava figure incredibili, quanto enigmatiche.
Nettuno disteso, un magnifico drago che assaltava la sua preda, un elefante che stritolava un guerriero, un balcone contornato da coppe recanti sentenze ermetiche.
E, sullo sfondo, la visione spaventosa e magica dell’Orco, la scultura più nota del parco.
Il Mascherone, che sarebbe la “Porta degli Inferi”, sembrava cambiare sembianze, a seconda dell’ora e della luce…
In alcuni momenti, arrivava a deformare la propria stessa espressione, mentre le sue fauci spalancate mi facevano entrare in una stanza angusta.
Parlando al suo interno, le nostre voci assumevano distorsioni curiose e fiabesche, a causa della conformazione della struttura scavata nel tufo.
Ho ancora impressa nella mente, la frase scolpita sulle labbra del mostro:
«Ogni pensiero vola»
Infatti, quando entrerete nel magico Sacro Bosco di Bomarzo, abbandonate la ragione, seguite l’intuizione, la malìa, l’incantesimo.
Solo così potrete arrivare all’ultimo stadio del vostro percorso esoterico, il Tempio dell’Eternità, Vignola.
Esso sorge sulla sommità del parco, ma in diretta corrispondenza dell’ingresso di questo, come se tracciasse un ideale “anello magico”.
Qui sarete dominati dalla “sacra conoscenza”, che completerà questo vostro viaggio esoterico nei meandri della coscienza, donandovi, se avrete saputo decifrare il significato delle sentenze e delle metaforiche immagini, la più alta virtù, quella del “viver bene”, lontani dalla miseria dei vizi e dei capricci umani, protendendo l’anima verso l’estatica libertà dell’infinito e dell’eterno.
Nel Sacro Bosco di Bomarzo, l’uomo ritrova la sua essenza divina e può godere del Mondo in uno stato di pura contemplazione.
Per informazioni su modalità di visita, servizi ecc.: www.sacrobosco.it
Molti di noi sono cresciuti con le Sirene nei libri, nei film e persino come giocattoli.
Ci meravigliamo della loro bellezza, di come possano esplorare le meraviglie dell’Oceano e farci sentire magici.
Ma chi sono e da dove vengono le Sirene?
La verità sulle esse è molto più complessa di quanto immaginiamo.
La Sirena, nella mitologia greca, era una creatura ibrida con il corpo di uccello e la testa di donna, a volte con braccia umane, che attirava i marinai con la dolcezza del suo canto.
Infatti, le Sirene avevano belle voci melodiose ed erano suonatrici di lira.
Così meraviglioso era il loro talento musicale, che si diceva che potessero persino calmare i venti.
Tradizionalmente, le Sirene erano figlie del Dio fluviale Acheloo e di una Musa, ma altre fonti affermano che la madre delle Sirene era in realtà una delle Pleiadi, Sterope.
In ogni caso, la maggior parte concorda sul fatto che vivessero su tre piccole isole rocciose, chiamate dai Romani “Sirenum scopuli”.
Si diceva, che la dimora delle Sirene fosse uno spettacolo orribile da vedere: un grande mucchio di ossa giaceva tutt’intorno a loro, con la carne delle vittime ancora in decomposizione.
L’aspetto più famoso delle Sirene nella mitologia classica si trova nell’Odissea di Omero; tuttavia, le ritroviamo anche in altri miti.
Secondo Omero, c’erano due Sirene su un’isola nel mare occidentale tra Aeaea e le rocce di Scilla.
Successivamente divennero tre e vivevano sulla costa occidentale dell’Italia, vicino Napoli.
Nell’Odissea di Omero, l’eroe greco Odisseo (Ulisse), consigliato dalla maga Circe, scampò al pericolo del loro canto, tappando le orecchie del suo equipaggio con la cera, in modo che fossero sordi alle Sirene.
Lo stesso Odisseo voleva ascoltare la loro canzone, ma si legò all’albero maestro della nave, in modo da non andare fuori dalla sua rotta.