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MISTERO
La leggendaria Lemuria era un’antica civiltà perduta, che esisteva prima e durante il tempo di Atlantide.
Si ritiene che fosse situata in gran parte nell’Oceano Pacifico meridionale, tra il Nord America e l’Asia/Australia.
Lemuria era talvolta indicata anche come Mu, o la Patria di Mu.
Le informazioni su Lemuria iniziarono ad emergere e guadagnare popolarità nel 1864, quando Philip Lutley Sclater, avvocato e zoologo britannico, pubblicò un saggio intitolato “I mammiferi del Madagascar“.
Innanzitutto, egli ipotizzò che il Madagascar e l’India un tempo facessero parte di un continente più grande, cosa che portò alla prima teoria sulla scoperta dell’antico supercontinente Pangea.
Sclater trovò un numero significativamente maggiore di specie di Lemuri (animali infraordine di primati, il cui nome deriva dal latino,indicando il tipico movimento altalenante della loro camminata e corsa) in Madagascar, piuttosto che in Africa o India.
Da questa osservazione concluse, che il Madagascar era probabilmente la patria originaria dell’animale.
Egli ipotizzò che una massa continentale perduta, che si estendeva attraverso l’Oceano Indiano, doveva aver permesso ai lemuri di viaggiare in India e in Africa dal Madagascar.
Sclater credeva che questo continente, che chiamò “Lemuria” dedicandolo ai primati, avesse toccato la punta meridionale dell’India, l’Africa meridionale e l’Australia occidentale, prima di affondare definitivamente nel fondo dell’oceano.
All’epoca questa tesi fu accettata dalla maggior parte degli scienziati e così cominciò a prendere forma, ed a crescere, l’idea di Lemuria come paradiso perduto dal quale aveva avuto origine il genere umano.
Sembra che gli abitanti di questa terra perduta, noti come Lemuriani, fossero un popolo molto avanzato e pacifico, che viveva in armonia sia con le persone che con la natura.
Si narrava che essi fossero estremamente alti con quattro braccia, mentre altri affermavano che fossero mutaforma, in grado di spostarsi dalla terra al mare senza sforzo.
Essi conoscevano a fondo l’energia atomica, l’elettronica, le scienze ed avevano capacità telepatiche e di veggenza.
Possedevano tecnologie tali, da farci sembrare dei dilettanti al loro confronto, e controllavano la maggior parte delle loro tecnologie attraverso la mente.
Un tempo sapevano come alimentare le loro navi, usando l’energia radiata dai cristalli.
Era però teoria comune che, al culmine della sua civiltà, il popolo lemuriano fosse altamente evoluto e molto spirituale.
Sebbene le prove fisiche concrete di questo antico continente possano essere difficili da trovare, molte persone “sanno” di avere un forte legame con Lemuria.
Circa 14.000 anni fa, la cultura nota come Lemuria era fiorente, così come quella di Atlantide, entrambe floride.
Ad un certo punto, però, i profeti e saggi del tempo cominciarono a rendersi conto che qualcosa stava cambiando.
Cominciarono a ricevere informazioni, presentimenti, che la Terra stava per attraversare un cambiamento molto drammatico.
Il cambiamento a cui si riferivano era quello notoriamente chiamato “Diluvio Universale”, conosciuto anche come la “Distruzione di Atlantide”.
Essi erano in simbiosi con la Terra, così cominciarono a rendersi conto, che era molto importante preservare la conoscenza di Lemuria.
In realtà, era già da circa 2000 anni che si stavano preparando per questo grande cataclisma.
Quindi, cominciarono a diffondere i loro insegnamenti sulla Terra e sulla storia dell’umanità, a quante più persone possibile, credendo che così le informazioni e le tecnologie sarebbero state memorizzate all’interno delle cellule dei corpi umani, cosa che le avrebbe protette dall’oblio.
Infatti, era di grande importanza per questi antichi Esseri preservare la loro conoscenza sacra, in modo che potesse sopravvivere e beneficiare le generazioni del futuro.
Così i Lemuriani iniziarono anche ad immagazzinare informazioni nei cristalli, noti come “Cristalli del seme lemuriano” , che furono poi portati nelle profondità della Terra, per essere immagazzinati e preservati.
È così si sparse la voce del “Quarzo lemuriano” (a tutti gli effetti un Quarzo Ialino), che si dice fosse incastonato con l’antica conoscenza dell’esistenza umana e della fonte di energia.
E in molti, ancora oggi, ritengono che questi cristalli abbiano la capacità di aiutarci a ricordare, che siamo tutti un’unica coscienza ed Esseri di amore divino.
Continuando con la leggenda, ad un certo punto venne il diluvio, e tutte le persone che erano sottoterra furono al sicuro dalle acque, anche se molte di quelle sulla superficie della Terra morirono.
Alcuni studiosi affermano che una prova reale dell’esistenza di Lemuria, siano le piramidi dei Maya, Incas e Aztechi: ogni volta che le persone tentavano di costruire una piramide più alta, veniva distrutta e spazzata via.
Quindi la forma piramidale è rappresentativa delle fasi dell’evoluzione.
Quando le acque si ritirarono, il popolo emerse dal sottosuolo, trovando una Terra molto diversa rispetto a quella che conoscevano un tempo.
Purtroppo, la maggior parte dei popoli indigeni ha perso l’esatto ricordo letterale di questa apparizione ma, all’interno dei ranghi più alti degli Sciamani, Guaritori e Insegnanti Metafisici di oggi, questa conoscenza viene lentamente richiamata ed insegnata, per continuare la conoscenza della creazione e di Dio.
Durante queste sessioni, alcune persone sperimentano l’odore dello ‘sporco appena posato’, o l’odore ‘chiaroveggente dello sporco’.
Si tratta di un odore particolare, come di qualcosa di sotterraneo, probabilmente riesce a comprendere cosa scrivo, soltanto chi “lavora” in questo campo.
Dicevo che, col Diluvio universale, le persone sante di tutto questo pianeta, inclusa Lemuria, andarono sottoterra.
Queste persone sante, che avevano la capacità di conoscere le cose e comprendere la frequenza delle onde, circa un anno prima dell’alluvione, ricevettero i loro segnali per andare sottoterra, di cui i ‘non risvegliati’ non erano a conoscenza.
Mentre erano sottoterra, impararono a vivere lì e ad usare l’ambiente sotterraneo per il loro sostentamento, oltre a costruire comunità molto solidali ed amorevoli.
Alcune di queste aree sotterranee, una tra tante sotto il piede sinistro della sfinge d’Egitto, sono state scoperte di recente dagli archeologi.
I saggi e i santi avevano completato in parte il lavoro finale necessario per preservare parte della conoscenza.
A sostegno della reale esistenza di Lemuria, nel 1899, Frederick Spencer Oliver, uno scrittore americano di narrativa occulta, pubblicò “A Dweller on Two Planets”, un libro in cui affermava che i sopravvissuti di un continente sommerso, chiamato Lemuria, vivevano a Mount Shasta.
Il Monte Shasta, ovvero “Montagna Bianca“, con i suoi 4.321,8 mt di altezza, è uno stratovulcano (vulcano con forma generalmente conica, costituito dalla sovrapposizione di vari strati di lava solidificata, tefra, pomice e ceneri, e con ripidi pendii) attualmente quiescente, ma potenzialmente attivo, situato all’estremità meridionale della Catena delle Cascate in California.
Nel suo libro, Oliver affermava che i Lemuriani vivessero in una serie di complessi tunnel sotto la montagna, e che la gente del posto a volte vedeva queste creature vagare fuori dalla montagna in vesti bianche.
Anche Wisar Spenle Cerve, pseudonimo di Harvey Spencer Lewis, nel 1931 scrisse un libro sui Lemuriani nascosti del Monte Shasta, il quale ampliò la popolarità di questa leggenda.
Il cercatore d’oro britannico JC Brown, nel 1904, affermò di aver trovato una città sotterranea a 11 miglia di profondità nella stessa montagna, piena di oro, scudi e mummie, alcune delle quali erano alte 10 piedi.
Quando raccontò la sua storia, il gruppo formò una squadra di 80 persone per esplorare la montagna alla ricerca della città sotterranea ma, il giorno in cui la squadra doveva partire, JC Brown scomparve e non fu mai più ritrovato.
Secondo ‘The Lemurian Connection‘, un’associazione spirituale creata per fungere da punto focale, per riunire individui di tutto il Mondo, che hanno un interesse comune nella condivisione di informazioni ricevute da vari insegnamenti Lemuriani, 25.000 anni fa Atlantide e Lemuria erano le due civiltà più altamente civilizzate sulla Terra.
Ma qualcosa andò male.
Tra le due civiltà sorse un dissenso riguardo allo sviluppo ed all’evoluzione di altre civiltà.
I Lemuriani credevano, che le altre culture meno evolute dovessero essere lasciate sole, libere di continuare la propria evoluzione al proprio ritmo, secondo le proprie comprensioni e percorsi.
Invece, gli Atlantidei credevano, che le culture meno evolute dovessero essere controllate dalle due civiltà più evolute. La loro discussione sulle ideologie portò a diverse guerre termonucleari, che indebolirono entrambe le placche continentali.
Quando le guerre furono finite e la polvere si fu calmata, non ci furono vincitori, solo morte, distruzione ed ulteriore degradazione dello spirito umano, al punto che entrambe le parti si resero conto dell’inutilità di un tale comportamento.
Così, i Lemuriani decisero di costruire una società separata all’interno del Monte Shasta, dove sarebbero stati al sicuro da qualsiasi interruzione sulla superficie della Terra.
La città di Telos fu costruita all’interno del Monte Shasta e fu progettata per ospitare 200.000 Lemuriani.
Oggi si ritiene che Telos ospiti 1,5 milioni di Lemuriani all’interno del Monte Shasta.
E le credenze moderne dicono, che Lemuria può essere sentita e contattata attraverso pratiche spirituali.
I Lemuriani erano una razza spirituale altamente evoluta, quindi possono essere contattati tramite messaggi spirituali dai credenti ancora oggi.
Inoltre, si ritiene che i Lemuriani utilizzino cristalli, soprattutto il Quarzo ialino, come strumento di comunicazione,.
Cristalli che gli Antichi programmarono, per insegnare nel futuro i loro messaggi di unità e guarigione, e che oggi sono veramente molto utilizzati e venerati dai credenti Lemuriani moderni.
E non solo…
Marie Catherine Laveau nacque il 10 settembre 1801, anche se c’è una certa confusione riguardo all’anno di nascita.
Infatti alcuni documenti indicano che nacque nel 1794, ma comunque sia, da una donna africana libera e di colore di nome Marguerite D’Arcantel, e da Charles Laveau Trudeau, un politico francese bianco.
Nel 1819, Marie sposò un uomo creolo di Sainte-Domingue (oggi Haiti) di nome Jacques Paris, che era fuggito come rifugiato dalla rivoluzione haitiana il quale, secondo le cronache, ben presto scomparve e, in seguito, dichiarato morto.
Da quel momento, la donna iniziò a presentarsi come la “vedova Paris”.
In seguito, Marie iniziò una relazione con Jean Louis Christophe Duminy de Glapion, un nobile di origine francese, col quale ebbe diversi figli, alcuni dei quali morirono nelle epidemie di febbre gialla, che affliggevano New Orleans a quei tempi, a causa dello scarso sistema di drenaggio della città.
Nonostante la donna fosse una buona madre e moglie, gran parte dell’aiuto pratico le proveniva dai suoi figli spirituali e dalla comunità in generale.
Marie divenne una parrucchiera, per creare stabilità economica per sé e per la sua famiglia e, grazie ai contatti che aveva con i suoi clienti neri che erano domestici, veniva a conoscenza di informazioni personali sui suoi ricchi clienti bianchi, che spesso cercavano il suo consiglio.
Ella, quindi, utilizzava queste informazioni per fornire alle persone che glieli chiedevano, consigli utili e sapienti sui loro affari privati e personali cosicché, durante le sue consultazioni Voodoo con ricche donne orleaniane, la donna migliorava la sua immagine di chiaroveggente.
Così in molti, ricchi e politicamente benestanti, sia bianchi che neri, pagavano Marie per consigli personali, interventi in alcune situazioni e protezione contro qualsiasi energia malvagia, che avrebbe potuto essere messa contro di loro.
Bisogna ricordare che, all’epoca, in quelle zone era molto praticato il Vodou (o Vodu, Vodù, Vudù, Voodoo, Hoodoo) come sistema religioso, il quale derivava dalle pratiche spirituali del Dahomey, lo storico regno dell’Africa occidentale (attuale Benin).
Esso era il culto prevalentemente della popolazione nera discendente dagli schiavi deportati nell’isola di Haiti, dopo lo sterminio nel 1533 della locale popolazione india.
Nonostante il divieto del 1685, gli schiavi deportati mantennero i loro riti, che di fatto erano un fattore di identità culturale, religiosa e politica.
Vodou è in realtà una parola della popolazione Fòn, che significa “spirito” o “divinità” e come religione, fu portata a New Orleans, prima dal gruppo iniziale di africani ridotti in schiavitù, provenienti dall’Africa occidentale poi, arrivò una seconda ondata, dopo la “Rivoluzione di Sainte Domingue” (1791–1804).
Quindi, Marie Laveau, era un’erborista ed ostetrica rinomata di New Orleans, praticava il Rootwork, ovvero un sistema che combina la credenza nella causalità magica della malattia con le cure per stregoneria, ed una tradizione empirica che sottolinea la causalità naturale della malattia, con le cure per mezzo di erbe e medicine.
Inoltre, praticava l’evocazione e lo spiritualismo.
Marie, con l’aiuto del dottor John Bayou, un noto prestigiatore senegalese, che si occupava di rootwork, iniziò a dominare la cultura e la società del Vodou a New Orleans.
Per decenni, ella fu una donna molto potente, una regina, una madre per molti.
Le persone chiedevano il suo consiglio per affari coniugali, controversie domestiche, questioni giudiziarie, gravidanza, finanze, salute e buona fortuna.
La donna, a sua volta, consigliava i suoi praticanti, fornendo loro consigli o oggetti spirituali protettivi come candele, polvere ed un assortimento di altri oggetti mescolati insieme per creare un gris-gris (amuleto voodoo, che protegge chi lo possiede dalla sfortuna o attira su di sé la buonasorte).
Marie era nota per assistere i prigionieri condannati a morte ad alcuni dei quali, circolavano voci, avrebbe dato veleni o altre sostanze prima che andassero al patibolo, cosa che non è mai stata provata.
Ma, dopo la sua morte, sua figlia Marie Philomène affermò, durante un’intervista con un giornalista del Picayuneche che, durante queste visite, avrebbero avuto luogo solo tradizioni cattoliche e che sua madre avrebbe anche preparato l’ultimo pasto degli uomini e pregato con loro.
Marie qualche volta chiese anche la grazia o la commutazione delle condanne, per coloro che aiutava, avendo spesso successo nelle sue richieste.
Marie morì il 17 giugno 1881, serenamente nella sua casa, così come annunciato dal Daily Picayun.
Il suo funerale fu sontuoso, con la partecipazione di un pubblico eterogeneo, inclusi membri dell’élite bianca.
Subito dopo, si iniziò a raccontare, che molte persone l’avevano vista in città dopo la sua morte.
Il nome di Marie Laveau e la sua storia continuano ad essere circondati da un alone di mistero e da leggende, ispirando numerosi testi, rappresentazioni e musiche artistiche.
Anche se in molti l’additavano come “strega”, era anche chiamata “Sacerdotessa Voudou” e, soprattutto “Regina Voodoo”, titolo che indiscutibilmente mantiene ancora oggi, visto che molti seguaci del Voodoo della Lousiana, la pregano come se fosse uno spirito Lwa (spiriti intermediari tra l’umanità e Bondyé, una divinità creatrice trascendente), chiedendole favori e canalizzandola tramite la possessione degli spiriti.
Inoltre, ancora oggi alcuni lasciano offerte di elastici per capelli accanto alla targa nella sua ex casa al 1020 di St. Ann Street, doni che onorano la sua fama di parrucchiera.
Marie Laveau fu sepolta nel cimitero n. 1 di Saint Louis nella cripta della famiglia Laveau-Glapion (in tutto ci sono 3 cimiteri).
E di tutte le tombe elaborate, che si trovano a New Orleans, quella che attira il maggior numero di visitatori ogni anno, è proprio la sua.
C’è un’altra cripta nel cimitero n. 2, che è conosciuta come Wishing Vault o Voodoo Vault, dove i visitatori (illegalmente) disegnano “XXX” sulla sua lastra bianca, nella speranza che lo spirito di Marie esaudisca loro un desiderio, oltre a decorarla con cuori, pentagrammi, poesie ed iniziali.
Sebbene non ci siano prove reali, che si tratti effettivamente della tomba di Marie Laveau, centinaia di visitatori ogni anno compiono un pellegrinaggio regolare al sito dove, secondo la tradizione, lo spirito di Marie interverrebbe personalmente a chiunque lasci un’offerta di monete, perline del Mardi Gras, fiori, rum o candele.
Inoltre, vengono lasciate offerte di ciambelle alla statua di Sant’Espedito, che rappresenta lo spirito in piedi tra la vita e la morte, ritenendo che queste offerte accelerino i favori richiesti a Marie Laveau.
I giocatori d’azzardo gridano il suo nome, quando lanciano i dadi e sono state raccontate molteplici storie di avvistamenti della regina Voodoo.
La sua lapide ha più visitatori della tomba di Elvis Presley e, sebbene non sia ancora ufficialmente considerata una santa, c’è un forte movimento per far canonizzare Marie.
L’obiettivo principale del Voodoo della New Orleans di oggi è servire gli altri ed influenzare l’esito degli eventi della vita, attraverso la connessione con la natura, gli spiriti e gli antenati, aiutare gli affamati, i poveri ed i malati, proprio come faceva una volta Marie Laveau.
Molto probabilmente, dopo la morte di Marie, una delle sue figlie assunse la sua posizione, mantenendo il suo nome, e continuò la sua pratica magica, assumendo anche il ruolo di regina poco dopo la morte di sua madre.
Non si è mai saputo se sua madre abbia scelto il ruolo per sua figlia, o se Marie II abbia scelto di seguire le orme di sua madre, ma sembra che si assomigliassero molto fisicamente.
Ma, nonostante tutti i suoi sforzi, la figlia non ha mai eguagliato la fama di sua madre.
Apparentemente le mancava il calore e la compassione di sua madre, perché ispirava più paura e sottomissione.
Come la madre, iniziò come parrucchiera, finendo per poi gestire un bar e un bordello in Bourbon Street.
Marie II fu proclamata una “talentuosa mezzana”, in grado di soddisfare i desideri di qualsiasi uomo a pagamento.
Durante le sue sontuose feste, tenute alla Maison Blanche, si offrivano champagne, buon cibo, vino, musica e ragazze nere nude, che ballavano per uomini bianchi, politici e alti funzionari.
La donna, presumibilmente, morì annegata in una grande tempesta.
Una storia di fantasmi è un racconto spaventoso su fantasmi, spiriti o altri esseri soprannaturali, solitamente tramandata attraverso generazioni diverse.
Con queste storie si possono anche conoscere quali fossero le paure, le superstizioni e le credenze nelle diverse culture.
Racconti di ogni tipo possono aiutarci a capire come le persone in passato vedevano e comprendevano il mondo che li circondava.
E possono anche essere un modo divertente, per aiutarci a dare un senso alle nostre vite, ai nostri ambienti e a noi stessi.
Eccone alcune.
IL CORTILE DEI TESCHI DI PIETRA
Dietro Kirkgate (Edimburgo, Scozia) ci sono i resti di un vecchio fienile e di una stalla, che appartenevano al pub Crown and Fleece.
Oggi, il pub non c’è più, ma il posto è conosciuto da molti anni come “Skull and Stones Yard”, sapete perché?
Si racconta che due uomini stavano bevendo nel pub Crown and Fleece, in un inverno del 1800.
Ad un certo punto, arrivò la “press gang”, ovvero un gruppo di persone inviate dalle forze militari, solitamente la Marina militare, per costringere gli uomini all’arruolamento forzato e senza preavviso, che usava tra l’altro metodi brutalità.
Questi due uomini furono rinchiusi nel fienile durante la notte, ma quando la porta fu aperta, la mattina successiva, non si vedevano da nessuna parte.
La macabra verità divenne nota subito dopo: l’odore dei corpi in decomposizione crebbe e dopo pochi giorni i corpi degli uomini furono ritrovati sotto il fieno.
A quanto pare, erano erano rimasti soffocati ,dopo aver cercato di tenersi al caldo sotto il fieno.
Dopo la tragedia, il padrone di casa del pub eresse una pietra speciale, scolpita con due teschi, per commemorare gli uomini che vi erano morti.
E da allora, il luogo è conosciuto come Skull and Stones Yard.
Si dice che ancora oggi i fantasmi dei morti infestino gli edifici.
I FANTASMI DI TEMPLE NEWSAM
Temple Newsam è un quartiere di Leeds una cittadina nello Yorkshire occidentale, in Inghilterra, e prende il nome da una casa Tudor-Jacobean con annessa un’enorme tenuta.
Si narra che Temple Newsam ospiti diversi fantasmi, inclusi quelli di Phoebe Grey e Mary Ingram, quest’ultima la famosa “Blue Lady“.
Ma andiamo con ordine.
Phoebe Grey era una giovane cameriera, che nel 1704 lavorava nella grande casa Tudor, la notte in cui si svolgeva una festa, per celebrare la vittoria del duca di Marlborough nella battaglia di Blenheim.
A Williams Collinson, uno degli altri domestici della casa, piaceva smodatamente Phoebe e la tormentava da tempo. La giovane, in realtà, non aveva mai incoraggiato, né ricambiato nessuno dei suoi gesti affettuosi, ma lui non si era lasciato scoraggiare.
Tutto giunse al culmine, come narravo poc’anzi, dopo la battaglia di Blenheim nel 1704, in cui il duca di Marlborough ottenne una ridondante vittoria sui Francesi.
La vittoria di Blenheim era di enorme importanza per la Gran Bretagna e per festeggiare, quindi si stava tenendo una grande festa all’aperto nel parco di Temple Newsam. Sia Phoebe che William erano lì insieme a tutti gli altri servitori e partecipanti alla festa.
Durante la serata, Collinson aveva bevuto molto, ubriacandosi.
Phoebe, al termine della festa, invece era andata a prendere un bicchierino da Nanny Backhouse, come faceva sempre ogni sera.
La ragazza tornò, dopo aver preso il drink, al piano di sopra nella sua stanza, che si trovava in cima ad una lunga scala di pietra.
Collinson conosceva bene questa routine e si nascose nell’ombra, aspettando Phoebe, sperando di poterle rubare un bacio.
Come puoi immaginare, le scale erano molto buie e ombrose a lume di candela.
Mentre l’ignara ragazza scendeva innocentemente le scale, l’uomo saltò fuori dal suo nascondiglio e l’afferrò.
Phoebe lottò, ma Collinson era forte e la tenne stretta, mettendole la mano sulla sua bocca, per soffocare le sue grida.
Essendo ubriaco, non si rese conto che stava soffocando Phoebe, finché non fu troppo tardi e lei morì.
L’uomo iniziò a pensare a come nascondere il suo crimine. Il suo piano era di mettere il corpo della ragazza nel pozzo nelle cantine, e così fece.
Il mattino dopo, il corpo fu ritrovato e la gente si rese presto conto che Collinson era scomparso.
Quindi iniziò la sua ricerca, finché fu trovato ubriaco fradicio in una città vicina.
L’omicida fu poi portato a York, dove venne processato per l’assassinio, ritenuto colpevole ed impiccato.
Da quella notte, gli abitanti del luogo, i visitatori ed i cacciatori di fantasmi asseriscono di sentire le urla di Phoebe Grey risalire dalla cantina e giù per le scale di pietra, seguite dal rumore sordo del tonfo, e del trascinamento, gradino per gradino, del corpo della povera ragazza.
Passiamo al racconto dell’altra fanciulla: Mary Ingram, la “Signora Blu”, il cui ritratto è appeso nella splendida stanza Gothick della Temple Newsam House.
Nel XVII secolo, la giovane Mary Ingram vivema in quella magnifica tenuta e, all’età di appena 14 anni, vi stava ritornando dopo una festa, quando la sua carrozza cadde in un’imboscata da parte di una banda di spietati banditi vicino a Garforth.
Gli uomini le rubarono tutti i beni, inclusa la sua collana preferita, un regalo di battesimo di suo nonno Sir Arthur, cosa che lasciò la giovane Mary completamente sconvolta.
Tornata a piedi a Temple Newsam, dopo essere sfuggita agli assalitori, la fanciulla crolloò sul letto, svegliandosi il giorno successivo, senza alcun ricordo del furto e convinta di aver perso la preziosa collana di perle.
Cercando forsennatamente in tutta la casa, fece di tutto, dallo staccare i cuscini al sollevare le assi del pavimento, nel tentativo di ricongiungersi con il ninnolo perduto, e diventando così ossessionata dal trovarlo, che si rifiutava di mangiare o bere.
Purtroppo, solo due settimane dopo Mary, talmente traumatizzata, morì nel suo letto di “isteria” e, ormai da secoli si racconta, che il suo spirito infelice continui a vagare per la casa, alla continua ricerca dei suoi gioielli scomparsi.
La sua storia ha dato origine alla leggenda di “The Blue Lady”, che è stato uno dei racconti più da brivido di Leeds per generazioni.
Da quel periodo, fino ancora ad oggi, furono fatte segnalazioni di strani scricchiolii, improvvisi soffi d’aria fredda e strani movimenti increspati nel tappeto, oltre ad innumerevoli avvistamenti di una Mary in lutto e singhiozzante, che vaga per Temple Newsam House e il parco, alla ricerca delle sue perle…
GABBLE RATCHETS
Un tempo, nel nord-est dell’Inghilterra, si parlava di cani fantasma, i quali erano variamente conosciuti come Barghest, Black shuck, Padfoot, Trash, Guytrash, Skriker, Boggard, Langar-hede o Tatter -foal.
Però, di questi il nome più comune era “Barghest”, che deriva da “Beorh-ghost” (Fantasma del tumulo), ovvero uno spirito che custodisce il tumulo.
Il tumulo è un monticello di terra e pietre, spesso di grandi dimensioni, posto sopra una o più sepolture, a formare una specie di collina artificiale, ed è spesso mitizzato come il mito del drago a guardia del tesoro sotterraneo.
Il Barghest di solito assumeva la forma di un enorme cane nero, delle dimensioni di un pony, con grandi occhi rossi che brillavano come lampade.
Vederne uno presagiva “calamità e morte”, ed era una credenza che si ritrovava nella maggior parte delle storie locali nei villaggi o città del nord dello Yorkshire, ed anche Leeds, Halifax, Barwick-in-Elmet, Stillingfleet e altri posti.
Nello Yorkshire, i ” Gabble Ratchets ” erano i rumorosi fantasmi di bambini non battezzati, che assumevano la forma di questi cani neri ululanti ed infestavano i cimiteri.
Un’antica leggenda popolare era che le anime dei bambini morti prima di essere battezzati sarebbero tornate a perseguitare i loro genitori, sotto forma di cani-diavolo conosciuti come Gabble Retchets.
Dopo il blocco a causa della luce del giorno, quando arrivava la notte, arrivavano i Gabble Retchets, segugi fantasma, cani-diavolo che volavano nel cielo notturno a caccia di anime perdute, o depredavano gli spiriti dei vivi.
In alcuni racconti accompagnano la Caccia Selvaggia (Wild Hunt), correndo ed ululando davanti agli zoccoli dei cavalli.
La Caccia Selvaggia era un inseguimento guidato da una figura mitologica scortata da un gruppo spettrale o soprannaturale di cacciatori, in questo caso i cani Gabble Retchets, impegnati nell’inseguimento.
Questi cacciatori erano generalmente le anime dei morti o appunto dei cani spettrali, ma altre volte anche Fate, Valchirie o Elfi.
Vedere un Gabble Retchets era di cattivo auspicio, e chi lo vedeva avrebbe rischiato la morte, mentre il solo sentirne parlare avrebbe potuto portare la follia.
Solitamente i Gabble Retchets andavano in branco, ma a volte c’erano anche singoli cani, che infestavano la brughiera.
Il più mostruoso di tutti era Barguist, un terrificante cane nero con occhi luminosi, le cui mascelle gocciolavano fuoco.
JAN TREGEAGLE, L ‘EBREO ERRANTE DELLA CORNOVAGLIA
Jan Tregeagle, il grande fantasma gigante della Cornovaglia, era un amministratore di un signore, il barone Robartes, e lasciato per troppo tempo a capo delle terre del suo padrone, si riempì le tasche e derubò i poveri fittavoli delle fattorie.
Divenne molto ricco, ma la sua reputazione era così cattiva, che la gente diceva che aveva venduto la sua anima al diavolo, in cambio di più della sua giusta quota di beni del mondo.
Oltre a questo, pare che un tempo fosse anche un magistrato ed avvocato della Cornovaglia, famoso per i suoi atti malvagi e disumani, incluso l’omicidio di sua moglie.
Alla fine morì e fu sepolto nella chiesa di St. Breoke, ma la sua anima non doveva riposare.
Un giorno, Lord Robartes tornò nella sua tenuta per fare i conti e nel registro degli affitti scoprì, che Tregeagle non aveva segnato una croce sul registro in corrispondenza di una certa fattoria, per dimostrare che l’affitto era stato pagato.
Il povero contadino insisteva di avere debitamente pagato all’amministratore e chiedeva a gran voce l’apparizione di Tregeagle, che fosse convocato per confermarlo.
Allora, ad un certo punto ci fu un tuono in alto e la stanza divenne nera come la mezzanotte.
Man mano che tornava la luce, apparve la figura di Tregeagle, il quale testimoniò, vincolato da un giuramento sulla sacra Bibbia, che il contadino aveva effettivamente pagato l’affitto, sebbene non avesse segnato il libro.
Quindi il buon uomo fu autorizzato a tornare a casa.
Ma, una volta riportato in vita, Tregeagle non poteva essere bandito.
Lo spirito dell’uomo rifiutò di scendere all’Inferno, dove Satana lo stava aspettando per tormentarlo; e non poteva andare in Paradiso a causa di tutti i suoi peccati passati.
Ogni notte il diavolo ed i suoi cani lo inseguivano in giro per la parrocchia.
Le sue grida di dolore e le sue richieste di pietà turbarono così tanto il signore ed il popolo, che il parroco decise di aiutare sia Tregeagle che gli abitanti del villaggio.
Quindi, con i suoi fratelli, uomini di chiesa, ordinò che il fantasma dell’amministratore fosse portato a Dozmary Pool, un piccolo lago senza fondo, in alto nelle brughiere, dove avrebbe dovuto lavorare incessantemente ogni notte, per tirare fuori l’acqua con un guscio di patella (mollusco) che aveva un buco.
Finché avesse lavorato così, sarebbe stato al sicuro dal diavolo e dai segugi infernali ma, se durante la notte si fosse fermato una volta, avrebbero potuto prenderlo.
Per anni Tregeagle lavorò lì e Satana cercò in ogni modo di impedirgli di lavorare, in modo che potesse rendere schiava la sua anima.
Temporali, palle di fuoco, terremoti, uragani e grandinate: nessuno sembrava poterlo distrarre o fermare il suo lavoro ma alla fine, in una notte molto buia, uno dei segugi infernali balzò abbastanza in alto da far cadere il guscio della patella dalla mano di Tregeagle.
Il fantasma scappò attraverso la brughiera urlando, fuggì torturato con il branco del diavolo alle calcagna.
Arrivò a Roche Rock, e vi cercò rifugio infilando la testa attraverso la finestra della cappella, che il santo San Gonand aveva eretto in alto sulla roccia.
A quel punto, gli spiriti maligni dovettero indietreggiare, mentre lui si trovava su un terreno santificato, ma fecero un tale lamento e ringhio, che la gente di Roche non riuscì a dormire.
L’eremita di quella cappella pregò che Tregeagle fosse trasferito altrove, venne esaudito e l’abate di Bodmin bandì il fantasma sulle spiagge sabbiose lungo il fiume Camel di fronte a Padstow.
Lì gli fu affidato il compito di tessere corde dalla sabbia, un altro compito interminabile, perché ogni volta che aveva fatto un buon filato, la marea si alzava e lo lavava via.
Una notte, mentre trasportava un sacco di sabbia molto pesante, scoppiò un improvviso temporale; perso l’equilibrio, il gigante-fantasma inciampò e cadde, riversando tutta la sabbia nella foce del fiume, formando così il Loe Bar e il Loe Pool, due laghi che sono così ancora oggi, impedendo alle navi di salpare fino a Helston, come facevano in passato.
Le grida e le urla di Tregeagle divennero più gravi che mai, distruggendo la pace nella città di Padstow.
Così ancora una volta fu rimosso, questa volta dallo stesso San Petroc, che con un potente incantesimo lo legò all’estuario del fiume Cober sotto Helston.
Qui doveva trasportare sacchi di sabbia da Bareppa attraverso il fiume a Porthleven, finché la spiaggia non fosse stata completamente sgombrata.
Ma le correnti trascinavano la sabbia indietro ogni giorno; e così un’altra città fu turbata dagli ululati senza fine di Tregeagle.
Alla fine fu mandato sulla punta estrema di Land’s End, a spazzare la sabbia dalla spiaggia di Porthcurno intorno a Tol-Pedn-Penwith nella baia di Nanjizal.
Lì poche persone avrebbero potuto udirlo.
Da allora, Tregeagle lavora velocemente, combattendo contro il mare e la marea che riportano indietro la sabbia.
Tutto ciò continuerà fino al Giorno del Giudizio, a meno che non fallisca ancora o si addormenti, in modo che Satana ed i suoi segugi infernali possano finalmente portarlo sotto.
Se passate da lì, fate attenzione…
Atlantide, dal greco antico “Isola di Atlante”, è un’isola leggendaria, citata per la prima volta da Platone, nei suoi dialoghi “Timeo” e “Crizia”, nel IV secolo a.C.
Chiamata anche Atlantis, Atalante o Atlantica, si dice che si trovasse nell’Oceano Atlantico, ad ovest dello Stretto di Gibilterra (antiche Colonne d’Ercole) ed è stata oggetto di fascino tra filosofi e storici occidentali per quasi 2.400 anni.
Crizia, in un dialogo di Platone, dice di aver sentito la storia di Atlantide da suo nonno, che l’aveva ascoltata dallo statista ateniese Solone (300 anni prima del tempo di Platone) che, a sua volta, l’aveva appresa da un sacerdote egiziano, che risaliva a 9.000 anni prima.
In un passato molto lontano, nell’Oceano Atlantico, appena oltre le Colonne d’Ercole (odierno Stretto di Gibilterra) esisteva una grande isola, più estesa della Libia e dell’Asia Minore messe insieme.
Essa apparteneva a Poseidone (Nettuno), il quale si era innamorato di una giovane donna dell’isola, di nome Cleito e l’aveva sposata.
Poseidone costruì una città sull’isola e su una montagna al centro della città fece costruire un palazzo per Cleito.
La coppia ebbe dieci figli e col tempo Poseidone divise tra loro l’isola, dando a ciascuno una sezione da governare, prediligendo il figlio Atlante, il quale portava anche il nome dell’Oceano che la circondava.
Atlantide era un paradiso: nessuno doveva lavorare sodo, lì cresceva ogni tipo di cibo meraviglioso e gli animali abbondavano.
Poseidone aveva creato un flusso di acqua calda e un flusso di acqua fredda per l’isola.
In quel meraviglioso luogo c’era una cultura gloriosa con mirabili palazzi e templi.
I re erano ricchi di oro, argento ed altri metalli preziosi, e il popolo di Atlantide viveva in un’Età d’oro di armonia ed abbondanza.
Poi le cose cominciarono a cambiare.
Gli Dei iniziarono a sposarsi con gli umani, gli Atlantidei divennero avidi più di quanto non fossero già e decisero di conquistare le terre intorno al Mediterraneo.
Infatti, man mano che gli Atlantidei diventavano potenti, la loro etica declinava.
“Quando la parte divina cominciò a svanire, e si diluì troppo spesso e troppo con la mescolanza mortale, e la natura umana prese il sopravvento, essi allora, non poteva sopportare che la loro fortuna si comportasse in modo sconveniente, e a colui che aveva occhio per vedere divenne visibilmente svilita, perché stavano perdendo il più bello dei loro doni preziosi; ma a coloro che non avevano occhio per vedere la vera felicità, apparivano gloriosi e benedetti proprio nel momento in cui erano pieni di avarizia e di potenza ingiusta”.
Quindi i loro eserciti alla fine conquistarono l’Africa fino all’Egitto e l’Europa fino al Tirreno (Italia etrusca), prima di essere respinti da un’alleanza guidata dagli Ateniesi.
Irritato dal comportamento degli Atlantidei, Zeus mandò una serie di terremoti, inondazioni ed incendi, che fecero sprofondare Atlantide in un mare fangoso, nel corso di un giorno e di una notte, facendola scomparire.
Indipendentemente dal fatto che Platone credesse o meno alla propria storia, il suo intento nel raccontarla sembra essere stato quello di rafforzare le sue idee di una società ideale, usando storie di antiche vittorie e calamità, per richiamare alla mente eventi più recenti come la guerra di Troia o la disastrosa invasione di Atene in Sicilia nel 413 a.C.
Infatti la descrizione della cultura di Atlantide era avanzata ed aveva una costituzione sospettosamente simile a quella delineata nella sua opera “Repubblica“.
Studiosi del Medioevo e del Rinascimento credevano che Platone stesse raccontando un evento reale ed erano curiosi di trovare la posizione di Atlantide.
Infatti, dopo la scoperta delle Americhe, alcuni Europei fecero un collegamento tra le terre appena trovate ed Atlantide ed alcuni pensavano che i nativi americani potessero essere discendenti del popolo di Atlantide fuggito dalla loro isola distrutta.
La leggenda di Atlantide ispirò scrittori e pensatori.
Sir Francis Bacon, filosofo inglese del 1600, scrisse una favola politica intitolata “La Nuova Atlantide”, nel quale descriveva un mondo ideale.
Nel 1800, Atlantide riguadagnò popolarità, quando studiosi e scrittori popolari cercarono di utilizzare prove scientifiche per sostenere la sua esistenza.
Molti, tuttavia, utilizzarono solo le prove che supportavano le loro idee, opportunamente ignorando il resto ma, nonostante ciò, la leggenda persiste.
Addirittura, persone provenienti da terre come la Scozia, la regione basca della Spagna e la Scandinavia, hanno rivendicato gli Atlantidei come loro antenati.
Una città di nome Atlantide potrebbe non essere mai esistita sopra o sotto il mare in tempesta, ma ci sono state diverse città nella storia, che si sono ritrovate sommerse dall’oceano.
Per esempio, dagli anni ’60, studi geologici, meteorologici ed archeologici hanno avuto la tendenza a supportare la leggenda, ipotizzando che Atlantide fosse in realtà l’isola di Thera nel Mar Mediterraneo, vicino all’isola di Creta.
Thera (ora chiamata Thíra) era una delle colonie della ricca civiltà minoica di Creta, dove i Minoici avevano costruito lussuosi palazzi e templi e da lì commerciavano in tutto il Mediterraneo.
Geologi e meteorologi hanno stabilito che, intorno al 1470 a.C., il vulcano di Thera eruttò e parte dell’isola affondò nel mare.
Essi hanno studiato Thíra, trovando i resti di una grande città minoica costruita attorno al vulcano, corredata da un palazzo e corsi d’acqua, che sembrano corrispondere alla pianta generale descritta da Platone.
Oppure, all’inizio degli anni 2000, i subacquei al largo della costa settentrionale dell’Egitto hanno scoperto la città di Thonis-Heracleion.
Essa era un importante centro marittimo e commerciale nel mondo antico, una città portuale nota agli storici dell’antica Grecia, oltre ad essere il principale emporio dell’Egitto, fino a quando non fu sostituita da Alessandria, situata a 15 miglia a sud-ovest, nel II secolo a.C.
Comunque sia, il segno più evidente che Atlantide sia un mito, è che nessuna traccia di essa è mai stata trovata, nonostante i progressi nell’oceanografia e nella mappatura dei fondali oceanici negli ultimi decenni.
Per quasi due millenni, le persone hanno sperato e sospettato, che le vaste profondità marine avrebbero potuto in qualche modo nascondere una città o un continente sommerso.
E, sebbene rimanga molto mistero sul fondo degli oceani del mondo, è inconcepibile che gli oceanografi, i sottomarini e le sonde di acque profonde mondiali non abbiano in qualche modo avvistato o rilevato una massa continentale “più grande della Libia e dell’Asia insieme”.
Oltre al fatto che la tettonica a placche dimostra che Atlantide è immaginaria, poiché i continenti sono andati alla deriva, il fondo marino si è esteso nel tempo, non si è contratto quindi, semplicemente, non ci sarebbe un luogo in cui essa avrebbe potuto sprofondare.
D’accordo, ma perché non continuare a sognare?
Isobel Gowdie è considerata come una delle figure più influenti e più famose di Scozia, nella storia della Stregoneria del ‘600, ma andiamo con ordine…
Auldearn era sempre stato un sonnolento villaggio scozzese delle Highland, il tipo di posto da cui potresti passare senza nemmeno accorgertene.
Tuttavia, nel 1645, con la “Battaglia di Auldearn”, nella quale furono uccisi oltre 2.000 Covenanti*, attraversò un periodo turbolento, che gli fece guadagnare il suo posto negli annali dell’oscura storia della Scozia.
*I Covenanti erano i membri di un movimento politico e religioso sorto in Scozia nel XVII secolo, così chiamati, durante la Guerra civile inglese, in quanto seguaci del Covenant, una specie di professione di fede religiosa nazionale.
In seguito, nel 1662, Auldearn divenne teatro di una delle più bizzarre ‘Cacce alle Streghe’, con le confessioni di Stregoneria di Isobel Gowdie, tra le più straordinarie mai registrate.
Per la cronaca, non è stato facile passare le informazioni riguardanti Isobel Gowdie, in quanto probabilmente c’è più mito e fantasia che realtà.
Ma vediamo di saperne di più.
Isobel era una giovane ed attraente donna dai capelli rossi, sposata con John Gilbert, che non ha alcun coinvolgimento nel caso di Stregoneria, alla presumibile età di 15 anni, all’epoca età legale per contrarre matrimonio.
Però, l’età media per sposarsi in Scozia, durante questa epoca, era di ventisei o ventisette anni.
Si presume che, all’epoca dei fatti di seguito narrati, ella avesse un’età indicativa tra i 40 ed i 50 anni.
Isobel e suo marito vivevano a Loch Loy, circa due miglia a nord di Auldearn e, molto probabilmente suo marito era un bracciante agricolo, forse un contadino assunto da uno dei fittavoli del Laird of Park e Loch Loy, un certo John Hay.
Come casale, Hay aveva fornito alla coppia un cottage ed un appezzamento di terreno, dove Isobel aiutava il marito a vendere “manzo” e ragnatele di stoffa, per “argento a buon prezzo” al mercato locale.
Secondo i racconti, la donna trascorreva le giornate mungendo le mucche, cuocendo il pane, diserbando e filando.
Infatti, i registri locali dell’epoca indicano, che gli inquilini del Laird of Park coltivavano lino per la vendita.
Nonostante Isobel non fosse in grado di leggere o scrivere, possedeva una buona immaginazione e sapeva esprimersi in modo eloquente, cosa che probabilmente la distingue dagli altri processi alle Streghe dell’epoca, proprio per il volume della sua confessione.
La descrizione delle sue confessioni scivolò nell’oscurità per quasi duecento anni, fino a quando furono pubblicate nel 1833, in “Ancient Criminal Trials in Scotland” di Robert Pitcairn.
Sebbene le confessioni siano state rapidamente diffuse, i documenti originali sono scomparsi, venendo ritrovati solo due secoli dopo negli archivi nazionali della Scozia, in una scatola di carte non catalogata, un tempo appartenente al padrone di casa di Isobel, il Laird of Park.
Nel giro di un mese e mezzo, Isobel confessò quattro volte la sua Stregoneria.
1) 13 Aprile 1662: La donna descrive un incontro con il Diavolo, da lei organizzato, di notte nella chiesa di Auldearn. In quell’occasione, la donna ha rinunciato al suo battesimo e il Diavolo le ha messo un segno sulla spalla, succhiandole il sangue da essa. Inoltre, Isobel ha parlato di altri partecipanti al rito, tra cui Janet Breadhead e Margret Brodie. Ha menzionato di avere avuto rapporti sessuali con il Diavolo, che ha descritto come un “uomo grande, nero, massiccio” molto freddo. Questo essere aveva piedi biforcuti e spaccati, che occasionalmente erano coperti da scarpe o stivali. La donna ha spiegato che delle scope erano state poste sul suo posto nel letto accanto al marito, per impedirgli di notare che era lei fosse assente. Questa congrega mangiava e beveva il miglior cibo nelle case in cui arrivava, volando in aria su cavalli magici ed entrando dalle finestre. A Downie Hill erano stati intrattenuti dalla Regina delle Fate, conosciuta anche come la regina di Elphame. Inoltre, afferma di essersi trasformata in una taccola (uccello passeriforme appartenente alla famiglia dei corvidi) e che altri membri della congrega si siano trasformati in gatti e lepri.
2) 3 Maggio 1662: In questa confessione, Isobel ricorda i soprannomi dei membri della sua congrega e di tutti gli spiriti che servono. Il suo stesso spirito servitore, vestito di nero, era conosciuto come il Read Reiver. In questa occasione, la donna rivendica la loro capacità di trasformarsi in animali, con canti individuali usati per trasformarsi in un gatto, cavallo o vari altri animali. Nel corso delle sue confessioni, ha pronunciato un totale di ventisette canti benevoli o malevoli, ovvero più che in qualsiasi altro caso di Stregoneria britannica.
3) 15 Maggio 1662: La trascrizione, come la sua prima e la seconda confessione, inizia descrivendo in dettaglio il suo patto con il Diavolo, dopo che lei lo ha incontrato nella chiesa di Auldearn. Continua, narrando come, mentre era nella forma di taccola, fosse inseguita da un branco di cani, quindi era corsa di casa in casa, finché non aveva avuto l’opportunità di pronunciare il canto, per trasformarsi di nuovo in un essere umano. Dice che, quando una Strega assumeva la forma di una lepre, i cani potevano morderla ma, mentre non potevano ucciderla quando era in fase Mutaforma, i segni dei morsi e le cicatrici sarebbero rimaste visibili una volta ripristinata la forma umana.
4) 27 Maggio 1662: Ultima confessione, nella quale Isobel sostanzialmente conferma le tre testimonianze precedenti, mentre il Tribunale tenta anche di ottenere maggiori informazioni sui membri della congrega, al fine di portare accuse contro di loro. A seguito delle dichiarazioni di Janet Breadhead ed Isobel Gowdie, 41 persone vengono state arrestate.
Naturalmente, Isobel non confessò di sua spontanea iniziativa, ma sembra che almeno sfuggì agli orrori della tortura giudiziaria o della tortura fisica illegale dell’epoca.
Pare probabile che sia stata sottoposta agli orrori della privazione del sonno, anche se si sospetta che possa anche aver subito un’umiliazione di fronte ad un ‘pungitore di Streghe’, uno che all’epoca era noto per essere attivo a Moray e che si chiamava John Dickson.
In seguito, si scoprì che il signor Dickson era in realtà una donna, di nome Christian Caddell, la quale fu deportata alle Barbados nel 1663, per il suo comportamento fraudolento.
Comunque, può apparire strano alla mentalità moderna, che qualcuno si potesse alzare spontaneamente in tribunale e confessare di aver stretto un patto con il Diavolo, o di aver eseguito un rituale o un incantesimo, causando la morte di un bambino, e così firmare la propria condanna a morte.
Eppure molti lo fecero…
Altri invece furono sottoposti alle torture in uso all’epoca:
˜ TORTURA GIUDIZIARIA- era l’applicazione della coercizione fisica nell’ambito del procedimento giudiziario, per estorcere una confessione, ma solo con il permesso concesso dal Privy Council (Consiglio privato di Sua Maestà). Ciò includeva anche l’uso di viti a testa zigrinata e lo stivale di ferro. La maggior parte dei casi di Stregoneria si svolgevano nei tribunali della Chiesa, che però non sono mai stati legalmente autorizzati ad usare la tortura diretta per ottenere una confessione. Nonostante ciò, è provato che i dispositivi di tortura erano usati illegalmente.
˜ MARCHIO DI STREGA O PUNGITORE- questo metodo era considerato legale e c’erano persone appositamente impiegate per ciò. Il pungitore doveva cercare come segno del Diavolo, un punto sul corpo della presunta Strega, in cui uno spillo poteva essere infilato senza sanguinamento o dolore. Ciò era visto come una prova che la Strega aveva stretto un patto con il Diavolo, ottenendo poteri per causare il “maleficium”. Il pungitore iniziava spogliando la vittima e radendola dalla testa ai piedi. Quindi si infilava più volte un oggetto (spesso era una rozza spilla fatta a mano, molto spessa e lunga molti centimetri) nelle carni della vittima, fino a trovare il punto giusto. A volte la vittima sveniva durante l’esperienza ed era incapace di gridare dal dolore. In altri casi, parti del corpo si martoriavano fino all’intorpidimento. E molto spesso, il pungitore di Streghe usava una lama retrattile, in modo che potesse sembrare che lo spillo fosse entrato nella carne dell’accusato, quando in realtà la lama era stata ritirata nell’asta del manico. La maggior parte delle vittime accusate erano donne, che venivano spogliate nude in pubblico e maneggiate su tutto il corpo, un umiliante abuso sessuale. Così tante confessavano pur di farlo smettere.
˜ PRIVAZIONE DEL SONNO- L’imputato era tenuto in isolamento e sorvegliato dalle guardie. Questa non era considerata una tortura, e probabilmente era il mezzo con cui la maggior parte degli accusati di Stregoneria furono dichiarati colpevoli. Uno degli effetti più pronunciati della privazione del sonno erano le allucinazioni.
˜ CONDIZIONI CARCERARIE DURE- Era inclusa la mancanza di cibo e calore, oltre ai vari maltrattamenti da parte delle guardie, comprese le percosse.
˜ VIOLENZA DELLA FOLLA
˜ MINACCIA DI UNA ESECUZIONE CRUDELE
Tra i vari racconti di Isobel circa le sue esperienze stregonesche, ce ne sono alcuni sulle Fate.
La donna ha affermato di essere andata sulla collina di Downie, e di aver banchettato con il re e la regina delle fate.
Il re era un simpatico uomo dalla faccia larga, mentre la regina era vestita con delle lenzuola bianche.
Quando era lì, Isobel si è spaventata molto per i “Tori d’acqua”, creature mutaforma che possono trasformarsi con sembianze umane, che ha incontrato.
Isobel, trasformatasi con sembianze di un corvo, poi si è intrufolata nelle cantine e nelle cucine dei castelli e delle case di quel luogo, per mangiare il loro cibo, rubare la birra dai barili ed eseguire rituali magici.
Ha affermato di aver viaggiato verso la “Casa degli Elfi”, dove ha visto giovani Elfi che intagliavano teste di frecce elfiche.
Lei e le sue compagne hanno fatto degli incantesimi con cannucce di mais poi, gridando “Cavallo e Cappello nel nome del diavolo!” sono volate in aria, sparando frecce di elfo ai passanti.
Poiché non avevano archi, le frecce venivano lanciate con un colpo sul pollice.
Isobel ha raccontato, che la sua congrega aveva ucciso molte persone con queste frecce, poiché la morte era inevitabile se si veniva colpiti da una di esse.
Inoltre, ha confessato di aver fatto almeno una trentina di incantesimi, tra cui quelli di trasferimento di malattia, in cui un individuo viene curato, deviando la sua malattia su qualcuno o qualcos’altro.
Isobel ha descritto un rituale, in cui una malattia è stata trasferita da un bambino stregato alla cintura della sua culla e poi su un gatto o un cane.
Ha narrato, quindi, di aver fatto anche rituali ed incantesimi per guarire le persone, tanto che parecchi la vedevano come una sorta di “donna saggia” che, in assenza di dottori, si dedicava alle esigenze mediche dei poveri.
Non esiste una documentazione circa l’esecuzione di Isobel, e non è una cosa insolita visto che, a quei tempi, circa il novanta per cento degli esiti dei processi alle Streghe scozzesi non veniva conservato con cura.
E’ molto probabile, comunque, che Isobel Gowdie e Janet Breadhead siano state giudicate colpevoli in un processo locale tenutosi a metà luglio poi, di conseguenzao al verdetto, siano state trasportate su un carro a Gallowhill, alla periferia di Nairn, dove sarebbero state strangolati e bruciate.
All’epoca si usava bruciare il corpo defunto di chi era ritenuta Strega, per evitare qualsiasi tipo di Stregoneria post mortem.
Inoltre, l’esecuzione doveva essere pubblica, con l’intera comunità costretta a partecipare, per testimoniare i fatti.
Isobel Gowdie ha raggiunto la notorietà anche in tempi moderni, essendo stata oggetto di numerose opere tra cui:
• La confessione di Isobel Gowdie (1990), un acclamato pezzo orchestrale di James Macmillan.
• L’amante del diavolo (1915), un romanzo di John Brodie-Innes.
• The Drowning Pond (2005), un romanzo di Catherine Forde.
• Isobel (1977), un romanzo di Jane Parkhurst.
• Night Plague (1994), un romanzo di Graham Masterton.
• The Witch of Auldearn (2007), un’opera teatrale di John Lawson.
• Isobel Gowdie (1972), una canzone dei Sensational Alex Harvey Band, dal loro album “Frame”.
Insomma, Isobel è diventata così famosa, non solo per la sua capacità di lanciare incantesimi e profetizzare, oltre a predire il futuro guardando nelle tazze da tè delle persone, o leggendo i palmi delle loro mani.
A volte veniva chiamata “Isobel dalla barba lunga”, per i suoi lunghi capelli bianchi, oppure “Green Lady” per la sua dimestichezza nel maneggiare ed utilizzare le proprietà delle piante.
Fatto sta, che il suo fantasma perseguita ancora l’area intorno ad Auldearn, come raccontano diverse testimonianze.
State attenti…
ROSANIA FULGOSIO, IL FANTASMA DEL CASTELLO DI GROPPARELLO
Scritto da MadameBlatt
scritto da MadameBlatt
Gropparello è un Comune italiano situato in provincia di Piacenza, in Emilia-Romagna.
Il suo nome deriva dal longobardo ‘Groppo’, col significato di ‘formazione rocciosa tondeggiante’.
In cima ad uno sperone roccioso, su uno strapiombo che domina il torrente Vezzeno, formando un orrido di circa 85 metri di altezza, sorge il Castello di Gropparello, praticamente inespugnabile nei secoli, vista la sua posizione strategica.
Chiamandosi anticamente Rocca di Cagnano, intorno all’840, divenne di proprietà della Chiesa piacentina, quando il vescovo di Piacenza, Giuliano II, si recò a dorso di mulo fino ad Aquisgrana, per chiedere all’imperatore Carlo Magno la concessione di un feudo, che comprendeva appunto anche il Castello di Cagnano.
In seguito, nel periodo della guerra tra Guelfi e Ghibellini, appartenendo il Castello al vescovo, naturalmente guelfo, e rappresentando l’unica roccaforte guelfa nel territorio piacentino, divenne teatro dei terribili scontri, anche se i soldati lo attaccavano malvolentieri, non volendo commettere un sacrilegio.
Nel 1200, il maniero divenne dimora privata della potente famiglia guelfa dei Fulgosio, per lascito dell’allora vescovo di Piacenza, Filippo Fulgosio.
E qui inizia la storia che ci interessa.
E’ noto, che tutti i castelli abbiano i loro fantasmi, spesso anime inquiete dei tanti soldati caduti nelle battaglie a sua difesa.
Gropparello non fa eccezione, con la sua leggenda di rumori sinistri, passaggi segreti, stanze occultate e trabocchetti, contorno ideale storie affascinanti e malinconiche, ma la sua protagonista principale è Rosania Fulgosio.
La bellissima e giovane Rosania Fulgoso era sposata con Pietrone da Cagnano, matrimonio non certo dettato da un sentimento d’amore, bensì da ragioni economiche e politiche.
Però, si diceva che Pietrone, il quale con quelle nozze sarebbe divenuto il legittimo proprietario del castello e delle terre circostanti, fosse sinceramente innamorato della giovane donna che si accingeva a condurre all’altare, nota per la sua straordinaria bellezza e per la sua grande bontà d’animo.
Nonostante i festeggiamenti in pompa magna e la gentilezza del consorte, la fanciulla quel giorno era triste e malinconica, in quanto non ricambiava i sentimenti di Pietrone.
Sembra, che a spingerla a quell’unione fosse stata la madre, desiderosa che la figlia divenisse contessa di Cagnano e sposasse un uomo ricco e con grande valore militare.
Col matrimonio combinato, Rosania fu costretta a dire addio all’uomo che amava realmente, Lancillotto Anguissola, un giovane capitano di ventura, fedele al marchese Pallavicino, ma avversario dei Fulgosio e dei Cagnano.
Ad un certo punto della loro vita, Pietrone partì per la guerra e, senza il suo signore, il Castello venne conquistato dagli invasori, tra i quali c’era proprio il vecchio amore di Rosania, Lancillotto Anguissola.
Fra i due si riaccese subito la passione di un tempo e Lancillotto si stabilì al maniero, diventando l’amante di Rosania.
Furono giorni felici, finché Lancillotto ripartì per combattere nuove battaglie.
Quando Pietrone tornò dalla guerra, venne a sapere dell’offesa ricevuta da Verzuvia, un’anziana fantesca che in gioventù era stata sua balia, della quale si fidava ciecamente, e che aveva posto come cameriera personale della moglie.
Quindi, accecato dalla gelosia, e colpito nell’onore, decise un’atroce vendetta.
Con la scusa di costruire un nascondiglio sicuro e segreto in caso di pericolo, fece scavare un antro sotto le fondamenta del Castello, e costruì una stanzetta senza porte né finestre.
Poi, organizzò un sontuoso banchetto, narcotizzò l’ignara moglie e la rinchiuse viva nella camera fino alla fine dei suoi giorni, dove Rosania morì di stenti.
L’omicidio della moglie spezzò in due l’anima di Pietrone, perché innamorato di Rosania, non riusciva a perdonarsi di averla uccisa.
L’uomo sfogò la propria ira contro Verzuvia, accusandola di essere la causa della morte della donna che amava, e la pugnalò, gettando il suo corpo nel torrente di Vezzeno, dove venne ritrovato poco dopo.
Poi, probabilmente distrutto dal senso di colpa, perse completamente il senno: indossò l’armatura, montò a cavallo e imbracciando la spada si gettò nell’orrido su cui si affaccia il Castello, trovando la morte sulle rocce del burrone.
Scomparendo, Rosania legò indissolubilmente il proprio nome e la propria vicenda all’unico testimone del delitto, ovvero il Castello.
Da allora, il suo spirito si aggira tra le mura del Castello che protegge, facendo sentire i suoi lamenti durante la notte.
La povera sposa infelice si sente ancora gemere e piangere, alla ricerca della tanto agognata pace e dell’amore perduto.
Né Rosania né la stanza furono mai più mai ritrovate, ma ancora oggi, nelle notti di vento, si sente una voce invocare aiuto.
Gli attuali proprietari ed alcuni visitatori giurano di aver sentito, e più volte intravisto, la figura di una giovane donna coi capelli raccolti, che appare e scompare attraverso le pareti.
È lo spirito dolente della dolce Rosania, murata viva, che cerca ancora di fuggire dalla stanza segreta.
Dal 1994, il Castello è proprietà della famiglia Gibelli, che lo ha aperto al pubblico, con visite guidate e la creazione di ambienti tematici per bambini.
E, ancora oggi, lo spirito inquieto di Rosania abita le stanze del Castello, in special modo i sotterranei.
Fate silenzio ed ascoltate:
nelle notti ventose, si può sentire una voce invocare aiuto, piangendo sommessamente.
E’ lo spirito di Rosania, che chiede aiuto dalla sua stanza di morte…
Alice Kyteler (1263–132??) è stata la prima persona accusata di Stregoneria in Irlanda.
Ecco la sua storia.
Alice Kyteler apparteneva ad una famiglia di mercanti fiamminghi, che si erano stabiliti a Kilkenny, probabilmente nell’area conosciuta come Flemingstown, verso la metà del XIII secolo.
Nel 1280, la donna sposò William Outlaw, un ricco mercante ed usuraio di Kilkenny, dal quale ebbe un figlio, chiamato anch’egli William, il quale divenne in seguito il suo principale socio in affari.
Infatti a quel tempo, mogli e madri di mercanti medievali partecipavano spesso all’attività di famiglia.
Nel 1303, William fu dichiarato adulto, diventando poi sovrano o sindaco di Kilkenny.
Ma nel 1302, Alice era già sposata con il suo secondo marito, Adam Le Blund di Callan, un altro usuraio.
La coppia era evidentemente ricca e, nel 1303, William Outlaw dichiarò di custodire 3.000 sterline del loro denaro, un’indicazione della misura del commercio medievale a Kilkenny e della natura altamente redditizia del prestito di denaro, tenendo conto che, all’epoca, la paga giornaliera per un lavoratore era da uno a un penny e mezzo.
Nel 1307, Adam Le Blund si dimise, e consegnò al figliastro William Outlaw, tutti i suoi beni mobili, immobili, gioielli, annullando così tutti i debiti che aveva nei confronti del figliastro.
Nel 1309, Alice aveva già sposato il suo terzo marito, Richard de Valle, un ricco proprietario terriero di Tipperary e, di nuovo, suo figlio William Outlaw beneficiò finanziariamente del matrimonio.
Poco prima del 1316, Richard de Valle morì ed Alice iniziò un procedimento legale contro il figliastro, chiamato anch’egli Richard de Valle, per aver trattenuto la dote della vedova.
Subito dopo, la donna sposò John le Poer, che morì otto anni dopo.
La ricchezza, che Alice aveva accumulato a spese dei suoi figliastri, sia Le Blund che De Valle, li aveva resi rabbiosi e sospettosi, tanto da spingerli alla conclusione, che la donna praticava la Stregoneria per carpire il denaro ai mariti.
Quindi, l’accusarono davanti alle autorità ecclesiastiche di ‘maleficium‘ o Stregoneria, un’accusa abbastanza comune e solitamente trattata dalla legge inglese come un piccolo reato, in quanto la Stregoneria era una forma di magia e la magia era sempre esistita, in una forma o nell’altra.
Anticamente, infatti, la medicina popolare era spesso basata su preparazioni a base di erbe fatte da streghe buone.
L’idea della Stregoneria come inversione del Cristianesimo, tuttavia, emerse nell’XI o nel XII secolo e, nell’ultima parte del XIII secolo, la Chiesa iniziò a considerare la Stregoneria un’eresia, un culto del diavolo, piuttosto che l’esecuzione di un rituale magico atto a curare le persone.
Ma torniamo ai fatti.
Nel 1324, i figliastri di Alice Kyteler portarono la loro denuncia di Stregoneria a Richard Ledrede, vescovo di Ossory (antico regno dell’Irlanda), un uomo di chiesa particolarmente ansioso di difendere le libertà e le giurisdizioni della Chiesa.
Egli, sin dal suo arrivo in Irlanda nel 1317, come incaricato pontificio, aveva dimostrato zelo per le riforme e una stretta aderenza alle leggi della Chiesa.
Inoltre, il papa dell’epoca, Giovanni XXII, aveva una viva paura della Stregoneria, sostenendo che la sua vita fosse in pericolo a causa di essa, ed aveva quindi elencato come eresia nella sua bolla ‘Super illius specula’.
Pertanto, in qualità di incaricato pontificio, Ledrede tentò di mettere in pratica ad Ossory i principi inquisitori, che aveva appreso ad Avignone, allora sede del Papato.
Ad Alice Kyteler, ed alla sua serva Petronilla de Meath, a lei associata, furono mosse 7 accuse:
1) negazione di Cristo e della Chiesa;
2) fare a pezzi animali vivi, disperdendone i pezzi agli incroci come offerte a demoni chiamati ‘Artis Filius’ e ‘Robert Artisson’, in cambio del loro aiuto;
3) chiedere consiglio ai demoni sulla Stregoneria;
4) avere una relazione sessuale con l’Incubus Robert Artisson, il quale spesso assumeva la forma di animali o di un Etiope, quando si univa carnalmente ad Alice Kyteler;
5) tenere riunioni della congrega malefica, accendere candele in chiesa di notte senza permesso. Questo gruppo includeva: Robert di Bristol, Petronilla de Meath, Sarah (la figlia di Meath), John/Ellen’Syssok Galrussyn, Annota Lange, Eva de Brownstown, William Payn de Boly ed Alice Faver;
6) preparare polveri, unguenti e pozioni a base di magia oscura, fatti con molteplici ingredienti allarmanti, inclusi parti del corpo di bambini non battezzati, vermi, un teschio, peli delle natiche, chiodi tolti da cadaveri ed interiora di pollo. Dette pozioni era state usate per corrompere i mariti di Alice Kyteler;
7) ammaliare ed uccidere i suoi mariti, per prendere i loro soldi per sé e per suo figlio biologico, William Outlaw, impoverendo così i figliastri.
I due mariti superstiti non sollevarono accuse contro di lei, per quanto riguarda la Stregoneria o la sua responsabilità per la morte degli altri e due mariti.
Solo per il quarto marito di Alice, Sir John Le Poer, fu sospettata di averlo avvelenato, in quanto era descritto come emaciato, con le unghie strappate ed i peli del corpo rimossi, tutto coerente con un avvelenamento da arsenico.
Per questo motivo, dopo la sua morte, i figli di Le Poer e dei suoi precedenti tre mariti, i suoi figliastri, la accusarono di aver usato veleno e ‘maleficarum’ contro i loro padri, per favorire il suo primogenito, William Outlaw.
Il vescovo Ledrede scomunicò Alice, anche se non era presente e fissò un giorno per la comparizione di William Outlaw, accusandolo di eresia, ma anche di ospitare e proteggere eretici.
William Outlaw aveva un potente amico a Kilkenny, il Siniscalco Arnold Le Poer, che era il giudice supremo e funzionario.
Le Poer bloccò con le mani Ledrede, lo arrestò e lo imprigionò per diciassette giorni, fino al termine del giorno stabilito, affinché William comparisse alla Corte vescovile.
Questa era una mossa pericolosa, poiché un decretale ecclesiastico, ‘Si quis suadente’ del 1139, proibiva l’imposizione violenta delle mani su un monaco o un chierico.
Inoltre, era una situazione così delicata, che solo il Papa stesso poteva assolvere un simile assalto.
Mentre era in prigione, il vescovo Ledrede mise sotto interdizione la sua Diocesi, nella quale non potevano svolgersi battesimi, matrimoni o sepolture fino a quando l’interdetto non fosse stato revocato.
In un’epoca in cui esisteva una fede assoluta nell’esistenza dell’inferno e del fuoco infernale, una tale interdizione era gravissima.
Inoltre, il Siniscalco Le Poer mandò un banditore in ogni villaggio mercato, per vedere se qualcuno volesse sporgere denuncia contro il vescovo o la sua famiglia.
William Outlaw, si recò negli archivi della cancelleria della libertà di Kilkenny e vi trovò una vecchia accusa contro il vescovo, che era stata cancellata o respinta.
Allora, la fece trascrivere di nuovo e poi strofinò la scritta con le scarpe, per invecchiarla, prima di presentarla al Siniscalco, il quale tentò di costringere il vescovo a rispondere alle accuse in essa elencate.
Ledrede rifiutò, ma poi venne liberato dal vescovo di Leighlin.
Dopo il suo rilascio dalla prigione, Ledrede citò ancora una volta William Outlaw e sua madre a comparire davanti a lui ma, prima della nomina del giorno per la comparizione, arrivò un sergente con un mandato reale, che richiedeva al vescovo di comparire a Dublino davanti al giudice d’Irlanda, per spiegare perché aveva posto un’ interdizione sulla sua Diocesi, e per rispondere alle denunce mosse da Arnold Le Poer contro di lui.
Il vescovo inviò un procuratore per suo conto, spiegando che non osava recarsi a Dublino, poiché avrebbe dovuto attraversare le terre di Arnold Le Poer.
La sua scusa fu respinta e il suo superiore ecclesiastico, il vicario dell’arcivescovo di Dublino, tolse l’interdizione.
A questo punto, Alice Kyteler si vendicò, accusando Ledrede di diffamazione della sua persona, in quanto lui l’aveva scomunicata, senza una citazione, o condanna.
La donna fece appello per questi motivi legali al Tribunale di Dublino, che convocò il vescovo a comparire ma, anche in questo caso, Ledrede inviò un procuratore per spiegare il suo caso, lamentandosi anche del fatto che Alice Kyteler fosse libera di frequentare le sue amiche a Dublino, solitamente accompagnata da grandi uomini e capi del Paese alle assemblee pubbliche; un’indicazione dello status di cui godeva Alice Kyteler anche a Dublino.
Alla fine di lunghe vicissitudini giudiziarie, il vescovo fu scagionato, anche perché insulti ed attacchi alla Chiesa ed ai suoi vescovi non potevano essere tollerati alla leggera.
Inoltre gli fu permesso di portare avanti il suo caso a Kilkenny.
Alice Kyteler, sentendo che l’opinione pubblica si stava radunando contro di lei, fuggì con Sarah, la figlia della sua serva, dall’Irlanda, andando in Inghilterra o nelle Fiandre, e non c’era traccia di lei dopo la sua fuga dalla persecuzione.
Invece, la sua domestica Petronilla de Meath fu fustigata e bruciata a morte sul rogo, il 3 novembre 1324, dopo essere stata torturata e aver confessato i crimini eretici che lei, la sua signora e i seguaci di Alice Kyteler avevano commesso.
Il vescovo Ledrede accusò formalmente William Outlaw di eresia e di ospitare eretici.
L’uomo confessò, si sottomise in ginocchio al vescovo e fu imprigionato nel castello di Kilkenny.
I suoi amici molto influenti costrinsero Ledrede a commutare la sentenza in penitenza ed a liberarlo: William doveva ascoltare tre messe al giorno per un anno, dare da mangiare ai poveri ed impegnarsi a ricoprire di piombo il tetto della cattedrale di San Canizio.
Ma venendo a sapere che William non stava effettuando la sua penitenza, Ledrede lo imprigionò ancora una volta.
Alla fine, William Outlaw soccombette completamente e chiese al vescovo di fargli visita in prigione, si prostrò nel fango davanti a lui ed a una grande folla di clero e laici.
Gli aumentarono la sua penitenza: doveva fare una visita in Terra Santa sulla prima barca disponibile, la porzione del tetto della cattedrale da ricoprire di piombo fu ampliata e gli furono concessi quattro anni, per portare a termine l’incarico.
Nel 1332 il peso del piombo fece crollare il tetto di San Canizio.
La figura centrale in questa vicenda è Alice Kyteler, una ricca donna di Kilkenny, accusata di Stregoneria dai suoi figliastri.
Il suo fu il primo processo per Stregoneria, a trattare gli accusati come eretici ed il primo ad accusare una donna, di aver acquisito il potere della Stregoneria attraverso il rapporto sessuale con un demone, caratteristiche che poi divennero comuni nei famosi processi di Stregoneria del XVI e XVII secolo.
Questa fu anche l’occasione per un grande confronto tra autorità secolare ed ecclesiastica: teoricamente, lo Stato rivendicava il controllo sulla vita materiale dei suoi sudditi e la Chiesa sulla vita spirituale.
E come al solito, le persone al di fuori di queste due fazioni non avevano il controllo sulla propria, di vita.
Comunque, sembra che di Alice Kyteler si siano perse la tracce.
Chi dice che scappò in Inghilterra, chi nelle Fiandre, chi in Norvegia.
Fatto sta, che non si seppe più nulla di lei.
Che sia volata via con la sua scopa ?!?!?
Nell’amena località di Wallaceburg, in Ontario (Canada), circola una strana leggenda, conosciuta come il ‘Mistero di Baldoon’ (Baldoon Mystery).
Questa è una storia canadese di fantasmi, leggendaria ed inquietante che, da quasi 200 anni, continua a causare brividi ed incubi.
E’ veramente una situazione spettrale, con tanto di rumori spaventosi, incidenti mortali, forze invisibili inspiegabili e un finale misterioso, che lascia più domande che risposte.
Ed ora, immergiamoci in uno dei più grandi misteri canadesi…
Baldoon era un insediamento nel sud-ovest dell’Ontario, esperimento fallito di colonizzazione, da parte di Lord Thomas Douglas Selkirk, conte scozzese del 1800.
Egli immaginò un insediamento, che rispecchiasse in ogni modo la sua terra natale, le Highlands scozzesi, quindi importò pecore e convinse almeno 15 famiglie del vecchio Paese ad intraprendere questa nuova entusiasmante avventura.
Queste persone arrivarono il 5 settembre 1804, ottimiste per il futuro, ma si ritrovarono davanti un pezzo di terra paludoso, nel pieno periodo della malaria.
L’insediamento, quindi, ebbe un inizio difficile, con le terre basse delle paludi difficili da coltivare e la produzione agricola scarsa.
Le pecore non riuscivano a prosperare e la malattia dilagava senza sosta nella comunità.
Il sovrintendente della tenuta, Alexander Macdonnell, decise di utilizzare i fondi di Lord Selkirk, per cercare di risolvere i problemi che affliggevano la comunità.
Ma ciò non fu sufficiente e l’insediamento fallì.
Nel 1812, la colonia fu invasa dagli Americani durante la guerra, e la maggior parte dei coloni tornò al proprio Paese d’origine, costringendo Lord Selkirk a vendere la sua proprietà.
Coloro che rimasero a Baldoon furono presto raggiunti da altre persone interessate ai migliori appezzamenti di terreno.
Una di queste persone era John Macdonald e la sua giovane famiglia.
Nel 1829, mentre alcune donne della famiglia stavano preparando la paglia nel fienile, senza alcun preavviso, i pali della struttura del tetto iniziarono a cadere, scagliati a terra come mortali pugnali di legno.
Le donne dovettero correre ai ripari, per evitare di essere impalate. Ci fu un’indagine da parte degli uomini, ma non fu mai trovata alcuna probabile fonte dell’incidente.
I pali erano stati installati in modo tale, da non potersi staccare facilmente, quindi non ci si spiegava come potesse essere successo.
Questo evento inquietante fu solo l’inizio di strani accadimenti, che avrebbero afflitto la fattoria per gli anni a venire.
La famiglia Macdonald iniziò a sentire suoni inspiegabili a tutte le ore del giorno e della notte.
Mentre dormivano, spesso sentivano il rumore di passi in tutta la casa, soprattutto in cucina.
Questi rumori non erano solo lo scricchiolio occasionale, o il leggero strofinio, spesso si udivano suoni come la marcia ritmica di molti uomini che si preparavano alla guerra.
Quando la famiglia iniziava poi ad indagare, i rumori si fermavano bruscamente.
Inoltre, alla luce fioca delle candele e delle lanterne, la famiglia poteva vedere che non c’era nessun esercito marciante attraverso la loro cucina, ma comunque era un fenomeno che si ripeteva, oltre ad altri eventi sconvolgenti.
Una notte, mentre uno dei bambini Macdonald era seduto in una culla di legno, improvvisamente questa iniziò a dondolare violentemente da una parte all’altra.
Tre uomini si precipitarono nel tentativo di fermarla ma, sebbene usassero tutta la loro forza, il dondolio continuava come se fosse forzato da una potente mano invisibile.
La culla continuò a dondolare, senza aiuto, quando gli uomini indietreggiarono terrorizzati.
Un altro fenomeno fu quello degli incendi avvistati in tutta la proprietà, come se una ‘presenza paranormale’ stesse tentando di bruciare la loro fattoria.
Una volta, più di una dozzina di incendi scoppiarono contemporaneamente, senza alcuna chiara fonte di accensione. Quando un incendio veniva finalmente spento, al suo posto ne iniziavano altri.
John Macdonald, particolarmente turbato da tutto ciò, iniziò a pensare, che qualcosa o qualcuno li volesse allontanare dalla fattoria.
Nel corso degli anni ci furono diversi tipi di eventi inquietanti, ma l’incidente più comune vissuto dalla famiglia era il lancio di sassi e pietre contro le finestre della loro casa.
I membri della famiglia spesso raccoglievano questi sassi e pietre, li contrassegnavano per riconoscerli e li portavano lontano dalla proprietà, depositandoli nelle vicine insenature.
Ma, pochi giorni dopo, gli stessi sassi, con i loro segni d’identificazione, riapparivano a casa loro.
Dopo aver sostituito tantissime volte i vetri delle finestre, John Macdonald alla fine le bloccò, ma successivamente, invece di avere i vetri frantumati, la famiglia sentiva il continuo tonfo delle pietre che colpivano i muri della fattoria.
E la storia si ripeteva, loro raccoglievano le pietre portandole vie, e subito dopo esse riapparivano, quasi quotidianamente.
Inoltre, il cibo ed altri oggetti si alzavano dal tavolo ed iniziavano a ‘ballare’, le pentole si sollevavano dal focolare, per inseguire un cane fuori e tutto intorno al cortile; un vecchio coltello da macellaio passava attraverso una folla di cinquanta uomini e colpiva il muro per tutta la lunghezza della sua lama di 25 centimetri.
Ben presto, i misteriosi fatti che accadevano alla famiglia Macdonald di Baldoon, iniziarono a diffondersi per tutto il Nord America, e la gente iniziò a raccontare queste storie a persone provenienti da tutto il mondo, così i giornali iniziarono a pubblicare questi misteri.
I lettori incuriositi ben presto iniziarono a presentarsi a Baldoon, sperando di intravedere il fenomeno paranormale, e quindi trasformarono questo posto in una macabra attrazione turistica.
In un primo momento, i Macdonald accolsero con favore il crescente interesse per la loro fattoria, ma gli eventi erano veramente terrificanti e la famiglia era preoccupata per la sua incolumità.
Quindi, pensando che l’entità paranormale potesse essere collegata alla casa o alla terra, la famiglia decise di trasferirsi nella vicina fattoria del padre di John Macdonald.
Tuttavia, gli incidenti seguirono la giovane famiglia ed i fenomeni iniziarono a colpire la nuova casa.
John Macdonald, non avendo tregua, tornò nella sua vecchia proprietà, decidendo però di rimanere fuori in una tenda, fino a quando gli incidenti non si fossero calmati.
Ma ciò non accadeva, quindi la famiglia, disperata, cercò un aiuto esterno, tentando anche di affrontare gli incidenti paranormali.
In primo luogo ne discusse con il sacerdote locale, che era esperto di esorcismi, il quale però non riuscì a fare nulla.
In seguito, la famiglia Macdonald incontrò una donna dotata dei poteri della “seconda vista” la quale, ascoltando il resoconto degli eventi paranormali, ipotizzò che gli strani incidenti fossero dovuti a una maledizione posta sulla proprietà da una vecchia.
Alcuni, in verità, ricordavano che i Macdonald erano stati coinvolti in un piccolo battibecco con una donna ed i suoi figli, quando avevano originariamente acquistato la proprietà all’inizio del 1820, quindi forse era lei la causa della loro disgrazia.
Passò il tempo, e non è chiaro come si siano svolti successivamente gli eventi.
Alcune persone raccontano che i Macdonald eseguirono un rituale per liberarsi dal Poltergeist e gli incidenti si fermarono improvvisamente.
Secondo alcune rivisitazioni, un veggente suggerì ai Macdonald di sparare a un’oca nera con un proiettile d’argento, poiché la vecchia aveva effettuato la stregoneria usando l’uccello.
I Macdonald seguirono il consiglio e spararono l’oca nera nell’ala. Poco dopo, la famiglia vide la vecchia con il braccio al collo.
Queste azioni apparentemente misero fine agli strani eventi, ma il confine esatto tra realtà e finzione è diventato alquanto sfocato nel corso degli anni.
Esattamente ciò che ha portato una fine così brusca agli strani incidenti è una parte allettante di questo mistero ma, che la storia della maledizione sia vera o meno, gli incidenti alla fattoria Macdonald si fermarono.
Così, dopo tre anni vissuti nel terrore, la famiglia finalmente potette godere della sua proprietà.
Spettatori curiosi continuavano a fermarsi periodicamente, ma non c’era più niente da vedere.
La proprietà dei Macdonald fu rasa al suolo nel 1930, portando con sé la verità.