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Le Selkies, o Roan, sono delle creature terioforme (divinità con aspetto animale), appartenenti alla mitologia scozzese, irlandese, norvegese ed islandese, particolarmente diffusa nelle isole Shetland, isole Orcadi ed isole Fær Øer.
Chiamate anche Selky, Seilkie, Sejlki, Silkie, Silkey, Saelkie, Sylkie, ecc., e dall’aspetto di foche, perfettamente in grado di rimuovere il loro manto per assumere un aspetto umano, vivono in mare ed il nome deriva dallo scozzese arcaico “selich” = “foca grigia” (Halichoerus grypus).
Invece l’altro nome, “Roan” discende dal gaelico scozzese “maighdeann-ròin” = “fanciulle-foca”.
Le Selkies sono principalmente associate alle isole settentrionali scozzesi, dove sembra che vivano libere come foche nel mare, cambiando la pelle per diventare umane, quando vanno sulla terra.
Walter Traill Dennison, un contadino folclorista del ‘800, originario delle Orcadi, insisteva che “selkie” fosse il termine corretto da applicare a questi mutaforma, per distinguerli dai Tritoni, e che Samuel Hibbert-Ware, uno scrittore delle Shetland dello stesso periodo, commise un errore nel riferirsi a loro come “Tritoni” e “Sirene”.
Però, esaminando altre culture norrene, gli scrittori islandesi si riferiscono alle mogli-foca anche come Tritoni (marmennlar).
Tornando alle Selkies, queste creature mutaforma hanno una duplice natura: possono essere amichevoli ed utili verso gli esseri umani, ma essere anche pericolose e vendicative.
Secondo il folklore celtico, le Selkies possiedono anche un lato dispettoso ed una voce accattivante, possono trasformarsi da foca in forma umana solo in determinate notti, solitamente alla vigilia di Mezza estate o quando c’è la Luna Piena, e possono controllare il tempo ed il mare.
Esse hanno una ragnatela che unisce le dita, che permette loro di muoversi tra il mondo dell’uomo e quello del mare e, una volta che una Selkie cambia pelle, può ritornare alla sua forma di foca solo ritrovando la sua pelle.
Nella tradizione delle Orcadi, si dice che le Selkie siano vari tipi di foche, e che solo a quelle di dimensioni maggiori rispetto alla foca grigia, si possa attribuire la capacità di trasformarsi in esseri umani, e sono chiamate “Gente Selkie”.
Qualcosa di simile si afferma nella tradizione delle isole Shetland, secondo cui i Tritoni e le Sirene preferiscono assumere la forma di foche più grandi, chiamate “Pesci Haaf”.
Le Selkies sono solitamente descritte come attraenti e seducenti in forma umana, e molte storie su di loro narrano che abbiano relazioni romantiche o sessuali con esseri umani, spesso dando origine a bambini.
A volte possono anche essere costrette, o indotte con l’inganno, a sposare esseri umani, così come spesso qualcuno ruba e nasconde la loro pelle di foca, impedendo loro di tornare in mare.
Infatti, è tipico il racconto di un uomo che ruba la pelle di una Selkie, avendola trovata nuda sulla riva del mare, e la costringe a diventare sua moglie.
La moglie trascorre il suo tempo in cattività desiderando il mare, la sua vera casa, e guardando con desiderio l’oceano.
In seguito può succedere che lei abbia dei figli dal marito umano ma, se riesce a ritrovare la sua pelle di foca, cosa che spesso si verifica grazie all’aiuto dei suoi bambini, la mutaforma torna immediatamente al mare, abbandonando la prole che ama, ma dalla quale, in alcune versioni delle storie, va in visita sulla terraferma una volta all’anno.
In altre novelle, i figli non rivedranno mai più la loro madre, oppure la Selkie farà loro visita, avvicinandosi verso la riva, ed i bambini vedranno arrivare una grande foca che li “saluta” con il suo verso animale.
Esistono anche i Selkies maschi, descritti come bellissimi nella loro forma umana e dotati di grandi poteri seduttivi sulle donne.
Di solito cercano quelle che sono insoddisfatte della propria vita, come le donne sposate che aspettano i loro mariti pescatori.
In un racconto popolare, si narra che una donna delle isole Orcadi, soprannominata Ursilla, quando desiderava entrare in contatto con il suo Selkie maschio, versava sette lacrime in mare.
Naturalmente, di questi racconti esistono varie versioni a seconda della zona in cui vengono narrati, e in alcuni si dice che le Selkies non possano trasformarsi in umane a loro piacimento, ma debbano aspettare che le condizioni delle maree siano corrette.
Per esempio, per quanto riguarda Ursilla, il suo Selkie maschio contattato prometteva di farle visita al “settimo ruscello” o “marea primaverile”.
In alcune versioni, le Selkies possono assumere sembianze umane solo una volta ogni sette anni, perché sono corpi che ospitano anime condannate.
Ciò perché c’era il pensiero che questi mutaforma fossero esseri umani che avevano commesso atti peccaminosi, o angeli decaduti.
Nel racconto “Il figlio di Gioga”, un gruppo di foche che riposava nelle Ve Skerries, isole rocciose delle Shetland, subì un’imboscata e venne scuoiato dai pescatori di Papa Stour (altra isola delle Shetland), ma poiché si trattava in realtà di Selkies, lo spargimento del sangue causò un’ondata di acqua di mare, ed un pescatore fu abbandonato.
Le vittime-Selkies si ripresero in sembianze umane, ma lamentarono la perdita della pelle, senza la quale non avrebbero potuto tornare alla loro casa sottomarina.
Il marito di una di queste, Ollavitinus, era particolarmente angosciato poiché ormai era separato dalla moglie, ma sua madre Gioga fece un patto con il marinaio abbandonato, offrendosi di riportarlo a Papa Stour, a condizione che la pelle gli fosse restituita.
Una storia delle isole Fær Øer, “La leggenda di Kópakonan”, (Kópakonan significa letteralmente “donna foca”), racconta di un giovane contadino del villaggio di Mikladalur che, dopo aver appreso dalle voci popolari che le foche potevano sbarcare e cambiare la pelle una volta all’anno nella tredicesima notte, andò a vedere di persona.
Mentre era in agguato, l’uomo osservò molte foche nuotare verso la riva, mutando la pelle per rivelare le loro forme umane.
Il contadino prese la pelle di una giovane donna Selkie la quale, non potendo tornare in acqua senza di essa, fu costretta a seguire il giovane nella sua fattoria e diventare sua moglie.
I due restarono insieme per molti anni, generando anche un figlio e, ogni giorno, l’uomo chiudeva la pelle della Selkie in una cassa, tenendo sempre con sé la chiave della serratura, in modo che sua moglie non potesse mai accedervi.
Tuttavia, un giorno l’uomo dimenticò la chiave a casa e tornò alla sua fattoria, scoprendo che sua moglie si era ripresa la pelle ed era tornata nell’oceano.
Tempo dopo, durante una battuta di pesca, il giovane ritrovò la Selkie ed uccise sia suo marito Selkie che i suoi due figli.
Infuriata, la donna Selkie promise vendetta per i suoi parenti perduti, esclamando: “alcuni affogheranno, altri cadranno da scogliere e pendii, e questo continuerà, finché non saranno perduti così tanti uomini da poter unire le braccia attorno all’intera isola di Kanchey!”
Si ritiene che le morti che si verificano sull’isola, ancora oggi, siano dovute proprio alla maledizione di questa Selkie.
Nella ballata popolare “Peter Kagan and the Wind”, Gordon Bok canta del pescatore Kagan che sposò una donna-foca.
Contro il volere della moglie, salpò pericolosamente verso la fine dell’anno e rimase intrappolato, mentre combatteva contro una terribile tempesta, impossibilitato a tornare a casa.
Sua moglie assunse la forma di foca e lo salvò, anche se ciò significò per la Selkie di non poter tornare mai più nel suo corpo umano e quindi nella sua casa felice.
In una famosa rivisitazione della leggenda dei Selkies, la ballata “The Secret of Roan Inish”, un film indipendente americano-irlandese del 1994, si racconta la storia di una giovane ragazza che scopre di discendere dai Selkies.
La donna parte all’avventura per ritrovare suo fratello, che presumibilmente era stato catturato dalle Selkies.
Uno degli elementi più toccanti delle leggende sui Selkies è l’idea che, prima o poi, dovranno tornare in mare, che guardino con desiderio l’oceano, combattuti tra l’amore per i loro partner umani ed il bisogno di ritornare alla loro forma autentica.
In alcune versioni della leggenda, le Selkies possono ritornare alla loro forma di foca dopo aver versato sette lacrime in mare, atto che consente loro di tornare al loro stato naturale e fuggire dal mondo degli umani.
Altre ancora indicano anche che le donne umane possono diventare Selkie, se indossano una pelle di foca e camminano in mare, e che possono quindi tornare alla forma umana una volta cambiata la pelle.
I figli nati tra l’uomo e le Selkie possono avere le mani palmate, come nel caso della “Sirena delle Shetland”, i cui figli avevano “una sorta di rete tra le dita”, o anche di Ursilla, e quindi i bambini devono farsi tagliare ad intermittenza la fettuccia di materiale corneo tra le dita delle mani e dei piedi.
In “The Folklore of Orkney and Shetland “, dello scrittore scozzese del ‘900 Ernest Marwick, si narra di una donna che dà alla luce un figlio con la faccia di foca, dopo essersi innamorata di un uomo Selkie.
In seguito, un sogno le rivela la posizione dell’argento che la donna dovrà trovare, dopo aver dato alla luce suo figlio.
Inoltre, sembra che un gruppo di discendenti dei Selkies, menzionato anche dallo stesso Marwick, possedesse una pelle verdastra, screpolata in alcuni punti del corpo, e che queste ferite emanassero un forte odore di pesce.
Bisogna comprendere che, prima dell’avvento della medicina moderna, molte condizioni fisiologiche erano incurabili e, quando i bambini nascevano con anomalie, era cosa comune incolpare le fate o altre entità simili.
Il clan MacCodrum delle isole Ebridi Esterne divenne noto come i “MacCodrum delle foche”, poiché affermavano di discendere dall’unione tra un pescatore ed una Selkie.
Questa era una spiegazione per la crescita (sindattilia, malattia ereditaria) della pelle tra le dita che faceva sembrare le loro mani delle pinne.
Un’altra spiegazione per il mito dei Selkies, proverebbe dal fatto che gli Inuit indossavano abiti ed usavano kayak, entrambi fatti di pelli di animali.
Sia i vestiti che i kayak perdono galleggiabilità una volta saturi e dovrebbero essere asciugati, quindi si pensa che gli avvistamenti di Inuit che si spogliavano dei loro vestiti, o giacevano accanto alle pelli sulle rocce, avrebbero potuto portare a credere nella loro capacità di trasformarsi da foca in uomo e viceversa.
Un’altra credenza è che gli Spagnoli naufraghi furono portati a riva, e che i loro capelli neri come il giaietto somigliassero alle foche. Infine, l’antropologo norvegese A. Asbjørn Jøn, afferma dell’esistenza di una forte tradizione, che indica che i Selkies “si siano formati in modo soprannaturale dalle anime delle persone annegate”.
Comunque sia, nel corso del tempo, il folklore che circonda le Selkies si è evoluto e sono diventate più strettamente associate alle storie d’amore romantiche, ispirando molte opere d’arte, letteratura, musica e film.
Molto bello è il film d’animazione irlandese del 2014, “Song of the Sea”, che narra di un giovane ragazzo, il quale scopre che sua sorella muta è una Selkie, che deve trovare la sua voce e liberare le creature fatate dalla dea celtica Macha.
Ma uno degli adattamenti alla leggenda più amati è “Ondine, il segreto del mare”, un dramma romantico del 2009 con Colin Farrell, ambientato a Castletownbere, in Irlanda, il quale esplora la possibile esistenza delle Selkies.
È la storia di un pescatore irlandese, che scopre una donna nella sua rete da pesca e sua figlia, curiosa, inizia a sospettare che la donna possa essere una Selkie.
Fate attenzione…
Da quando è nato il Mondo, in ogni civiltà i genitori hanno sempre raccomandato ai propri figli alcune regole comportamentali, hanno detto di smetterla con i capricci, hanno chiesto il loro aiuto ecc, ricevendo molto spesso esattamente il contrario di quanto richiesto.
Questo modo di fare ha indotto i genitori a sentirsi frustrati ed in molte culture sono nate storie, come quelle che, per esempio, raccontano del famoso “Uomo Nero“, una creatura (diversa in ogni civiltà nell’aspetto e nei livelli di cattiveria) che minacciava di causare ogni tipo di danno immaginario ai bambini che si comportano male, quando i loro genitori educatamente chiedevano loro di fare qualcosa.
Streghe, fantasmi, mostri, persino divinità, sono stati utilizzati per motivare i bambini ad avere un atteggiamento migliore nella vita (a volte con grande successo!).
In tutto il mondo greco si raccontavano le storie di Mormò (figura in seguito ereditata dai Romani, simile ad alcune rappresentazioni dei vampiri femminili) soprattutto prima di andare a dormire, o quando il bambino era troppo lamentoso, viziato e capriccioso.
La Mormò è un personaggio greco, nella superstizione descritto come uno spettro femminile che si cibava del sangue dei bambini in fasce, oppure mordeva quelli cattivi, o li faceva zoppicare, oltre a provocare disordini in case e botteghe.
Per questo motivo era generalmente nominata come spauracchio da madri e balie, per spaventare i bambini ed impedire loro di comportarsi male.
Mormò, al plurale Mormones, significa “spaventoso” o “orribile”, ed è correlato a una serie di parole che significano “paura“.
Esso era uno spirito femminile (ma qualche volta considerato ermafrodita) o un fantasma, un essere spettrale noto per incutere paura, ed a volte era considerato intercambiabile con altri mostri come Lamia, Gello o la Strige, un uccello notturno simile ad un vampiro che si nutriva del sangue dei bambini.
Mormò era anche descritta come un “demone” o uno “spirito”, che si nascondeva nelle stanze e semplicemente mordeva i bambini cattivi nel cuore della notte, non per uccidere o mutilare, ma solo per attirare la loro attenzione.
Un piccolo morso rapido e doloroso sul braccio, sulla gamba o sul sedere, per ricordare loro chi era il capo.
Descritta decisamente brutta, non esistono scritti antichi dettagliati che forniscano particolari certi sulla Mormò, alcuni l’associano ai cavalli con alcune caratteristiche equine, altri di farfalle, altri ancora la descrivono con grandi orecchie e una lunga lingua, che corre a quattro zampe.
Poteva avere zanne affilate con cui procurare i morsi sopra menzionati e poteva cambiare forma per stipare la sua forma in qualsiasi angolo oscuro, in attesa del momento perfetto per terrorizzare un bambino ribelle nelle prime ore della notte: in pratica un Mutaforma!
Nella mitologia, secondo un racconto, la Mormò originariamente era una donna di Corinto, la quale cominciò a divorare i bambini, prima i suoi, poi quelli degli altri, diventando alla fine uno spauracchio.
In una tradizione alternativa, Mormò era originariamente la regina dei cannibali Lestrigoni (popolo leggendari di giganti antropofagi) che, dopo aver perso i propri figli, si dedicò all’omicidio dei figli altrui.
Ancora un’altra tradizione, forse cercando di aumentare l’aura di terrore di Mormò, fece dell’orribile creatura la nutrice di Acheronte, uno dei fiumi degli Inferi.
La Mormò era associata spesso ad Ecate e ad altre Dee lunari, aveva probabilmente una connessione con i poteri del fuoco, quindi potrebbe essere una delle tre facce di una divinità più ampia.
Per i Greci, esisteva anche un’altra divinità simile a Mormò, di cui potrebbe essere una variante: Accó.
Accó era un demone di aspetto femminile, il quale veniva menzionato ai bambini dai genitori, anch’esso come spauracchio per evitare che facessero cattive azioni.
L’origine del nome dovrebbe proveinre da “akkìzomai” = “ghigno”, oppure potrebbe avere un possibile significato di “madre” (radice indoeuropea), epiteto che fu probabilmente successivamente tramandato agli Etruschi ed ai Romani, per i quali diventò Acca.
Troviamo un riferimento alla Mormò in due opera del commediografo Aristofane (446-386 a.C.), “Gli Acarnesi” e “La Pace”; ed anche nell’opera di Erinna, poetessa molto celebrata nell’Era alessandrina, nata a Telo (vicino Rodi) nel IV secolo a.C. e morta a soli 19 anni.
Ella scrisse in dialetto dorico un poemetto intitolato “La conocchia”, di cui restano frammenti, un canto di dolore per l’amica Baucide, morta poco dopo le nozze.
“I bianchi cavalli smaniosi
si levavano dritti sulle zampe
con grande strepito; il suono della cetra
batteva in eco sotto il portico vasto della corte.
O Bàuci infelice, io gemendo piango al ricordo.
Queste cose della fanciullezza hanno ancora calore
nel mio cuore, e quelle che non furono di gioia
sono cenere, ormai. Le bambole stanno riverse
sui letti nuziali; e presso il mattino
la madre cantando più non reca
il filo sulla rocca e i dolci cosparsi di sale.
A te fece paura da bambina la Mormò
che ha grandi orecchie e su quattro
piedi s’aggira movendo intorno lo sguardo.
E quando, o Bàuci amata, salisti sul letto dell’uomo
senza memoria di quello che giovinetta ancora
avevi udito da tua madre, Afrodite
non fu pietosa della tua dimenticanza.
Per questo io ora piangendoti non ti abbandono;
né i miei piedi lasciano la casa che m’accoglie,
né voglio più vedere la dolce luce del giorno,
né lamentare con le chiome sciolte; ho pudore
del cupo dolore che mi sfigura il volto” .
Fate attenzione…
Nella mitologia europea, Changeling, ovvero Cangiante, è una creatura simile ad un essere umano, ma in realtà è una fata lasciata al posto di un bambino o di un neonato, rubato da altre fate.
Quando menzioniamo la parola “fata“, pensiamo ad esseri gentili e benevoli, ma questo non è certamente il caso dei Cangianti, che venivano scambiati solitamente per uno di questi tre motivi:
1) perché le fate volevano che il bambino rapito fosse un loro servitore,
2) perché volevano ricevere l’amore di un bambino umano,
3) per malizia/vendetta.
La maggior parte delle volte, lo scambio veniva effettuato con una fata anziana, in modo che potesse vivere la sua vita nel comfort di un essere umano, o in modo che potesse morire.
Di solito venivano rapiti i bambini più belli, perché le fate desideravano ed ammiravano questa peculiarità.
Spesso un bambino poteva ammalarsi o assumere uno strano aspetto, oppure una persona poteva all’improvviso diventare incapace di muovere gli arti: “colpita dalle fate” si diceva, e la gente del posto iniziava a sospettare che sotto ci fosse il loro zampino.
Nel Medioevo, si pensava che i bambini con deformità, malattie o condizioni, che all’epoca erano inspiegabili, fossero stati sostituiti da Cangianti, motivo per cui molti di loro erano abbandonati o addirittura uccisi.
Ma c’erano quelli che sospettavano, che il loro bambino fosse stato scambiato con un Mutaforma e, quindi, sentivano di doversene prendere cura ugualmente ed amarlo, per paura che le fate facessero del male al loro vero bambino o, peggio, non lo riportassero mai indietro.
Alcuni credono che l’origine del mito del Cangiante derivi da un angolo molto oscuro della mente, che si azionava quando sussisteva un problema che non si riusciva a comprendere o risolvere, a causa della mancanza di comprensione di determinate disabilità e condizioni, come l’autismo o la malattia fisica.
Per esempio, se una famiglia non si sentiva in grado di prendersi cura di un bambino, in particolare uno che riteneva non sarebbe stato utile per loro in futuro, in quanto malato o deforme, era più facile per loro “perdere” il bambino, credendo che fosse stato rapito dalle fate, piuttosto che ammettere di aver lasciato morire il proprio figlio.
Infatti nell’epoca medioevale, l’infanticidio era un aspetto orribile ma molto reale della vita rurale, ed il fatto che esistano innumerevoli racconti sui Cangianti, indica che i genitori di questi sfortunati bambini li vedessero come una minaccia per la sopravvivenza delle loro famiglie, e quindi li facevano morire, considerando che fosse l’unico modo per salvare tutti gli altri.
Una storia del genere si può trovare in un episodio della prima stagione di “Outlander”, una serie Tv ambientata in Scozia.
Nelle leggende irlandesi e scozzesi, un bambino fatato appariva malaticcio e non cresceva di dimensioni come un bambino normale, e poteva anche avere caratteristiche fisiche notevoli, come barba o denti lunghi.
Era descritto con un’intelligenza superiore ai suoi anni apparenti, oltre a possedere una pungente intuizione.
Inoltre un Cangiante poteva mostrare un comportamento insolito quando pensava di essere solo, come saltare, ballare o suonare uno strumento.
Ma alcune storie raccontano addirittura che il Cangiante doveva essere torturato per rivelarsi, il che portò a molti casi reali di abusi sui minori.
Solo in rare occasioni i genitori furono ritenuti responsabili di questi abusi.
Uno di questi casi ebbe luogo nel 1690 a Gotland, in Svezia, dove una coppia fu processata dopo aver lasciato il proprio bambino di 10 anni su un mucchio di letame, durante la notte della vigilia di Natale.
Il bambino era malato e non cresceva correttamente e la coppia, credendo che fosse un Cangiante sperava che, lasciandolo in un posto simile gli elfi, che presumibilmente avevano rubato il loro bambino originale, li avrebbero scambiati di nuovo.
Invece, il bambino morì per esposizione al gelo.
In alcune storie, come il racconto islandese “The Changeling Who Stretched“, che racconta di un ragazzo che crebbe rapidamente fino a diventare adulto, i Cangianti non erano affatto bambini fatati, ma piuttosto fate adulte che assumevano la forma di un bambino, per poter convincere i genitori che il loro bambino fosse un Cangiante, e quindi a temerlo.
Nel 1826, ci fu un caso inquietante di un’anziana donna irlandese di nome Ann Roche, la quale si stava prendendo cura del nipote di quattro anni, Michael Leahy, che non era in grado di camminare o dormire ma, all’improvviso, lo annegò in un fiume, presumibilmente credendo che l bambino fosse “incantato dalle fate“.
Al processo per il suo omicidio, la donna disse di aver annegato il bambino “per mettere fuori gioco la fata“, credendo che lo avrebbe curato e…fu dichiarata NON COLPEVOLE.
Nel folklore scozzese, i bambini rapiti potevano sostituire i Cangianti nel tributo dovuto dalle fate al diavolo ogni sette anni, come narrato nella ballata Tam Lin e in quella di Thomas the Rhymer.
Secondo altri miti scozzesi, un bambino nato con un “caul” ovvero con una parte della membrana amniotica sul viso, era un Cangiante di nascita fatata e presto sarebbe morto.
Altre storie affermano, che il latte umano era necessario per la sopravvivenza dei bambini fatati, quindi o il bambino umano appena nato veniva scambiato con un bambino fatato per essere allattato dalla madre umana, oppure la madre umana veniva portata nel mondo delle fate, per allattare i piccoli fatati.
Ma, si racconta, che anche le ostetriche umane fossero necessarie per mettere al mondo i bambini delle fate.
Si narra, inoltre di Cangianti che dimenticavano di non essere umani e continuavano a vivere una vita umana, oppure che non dimenticavano, tuttavia, tornavano alla loro famiglia fatata, abbandonando quella umana senza preavviso.
Nel Medioevo, in Scandinavia si diceva che la bellezza nei bambini umani e nelle giovani donne, in particolare i tratti che evocano luminosità o riflessi, come i capelli biondi e gli occhi azzurri o argentati, attirassero le fate, poiché forse trovano preziosità in questi tratti.
In Cornovaglia, ci sono alcune pietre chiamate Mên-an-Tol, le quali hanno un guardiano fatato o un folletto, che può praticare cure miracolose.
Si racconta che un bambino Cangiante sia stato fatto passare attraverso una di quelle pietre, affinché restituisse alla madre il suo vero figlio, che i folletti malvagi avevano scambiato, in quanto solo le pietre erano in grado di invertire il loro incantesimo.
In Germania, i Cangianti si chiamavano Wechselbalg, Wechselkind, Kielkopf o Dickkopf (in riferimento agli enormi colli e teste di questi Mutaforma).
Qui esistevano diversi metodi per identificare un Cangiante e quindi farsi restituire il bambino reale:
∇confondere il Cangiante cuocendo o preparando la birra nei gusci d’uovo.
Questo costringeva il Mutaforma a parlare, rivendicando la sua vera età, rivelando la sua provenienza;
∇tentare di bruciare il Cangiante nel forno, cercando di fargli dire la verità;
∇colpirlo o frustarlo.
Una volta scoperta la sua reale natura fatata, l’essere doveva essere nutrito con il latte di una donna, prima di sostituire i bambini.
Nel folklore tedesco, inoltre, si parla anche di diversi possibili genitori, noti per i cangianti:
∇ il diavolo, credenza condivisa da Martin Lutero che, per questo motivo, sosteneva l’uccisione dei Cangianti;
∇ una nana femmina;
∇ uno Spirito dell’acqua;
∇una Roggenmuhme o Roggenmutter (donna demoniaca che vive nei campi di grano e ruba bambini umani).
In Polonia c’era il Mamuna o Boginki, uno spirito che scambiava i bambini nella culla.
Questi Cangianti avevano un addome anormalmente grande, una testa insolitamente piccola o grande, una gobba, braccia e gambe sottili, un corpo peloso e lunghi artigli.
Inoltre, i Cangianti Mamuna mettevano la loro prima serie di denti prematuramente rispetto a un bambino umano.
Le madri, per proteggere il proprio figlio dal rapimento della Mamuna, legavano un nastro rosso attorno al polso del bambino, gli metteva un cappello rosso in testa e lo teneva lontano dalla luce della luna.
Altri metodi preventivi includevano il non lavare i pannolini dopo il tramonto, e il non voltare mai la testa dal bambino mentre dormiva.
Tuttavia, se un bambino veniva rapito dalla Mamuna, si poteva costringerla a restituirlo, portando il Cangiante in un letamaio, frustandolo con un bastoncino di Betulla e versandogli sopra dell’acqua da un guscio d’uovo, il tutto gridando:
“Prendi il tuo; restituiscimi il mio“.
In genere, il Mamuna si dispiaceva per il proprio figlio e lo restituiva alla madre.
In Galles, il bambino Cangiante inizialmente assomigliava a quello umano sostituito, ma gradualmente diventava più brutto nell’aspetto e nel comportamento: malformato, con un cattivo carattere, che urlava e mordeva.
Poteva anche essere meno intelligente del solito, oppure essere ugualmente identificabile per via della sua saggezza ed astuzia tipica di un adulto.
Il modo più comune impiegato per identificare un Cangiante era cucinare un pasto in un guscio d’uovo, cosa che avrebbe fatto esclamare al bambino: “Ho visto la ghianda prima della quercia, ma non ho mai visto qualcosa di simile” e poi sarebbe svanito, per essere sostituito dal bambino umano originale.
In alternativa, o in seguito a questa identificazione, sarebbe stato necessario maltrattare il Cangiante mettendolo in un forno caldo, tenendolo in una pala sopra un fuoco caldo, o bagnandolo in una soluzione di Digitale.
In Irlanda, guardare un bambino con invidia, ovvero “guardare oltre il bambino“, era pericoloso, poiché metteva in pericolo il piccolo, che allora era in potere delle fate.
Così come era pericoloso anche ammirare o invidiare una donna (soprattutto neo sposa o neo mamma) o un uomo, naturalmente belli, a meno che la persona non aggiungesse una benedizione.
Varie leggende descrivono modi per sventare un’aspirante fata rapitrice, per esempio gridando: “Gairim agus coisricim thú” (Ti benedico) o “Dio ti benedica“, che avrebbe indotto la fata ad abbandonare il bambino che stava cercando di rubare.
Un’altra possibile tattica era quella di inserirsi in una discussione su chi avrebbe tenuto il bambino, urlando alla fata: “a me“, cosa che l’avrebbe indotta a restituire il bambino umano.
I Cangianti, in alcuni casi, non erano considerati bambini fatati sostituti, ma piuttosto vecchie fate portate nel mondo umano per morire.
Il nome Siofra, dato oggi alle ragazze irlandesi, significa “bambino elfico o cangiante”, e deriva da Síobhra che significa fata .
La credenza nei Cangianti resistette in alcune parti dell’Irlanda fino al 1895, quando Bridget Cleary fu uccisa dal marito che la credeva una Cangiante, per costringere le fate a restituire la sua “vera” moglie.
In generale, esistevano dei modi per tenere lontane le fate dalle culle dei neonati, come un cappotto rovesciato o forbici di ferro aperte, lasciate dove dormiva il bambino, che si pensava le allontanasse; altre misure includevano una costante sorveglianza sul piccolo.
Ma quando veniva rapito un adulto al posto di un bambino, al posto dell’umano rubato veniva lasciato un oggetto, come un tronco incantato con le sembianze della persona rapita.
Quest’oggetto al posto dell’umano poteva ammalarsi e morire, essere sepolto dalla famiglia umana, mentre l’umano vivente continuava a vivere tra le fate.
Vi lascio con una bella leggenda sui Mutaforma, raccontata dai Fratelli Grimm.
Nel 1580, in un campo vicino a Breslavia, in Germania, c’era un nobile che, ogni estate, richiedeva ai suoi sudditi di raccogliere il suo grande raccolto di fieno.
Nessuno era esentato da questo lavoro manuale, nemmeno una neomamma, che aveva partorito il suo primo figlio appena una settimana prima.
Non potendo fare altrimenti, la giovane madre portò con sé il neonato nel campo del nobile e si mise al lavoro, deponendo il bambino in un piccolo fazzoletto d’erba.
Quando più tardi tornò ad allattare il bambino, questi iniziò a ululare in modo disumano e le morse il seno con tanta forza e avidità, che la donna gridò di dolore.
Il piccolo non assomigliava per niente al bambino che conosceva, ma la mamma tornò a casa e lo tenne con sé per diversi giorni, tollerando nel frattempo il suo comportamento disgustoso, finché non riuscì più a sopportarlo.
Si rivolse al nobile per chiedere aiuto, e lui le disse: “Donna, se pensi che questo non sia tuo figlio, allora fai questa cosa. Portalo nel prato dove hai lasciato il tuo bambino precedente e battilo forte con un bastoncino di Betulla. Allora sarai testimone di un miracolo”.
La donna fece come le era stato detto e picchiò il bambino con un bastoncino, finché non iniziò ad urlare.
Fu allora che le apparve il Diavolo, tenendo in braccio il suo bambino rubato, e le disse: “Ecco, ce l’hai!”
E portò via il suo demoniaco figlio.
Fate attenzione…
Le leggende del Portogallo e della Spagna parlano di una terra incantata, Mourama, in cui un popolo magico, i Mouros, dimora sotto terra in Portogallo e Galizia.
Mourama è l’aldilà, il mondo dei morti da cui tutto ritorna.
Il Mourama è governato da un essere incantato chiamato rei Mouro (re Mouro) che vi abita con sua figlia, la princesa Moura (principessa Moura), una mutaforma che può trasformarsi in un serpente, chiamato anche “bicha Moura”, o può anche essere vista cavalcare un drago.
Il folklore galiziano dice, che “In Galizia ci sono due tipi di persone sovrapposte: una parte vive sulla superficie della terra, ed è il popolo galiziano, e l’altra nel sottosuolo, i Mouros“.
Nel XIX secolo, gli archeologi usavano le storie locali per individuare la posizione di antichi resti di interesse storico, in particolare insediamenti lusitani abbandonati da tempo, poiché le storie su Moura erano spesso collegate a tali luoghi.
I Lusitani erano un popolo indoeuropeo, che abitava la penisola iberica prima della sua conquista da parte della Repubblica Romana.
Le monete antiche, a volte rinvenute presso i forti collinari di quelle zone, erano quindi conosciute come “medaglie dei Mouros”.
Quasi tutti i villaggi portoghesi o galiziani raccontano di una Moura encantada, che si dice abitasse nella zona.
Infatti, nella penisola iberica, i monumenti funerari non più in uso sono spesso associati alla Moura, e le tombe scavate nella roccia sono conosciute come Covas da Moura (grotta di Moura), Cama da Moura (letto di Moura) o Masseira (il luogo dove il Pane è impastato da Moura).
In alcune regioni, i dolmen sono popolarmente chiamati mouras o Casa da Moura (casa della Moura), credendo comunemente che le Mouras encantadas vivessero in quelle costruzioni.
L’origine del nome Moura rimane sconosciuta e gli studiosi hanno offerto diverse spiegazioni.
La parola potrebbe derivare dal celtico Mrvos, proveniente da “mr-tous”, derivante a sua volta dal latino “mortuus” = morto.
Da notare che questo termine ha lo stesso significato “morto”, sia in portoghese che in galiziano.
Però, tradizionalmente, la parola Mouro era usata anche come sinonimo di “moro” o “musulmano” nella penisola iberica, in quanto per secoli ha ospitato i Mori.
Quindi, è possibile che il nome Moura (la versione femminile di Mouro) sia legato all’idea che i Mori abbiano creato questi antichi monumenti non cristiani con cui la Moura encantada è comunemente associata.
Inoltre, la parola celtica “mahra” significa “spirito”.
In generale, la principessa Moura encantada (l’incantata Moura), quindi è un essere soprannaturale nel folklore portoghese e galiziano, solitamente descritta come una donna che si pettina i suoi bellissimi capelli lunghi, che possono essere dorati, rossi o neri come la pece.
È sotto un incantesimo lanciato solitamente dal padre, o fratello, o amante o un’altra figura maschile, varia da una leggenda all’altra, per costringerla a rimanere ferma e custodire i suoi tesori.
La fanciulla mutaforma, quindi, promette una ricca ricompensa a chiunque sia in grado di spezzare l’incantesimo e liberarla.
La ricompensa consiste in tesori, anche se in altre versioni la Moura si trasforma in una donna umana e sposa il suo salvatore, spesso portando in dote oro ed altri tesori.
Per spezzare l’incantesimo, occorre ad esempio un bacio, latte o pane senza sale.
È particolarmente probabile che la Moura sotto forma di serpente chieda latte.
In alcune storie, l’incantesimo si spezza quando l’umano dice una certa parola o compie una certa prova (per esempio non guardare qualcosa di nascosto).
Se l’umano tenta di liberare la Moura ma fallisce, l’incantesimo viene raddoppiato.
Entrando più nello specifico delle descrizioni di questa magica mutaforma, ne troviamo diverse:
Moura Mãe: Madre Moura, che appare come una bellissima giovane donna incinta.
Cerca un’ostetrica e promette di dare una grande ricompensa all’uomo che può aiutarla.
Moura Fiandeira: Fanciulla filatrice Moura, che appare portando una pietra sulla testa.
Trasporta pietre per costruire un forte sulla collina, mentre fila la lana con una conocchia portata in vita.
Moura serpente: Serpente Moura è una creatura mutaforma che può assumere la forma di un serpente.
Si può placare questa creatura dandole del latte.
In alcune delle storie, il serpente ha le ali, oppure la Moura assume la forma in parte di serpente, in parte di donna.
In alcuni racconti, può assumere talvolta sembianze di cane (cão), capra (cabra) o cavallo (cavalo).
Le storie locali su un serpente Moura sono spesso legate a una fontana, alla cui acqua si attribuiscono proprietà magiche.
In circostanze particolari, bere l’acqua della fontana può far innamorare un giovane della Moura.
Pedra Moura: pietra della Moura, creatura che risiede all’interno della pietra.
Lo sfortunato che si siederà su una di queste pietre rimarrà incantato.
Se porti una di queste pietre nella tua casa, tutti gli animali di quella casa moriranno presto.
Tuttavia, queste pietre sono attraenti per gli umani, perché si ritiene che contengano tesori.
Ci sono diverse leggende in cui la Moura, invece di essere una pietra, vive dentro la pietra.
Nella tradizione portoghese si dice che si possa entrare o uscire da certe rocce, forse legate alle leggende della Moura.
Infatti questo mutaforma è anche descritto mentre viaggia verso Mourama, stando seduto su una pietra che può galleggiare nell’aria o nell’acqua.
Dentro le grotte, sotto le rocce e sotto terra, molte storie dicono che esistano palazzi con tesori.
E comunque non era raro tra i popoli della penisola iberica preromana credere, che le anime dei morti dimorassero in certe rocce.
Così “almas dos Mouros” o “alminhas dos Mouros” (anime o piccole anime dei Mouros) era il nome dato alle are votive, in quanto “alminhas” era il nome comune dell’edicola funeraria.
Si credeva che le Mouras encantadas fossero le costruttrici delle fortezze paleolitiche, dei dolmen e dei megaliti.
Sembra che la Pedra Formosa trovata a Citânia de Briteiros, fu portata in questo luogo da una Moura che la trasportava sulla testa mentre filava con un fuso. Inoltre, solitamente le Mouras sono tessitrici notturne, ma di notte si sente solo il rumore della tessitura.
Moura Frades: Frati delle Mouras sono le creature incantate che appaiono come colonne di pietra bianca, in quanto sono tutte vestite di bianco.
Princesa Moura: Principessa Moura, che sembra un serpente ma con lunghi capelli biondi.
In molte storie, soprattutto quelle di origine portoghese, inizia la sua vita da mortale, come una bellissima principessa musulmana, che si innamora di un cavaliere cristiano portoghese durante il periodo della Riconquista.
In un’altra versione abbastanza comune, è una principessa magica che vive in un castello sotto terra e si innamora di un moro.
Molte delle leggende raccontate sui principi Moura tentano di spiegare l’origine di una città o di un altro insediamento, e gli eventi della leggenda si svolgono nel mondo reale e in un periodo di tempo specifico.
Spesso fatti storici reali sono stati mescolati con elementi soprannaturali.
Moura Lavadeira: Moura lavandaia, che appare come una lavandaia che mette ad asciugare al sole vestiti bianchi puliti.
Moura Velha: Moura vecchia, che appare come una donna anziana.
Cadeira de Moura: La sedia di Moura è un monolite con la forma di una sedia, pensata per essere un trono reale.
La Moura si siede sulla sedia di notte e, ogni volta che va a prendere l’acqua, porta la sedia sotto il braccio.
Moura encantada e ouro: Molte storie sulle Mouras riguardano l’oro, che può apparire in molte forme diverse, tra cui gonne d’oro, filati d’oro, capelli d’oro, strumenti d’oro (come il pettine d’oro) o animali d’oro.
A volte l’oro sembrerà carbone o fichi.
Esso può essere nascosto all’interno di contenitori interrati, come vasi e padelle e ciò potrebbe essere collegato a reali scoperte di oro all’interno di urne in antiche tombe nella penisola iberica.
Quando la gente del posto si imbatteva in un tesoro nascosto come quello, la leggenda di Moura avrebbe aiutato a spiegarne l’esistenza.
In alcune storie, la Moura custodisce tre pentole: una pentola d’oro, una pentola d’argento e una pentola di peste.
Moura encantada e São João (mezza estate): Molte leggende sulla Moura narrano che si mostra con i suoi tesori solo il giorno di San Giovanni, e che questo è l’unico giorno dell’anno in cui puoi rompere con successo l’incantesimo.
In alcune storie, la Moura spargerà fichi su una grande roccia al chiaro di luna. Mentre, in alcune regioni della penisola iberica, il figo lampo (un tipo di fico bianco) viene raccolto in questo periodo dell’anno e tradizionalmente offerto in dono il giorno di San Giovanni.
Ricordo che il giorno di San Giovanni cade il 24 giugno, il che significa che è strettamente associato al Solstizio d’estate.
L’idea che al Solstizio d’estate (mezz’estate) venga conferito un’importanza speciale e un significato soprannaturale risale ai tempi precristiani ed è presente in molte culture diverse.
LEGGENDA DI MOURA SALÚQUIA
La principessa Salúquia, figlia di Abu-Hassan e governatore della città di Moura, allora chiamata Al-Manijah, si innamorò di Bráfama, sindaco moresco di Aroche.
Alla vigilia del matrimonio, Bráfama si recò con un seguito ad Al-Manijah, a dieci leghe di distanza ma, siccome l’intero territorio dell’Alentejo a nord ed a ovest era già stato conquistato dai Cristiani, il viaggio si rivelò pericoloso.
Nel frattempo, re D. Afonso Henriques, il primo sovrano del Portogallo, commissionò a due nobili, i fratelli Álvaro e Pedro Rodrigues, la conquista della città di Moura.
Venuti a conoscenza dei preparativi per il matrimonio, i fratelli tesero un’imboscata in un uliveto vicino ai limiti del villaggio e, sorpreso dall’azione dei cavalieri cristiani, l’entourage di Aroche fu facilmente sconfitto e Bráfama fu ucciso.
Travestendosi con le vesti dei rappresentanti musulmani, i nobili cristiani si recarono in città, dove Salúquia era in cima alla torre del castello, attendendo l’arrivo del suo fidanzato.
Vedendo avvicinarsi un gruppo di cavalieri apparentemente islamici, la principessa pensò che fossero il seguito di Aroche, così ordinò loro di passare attraverso le porte della fortificazione.
Ma, non appena varcarono le mura, i Cristiani si avventarono sui difensori della città, colti di sorpresa, e conquistarono il castello. Salúquia allora si rese conto dell’errore che aveva commesso e, ferita dalla certezza della morte di Bráfama, prese le chiavi della città e si lanciò dalla torre in cui si trovava.
Commossi dalla storia d’amore che gli Islamici sopravvissuti raccontarono loro, i fratelli Rodrigues ribattezzarono la città in “Terra di Moura Salúquia”, l’odierna Moura.
Una torre di fango nel castello di Moura è ancora oggi chiamata “Torre di Salúquia”, e un uliveto vicino a Moura, quello in cui si suppone che Bráfama e il suo entourage siano caduti in un’imboscata, è chiamato Bráfama de Aroche.
Infine, nello stemma della città è raffigurata una moura morta a terra, con una torre sullo sfondo, in allusione alla leggenda di Moura Salúquia.
Caro navigante, se ami questi luoghi misteriosi e fatati, potresti fare il percorso pedonale “Caminho da Moura Encantada“, con partenza da Santa Clara, Alcaravela, un percorso circolare di circa 15,5 km, che presenta alcune difficoltà specifiche, ma offre l’opportunità di esplorare luoghi fantastici.
E’ moderatamente impegnativo, ottimo per il trekking, richiede una media fino a 4 ore per essere completato, ed è improbabile incontrare molte altre persone durante l’esplorazione.
Tranne le Mouras, naturalmente…
“Ninna nanna ninna oh,
Questo bimbo a chi lo do?
Lo darò alla Befana che lo tiene una settimana,
lo darò all’uomo nero che lo tiene un giorno intero,
lo darò alla sua mamma che gli canta una ninna nanna.”
L’Uomo nero (o Babau, o Mamau), conosciuto negli altri Paesi del mondo come:
–Bogeyman, Bogyman, Bogy, Bogey, Bogieman, Boogie monster, Boogieman, Bugaboo, Boogie woogie, Bugabear, Boogeyman, Puck (Paesi anglofoni ed americani)
–Bogle (Scozia)
–Pùca, Pooka o Pookha (Irlanda)
–Pwca, Bwga o Bwgan (Galles)
–Butzemann (Germania)
–Babulas (Grecia)
–Buka, Bubay, Babayka (Russia)
–Boeman (Olanda)
–Kkullas (Cipro)
–Croquemitaine (Paesi francofoni)
–El Coco o El Cuco (Paesi ispanofili)
–Coca (Portogallo)
–Cuca (Brasile)
ed altre innumerevoli varianti, è una creatura leggendaria solitamente usata dagli adulti per spaventare i bambini, che non si comportavano bene.
Questa figura mostruosa è stata utilizzata fin dall’antichità per insegnare ai bambini un determinato comportamento, come evitare che essi andassero con estranei, o inducendoli a dormire prima che il mostro venisse a mangiarli.
Non esiste una figura specifica di riferimento per la descrizione di questo essere, ma comunemente è raffigurato con un aspetto androgino o maschile, scuro, mostruoso, che incute terrore.
Il suo aspetto differisce a livello culturale, ci sono spesso alcune somiglianze condivise tra le creature, ad esempio, molti degli Uomini neri sono raffigurati con artigli, zanne o denti aguzzi.
Alcuni sono persino descritti con certe caratteristiche animali come corna, zoccoli e sembianze simili ad insetti.
Inoltre, la maggior parte degli Uomini neri appartiene alla varietà degli spiriti, mentre la minoranza è costituita da streghe, demoni ed altre creature leggendarie.
L’Uomo nero può avere tre tipi di personalità:
1) quello che punisce i bambini che si comportano male
2) quello più incline alla violenza
3) quello che protegge gli innocenti.
Solitamente, la maggior parte di questi mostri vuole solo spaventare i bambini disobbedienti, non vuole ucciderli.
Ma si raccontano anche storie di Uomini neri che rubano i bambini di notte e poi li mangiano.
In Italia, l’Uomo nero ha l’aspetto umano o di fantasma nero e, in alcune regioni, non ha le gambe, dalla vita in giù è sfumato.
Ma può anche avere delle corna da capra rivolte sul davanti della testa.
E’ alto, indossa un pesante cappotto nero con un cappuccio o un cappello nero che gli nasconde il volto.
A volte, i genitori bussano rumorosamente sotto il tavolo, fingendo che qualcuno stia bussando alla porta, ed avvertono i bambini che sta arrivando l’Uomo nero per punire chi non vuole mangiare la minestra.
L’Uomo nero non dovrebbe mangiare o fare del male ai bambini, ma portarli in un luogo misterioso e spaventoso.
Oppure, viene chiamato quando i bambini non vogliono dormire e, siccome teme la luce, molti di loro dormono con la lampada accesa.
Nel sud Italia, questa creatura viene chiamata Mamau, e dalle mie parte è ribattezzato “Gatto Mammone”.
L’intenzione dei miei genitori era di spaventarmi vista la mia natura ribelle, non immaginando che invece, non solo amavo i gatti soprattutto neri, ma mi piaceva tutto ciò che era “strano”, “diverso”, “spaventoso” ed emozionante, oltre al fatto che già in tenera età mi ero trovata davanti ad esperienze extrasensoriali.
Tra le varie leggende internazionali sull’Uomo nero, c’è quella sulla Cuca che, nel folklore brasiliano, è raffigurata come un alligatore umanoide femmina, o una vecchia signora con un sacco.
Esiste una famosa ninna nanna cantata da molti genitori ai propri figli, che dice che, se non dormiranno, la Cuca verrà a prenderli e ne farà una zuppa o un sapone, proprio come si dice in Spagna.
In Germania, il Butzemann può avere un aspetto simile a uno gnomo, o un altro aspetto demoniaco o spettrale.
Ma le leggende parlano anche di Buhmann, simile al Butzemann, e di Der schwarze Mann (Uomo nero), una creatura disumana che si nasconde negli angoli bui sotto il letto o nell’armadio, e porta via i bambini.
In Francia, il Croquemitaine (“Mangiaguanti“) è una figura maligna dai tratti somatici non definiti, che mangia il naso e le mani congelandoli con il freddo.
Il termine Croquemitaine risale all’inizio dell’Ottocento, quando Jacques Collin De Plancy, occultista e demonologo francese, vi consacra un articolo nel suo Dictionnaire infernal (1818), con un rinvio alla voce Babau.
Babau (o Babaou, Barbaou, Barbeu) è il nome usato ancora oggi in molte regioni della Francia, mentre in Canada si usa più Babou.
Collin de Plancy descrive il Babau come “una specie di orco o di fantasma con cui le nutrici del Sud della Francia minacciano i bambini piccoli, così come le nutrici di Parigi spaventano i bambini con il Croquemitaine“.
Molto comune nei Paesi di lingua spagnola è El Coco (o El Cuco, Cucuy o El Bolo), chiamato Cuca Fera in Catalogna.
I genitori cantano ninne nanne o raccontano filastrocche ai bambini avvertendoli che, se non dormiranno, El Coco verrà a prenderli.
Si chiama Coco, in quanto questo termine significa noce di cocco, e questo mostro viene descritto con una faccia pelosa e marrone con tre rientranze, proprio come il frutto, che ricordano un teschio.
Anche l’America Latina ha El Cuco (più frequente El Cucuy), che è abbastanza diverso da quello europeo, in quanto mescolato con credenze native e, a causa di contatti culturali, a volte più legato all’uomo nero degli Stati Uniti.
Tra i messicano-americani, El Cucuy è ritratto come un mostro malvagio, che di notte si nasconde sotto i letti dei bambini e rapisce o mangia il bambino che non obbedisce ai suoi genitori, o non va a dormire quando è ora di farlo.
Tuttavia, lo spauracchio ispano-americano non assomiglia al mostro informe o peloso della Spagna, è descritto più come un piccolo umanoide con occhi rossi luminosi, che si nasconde negli armadi o sotto il letto.
Ultimamente ho visto “The Outsider”, un’interessante miniserie televisiva statunitense del 2020, tratta dall’omonimo romanzo horror di Stephen King, proprio su questo argomento.
In effetti è la versione sull’Uomo nero, che più mi affascina.
Quindi, ricapitolando, in Portogallo, Spagna ed America Latina, i genitori a volte invocano di El Coco per scoraggiare i loro figli dal comportarsi male; cantano ninne nanne o raccontano filastrocche avvertendo i figli che, se non obbediranno, El Coco verrà a prenderli e poi li mangerà.
Non è tanto l’aspetto di El Coco a spaventare, ma che sia un rapitore e mangiatore di bambini disobbedienti, che possa immediatamente divorare senza lasciare traccia, o portare via con sé in un luogo senza ritorno.
Questo mostro è alla ricerca del comportamento scorretto dei bambini, osservandoli dai tetti, per prendere poi la forma di qualsiasi ombra oscura e rimanere a guardarli, finché non sia il momento di agire.
Alcune persone, però, descrivono El Coco come una rappresentazione dei defunti della comunità locale.
In Spagna:
Duérmete niño, duérmete ya…
Que viene el Coco y te comerá
Dormi bambino, dormi o …
il Coco verrà e ti mangerà
In Portogallo:
Vai-te Coca. Vai-te Coca
Para cima do telhado
Deixa o menino dormir
Um soninho descansado
Lascia Coca. Lascia Coca
Vai in cima al tetto
Lascia che il bambino
dorma tranquillo
In Brasile:
Dorme neném
Que a Cuca vem pegar
Papai foi pra roça
Mamãe foi trabalhar
Dormi piccola
Che viene a prenderti Cuca
Papà è andato al podere
Mamma è andata a lavorare
Il mito di El Coco ha dato vita anche a Bloody Bones, un essere registrato dallo scrittore americano John Locke nel 1693, la cui origine si trova nel Regno Unito e si estende fino agli Stati Uniti.
Si dice che questa creatura viva vicino agli stagni, dove aspetta
“seduto su un mucchio di ossa rosicchiate che sono appartenute a bambini che hanno detto bugie o parolacce“.
Molto importante da ricordare è che El Cuco, o che dir si voglia, sia fondamentalmente un Mutaforma estremamente orribile da guardare.
Spesso può avere sembianze di drago, spirito, strega, balena, tartaruga, sirena, delfino, o semplicemente “di ciò di cui hai più paura”.
Ma la forma più pericolosa è sicuramente la mutazione in umano, in cui El Cuco usa i suoi poteri per addormentare le persone ed entrare nelle loro menti, riuscendo poi a prenderne anche le sembianze.
Fate attenzione…
“La forza magica del Coco
è proprio la sua sfocatura.
Non può mai apparire
anche se infesta le stanze”
-García Lorca-
Nella mitologia cinese, coreana e giapponese solitamente si crede, che tutte le cose siano in grado di assumere forme umane, poteri magici ed immortalità, a condizione che ricevano a tal fine sufficiente energia, come ad esempio il respiro umano o l’essenza della Luna o del Sole.
Così come ho scritto per il Kitsune giapponese, anche il folklore cinese ha uno “spirito-volpe”, chiamato Hǔli jīng (狐狸精).
Durante la dinastia Tang, considerata un po’ come l’Età d’oro delle arti e della cultura cinese, il culto dello spirito-volpe era abbastanza comune.
La gente faceva offerte di cibo e bevande, ai santuari delle Volpi costruiti nelle proprie case, chiedendo favori e si diceva persino che:
“dove non c’è un demone-volpe, non si può stabilire nessun villaggio”.
Ed anche quando la venerazione della Volpe fu bandita durante la dinastia Song, il culto dell’Hǔli jīng ha continuato ad esistere.
Quindi, malevolo tanto spesso quanto benevolo, l’Hǔli jīng è temuto e venerato in Cina da millenni, e le persone continuano ad approntare piccoli santuari nelle proprie case e ad inseguire branchi di cani, nel sospetto che si tratti di spiriti-volpe.
In cinese, Hǔli significa ‘volpe’ e jīng è la parola per ‘essenza’.
Si ritiene che l’Hǔli jīng sia una creatura di yin, che consuma energia yang maschile.
L’ Hǔli jīng è usato come espressione colloquiale, per quello che è visto come il potere pericoloso di coloro che hanno una bellezza seducente, con la connotazione negativa della licenziosità, è un termine molto antico, usato per descrivere quindi gli spiriti-volpe.
Nello specifico, ‘Laohu’ (Volpe invecchiata) si riferisce alle volpi longeve; ‘Huxian’ sono quelle che sono trascendenti o immortali; ‘Jiuwei hu’ è una volpe a nove code, la più antica e magica delle volpi.
Solitamente ritratto come una bellissima Volpe con nove code, Hǔli jīng è una creatura magica con una vasta gamma di abilità.
E’ più famosa per la sua abilità Mutaforma, ma anche per la sua abitudine di sedurre i giovani, mentre si trasforma in una bellissima fanciulla, ma può anche trasformarsi in uomo giovane o anziano.
Ma prima di potersi trasformare in essere umano, l’Hǔli jīng ha bisogno di invecchiare un po’:
“A cinquant’anni una volpe può trasformarsi in una donna. A cent’anni può trasformarsi in una bella ragazza o in un mago o in un uomo che seduce le donne; può conoscere avvenimenti mille li lontani; può ammaliare le persone, portandole fuori strada e facendole perdere il senno. All’età di mille anni può comunicare con il cielo e diventare una volpe celeste”.
— Kuo Po, 324 d.C-
Inoltre, ha bisogno di mettere un teschio umano sulla sua testa di Volpe, prima di subire la trasformazione, e le sue caratteristiche animali a volte si notano nonostante la trasformazione, facendo trapelare una coda o orecchie che emergono dalla sua forma umana.
Un altro potere di questo spirito-volpe è quello di incantare le persone, facendogli eseguire i suoi ordini, molto spesso di copulare con l’Hǔli jīng, in modo da poter rubare la loro forza vitale.
Un Hǔli jīng può avere varie motivazioni per fare qualcosa del genere, ma la principale è piuttosto malevola: prosciugare l’essenza vitale della vittima, di solito nel bel mezzo di un atto sessuale.
Rubare la forza vitale di un essere umano può anche essere realizzato, rimanendo in forma di volpe, poiché è noto che l’Hǔli jīng toglie il respiro alla vittima mentre dorme.
A questo spirito-volpe piace anche ingannare gli umani, interpretando quindi il ruolo di un imbroglione.
Nello stesso tempo, l’Hǔli jīng può essere perfettamente gentile e amichevole ed aiuta le persone, soprattutto se sono vittime della crudeltà umana.
Le volpi benevole, infatti sono note per aiutare gli umani in vari modi: possono rimanere fedeli a un coniuge, aiutare a trovare oggetti smarriti e fornire doni come ricchezza, prosperità e immortalità.
Alcuni Hǔli jīng si sforzano di migliorare se stessi, attraverso l’isolamento e la meditazione nel tentativo di ascendere alla divinità.
Infatti le Volpi spirituali superiori praticano l’auto-coltivazione, assorbendo l’essenza dalla natura per affinare il loro spirito. Attraverso la meditazione e la purificazione, gli Hǔli jīng con questi poteri naturali cercano di raggiungere l’immortalità e la divinità.
Le Volpi prive di questa abilità coltivano invece il loro aspetto fisico per ammaliare, illudere e possedere le persone.
Assimilando l’essenza vitale degli umani, esse arricchiscono il proprio spirito.
Quindi, se trattato bene, è spesso benevolo, ma quando viene maltrattato può diventare violento.
L’Hǔli jīng possiede una grande intelligenza e conosce molte cose sui regni naturali e celesti.
Tecnicamente, l’Hǔli jīng è immortale, tuttavia potrebbe essere ucciso, sia con armi umane che dai cani, il suo più grande nemico.
Infatti, se viene scoperto quando è sotto forma umana, gli uomini possono ucciderlo per il suo inganno senza timore di rappresaglie.
Inoltre, tutte le volpi spirituali, hanno paura dei cani e, quando sono in forma umana possono talmente innervosirsi, da tornare alla loro vera figura volpina e fuggire.
Inoltre, alcuni resoconti affermano, che l’Hǔli jīng può assumere l’aspetto di un essere umano solo durante il giorno.
Lo spirito-volpe cinese, consumando abbastanza essenza vitale, un giorno potrebbe trascendere in un essere celeste, ma soltanto se questa energia proviene dalla natura e non dagli esseri umani.
Quindi, un Hǔli jīng che depreda le persone, probabilmente non entrerà mai a far parte del regno celeste, mentre quello che si auto-alimenta e trae il suo potere dalla natura, ascenderà ai cieli.
Altri suoi poteri soprannaturali includono la creazione di illusioni o incantesimi, il linguaggio umano, la capacità di scomparire e riapparire, di diventare simile a nebbia, comunicare con il paradiso e l’immortalità.
Per alcuni, l’apparizione dell’Hǔli jīng può essere un presagio di morte, preannunciando guerre e disastri.
Esso si presenta in vari modi: attraverso un sogno, infestando persone o luoghi, causando malattie o morte, concedendo ricchezza o prosperità, fornendo servizi di guarigione o fertilità, o fornendo consigli morali.
“Alcuni dicono che quando il tipo guaito [di volpe] è vecchio, diventa un mostro. Indossano un teschio secco sulla testa, si vestono di foglie di quercia e assumono sembianze umane. Queste creature fanno del male in innumerevoli modi. Le persone danno fuoco alle montagne e scavano le loro tane, afferrando le frecce e guidando i loro segugi, pensando che se il tipo di volpe viene sradicato, la mostruosità cesserà. Non sanno che sebbene le volpi possano diventare dei mostri, non necessariamente lo fanno. Ogni tanto uno diventa un mostro, ma non tutti diventano mostri. …”
—He Bang’e, 1791, in ‘Occasional Records of Conversations at Night’
In linea di massima, l’Hǔli jīng è simile allo Kitsune giapponese, ma naturalmente ci sono alcune differenze.
Per esempio, il Kitsune è molto più simile alla vera Volpe, rispetto all’Hǔli jīng, in quanto invecchia, gli crescono code extra e diventa magico nel tempo; mentre il suo simile cinese è intrinsecamente spirito magico, indipendentemente dalla sua età.
Poi, la maggior parte delle raffigurazioni ritraggono l’Hǔli jīng con code molto lunghe, piedi umani, zampe di volpe al posto delle mani, orecchie di volpe ed una pelliccia più densa e ruvida.
Il Kitsune, d’altra parte, ha un aspetto più feroce: le sue mani sono umane ma con artigli lunghi e affilati, i suoi piedi sono un amalgama di volpi e lineamenti umani ed ha una pelliccia più morbida.
Sia Kitsune che Hǔli jīng possono essere moralmente ambigui ed avere miti che li ritraggono sia come buoni che come cattivi.
Tuttavia, solo l’Hǔli jīng può trascendere in essere celeste.
Invece, il Kitsune può crescere in potere, ma rimanere sempre un semplice spirito al servizio della Dea shintoista Inari.
Anche se si dovrebbe diffidare delle Volpi bisognose di essenza umana nel loro cammino verso l’immortalità, l’Hǔli jīng dovrebbe essere trattato con rispetto.
Può essere un imbroglione dispettoso, ma è anche una creatura intelligente, devota e spirituale.
Fate attenzione…
Kitsune è un nome generico di diversi tipi di Spiriti della mitologia giapponese ispirati da quella cinese, che raccontava storie di magiche Volpi a nove code, chiamate ‘huli jing’.
I Kitsune hanno debuttato per la prima volta nella letteratura giapponese nell’VIII secolo e, da allora, la loro leggenda non è mai svanita.
Si possono trovare come statue intorno agli antichi santuari di Inari, sui rotoli di calligrafia dei migliori artisti giapponesi e, naturalmente, in migliaia di racconti popolari.
I Giapponesi credevano talmente in queste magiche Volpi, da inventare speciali ricette di tofu, come offerte per quelle che vivevano intorno ai templi di Inari.
Le famiglie avevano le Volpi come animali domestici, credendo che avrebbero portato loro ricchezza e successo, oppure credevano di discendere dalle Volpi yako e quindi ostracizzate dalle loro comunità (leggerete la motivazione più avanti, quando scriverò degli Yako).
E molti casi di malattia mentale, erano descritti come ‘kitsunetsuki’ o possessione da parte delle Volpi.
I Kitsune giapponesi solitamente sono raffigurati come Volpi, in quanto questo animale in giapponese antico si dice ‘Kitsu’, mentre il termine ‘ne’ significa “stato d’animo affettuoso”.
Ecco che allora, la Kitsune-Volpe nella tradizione originale del folclore giapponese è un essere benevolo, dotato di intelligenza, in grado di vivere a lungo e di sviluppare con l’età poteri soprannaturali, oltre ad essere un Mutaforma, assumendo sembianze umane, spesso di una bella donna.
Mentre alcuni racconti popolari parlano di Kitsune che impiegano questa capacità per ingannare gli altri, come spesso fanno le Volpi nel folklore, altre storie li ritraggono come fedeli guardiani, amici e amanti.
I Kitsune erano strettamente associati a Inari, una divinità giapponese della fertilità, dell’agricoltura, del riso delle Volpi, dell’industria e del successo terreno.
In realtà, ci sono 13 diversi tipi di Kitsune, con ciascuno il proprio elemento, tra cui Cielo, Oscurità, Vento, Spirito, Fuoco, Terra, Fiume, Oceano, Montagna, Foresta, Tuono, Tempo e Suono.
Più una Kitsune invecchia, più aumentano le sue capacità e, quando compie 100 anni, può trasformarsi in un essere umano.
Kitsune può essere maschio o femmina, ma solitamente una mitica Volpe giapponese assume la forma di una giovane ragazza, o di bella donna e di uomo molto anziano.
In effetti, ci sono molte storie di Kitsune giapponesi che si trasformano in bellissime donne per intrappolare uomini potenti.
Se un Kitsune è in vena di creare problemi, può anche atteggiarsi a essere umano autoritario, come un principe che comanda un esercito o un nemico che deve essere umiliato.
Fortunatamente, il travestimento della Volpe raramente è perfetto tanto che, se lo prendi alla sprovvista, potresti intravedere la sua coda a spazzola!
A volte un Kitsune può apparire come un albero incredibilmente alto o come una seconda luna nel cielo, e addirittura può persino essere in grado di scomparire.
Ma non importa quale forma assuma un Kitsune, esso deve tenere sempre con sé il suo ‘hoshi no tama’, una sfera luminosa o una gemma iridescente.
La sfera contiene la sua anima e senza di essa diventerà impotente e morirà.
In forma umana, i Kitsune di solito indossano i loro ‘hoshi no tama’ come amuleti, ma in forma di Volpe, portano le sfere magiche in bocca o le attaccano alla coda.
Una delle abilità più conosciute della volpe giapponese è
‘kitsune-bi’ (狐火) o ‘fuoco di volpe’, una fiamma rossa prodotta respirando o agitando la coda, usata per attirare gli umani.
Kitsune può avere fino a nove code, più ne possiede e più è vecchio, saggio e potente e, quando ottiene la sua nona coda, la sua pelliccia diventa bianca o dorata.
Per uccidere uno Kitsune, bisogna tagliargli tutte le code.
Non esistono due Kitsune esattamente uguali e sono tutti personaggi complessi; la loro grande intelligenza e la loro sconfinata creatività li rendono difficili da prevedere.
Tuttavia, possono essere ampiamente suddivisi in tre gruppi: Zenko, Nogitsune e Yako.
Gli Zenko sono spiriti benevoli, Volpi giapponesi celesti associate al Dio Inari e pertanto, a volte chiamate semplicemente “Volpi Inari”.
Anche se non hanno nove code, queste Kitsune sono sempre raffigurate di colore bianco e amano particolarmente il tofu fritto a fette chiamato ‘aburage’.
Esse hanno il potere di allontanare il male e talvolta fungono da spiriti guardiani, proteggono i santuari di Inari, i villaggi locali dal malvagio Kitsune e da altre malevole Volpi giapponesi.
Nogitsune, anch’esse Volpi giapponesi della categoria Yokai (creature del folklore e dei miti giapponesi), sono demoni del Giappone, che ingannano persone di ogni genere di vita.
Le crudeli Volpi giapponesi prendono di mira i tratti negativi degli umani, come l’orgoglio, l’avidità e la vanità e, per il proprio divertimento, queste Kitsune addirittura possono abbattere anche il prete più devoto.
Raramente attaccano le donne, ma preferiscono invece possederle.
Quindi, usando la loro abilità kitsune ‘fuoco di volpe’, attirano uomini ignari verso il loro destino.
Gli Yako sono Volpi cattive, che possono essere decisamente distruttive.
Rovinano la reputazione, rubano oggetti di valore ed attirano persino i viaggiatori in trappole mortali.
La maggior parte delle volte, gli Yako prendono di mira persone arroganti o pigre, ma sono noti anche per molestare innocenti.
Come conseguenza dell’influenza che esercitano sulle persone e dei poteri loro attribuiti, i Kitsune sono venerati come fossero a tutti gli effetti delle divinità.
I Kitsune sono creature incredibilmente magiche ed i loro poteri sono limitati solo dalla loro immaginazione, il che, considerando la loro vivace immaginazione, significa che non sono affatto limitati!
Sono specializzati nell’arte dell’illusione, essere Mutaforma è solo la prima di molte abilità in quest’area.
Oltre a trasformare i loro corpi, queste Volpi magiche possono anche trasformare il mondo che le circonda, possono creare palazzi decadenti e giardini meravigliosi da un cimitero.
Possono evocare masse d’argento e d’oro, che al mattino si trasformano in erba.
E possono trascorrere anni in forma umana, senza mai essere identificati come una Volpe.
I Kitsune hanno anche poteri psichici, possono impossessarsi di corpi umani (di solito per umiliare una persona che ha fatto loro un torto), facendoli correre nudi per la città, o facendogli dare via tutti i loro soldi, o mangiare enormi quantità di cibo, finché non ingrassano.
Come misura meno drastica, un Kitsune potrebbe entrare nella mente di un essere umano mentre dorme, per consegnare un messaggio attraverso un sogno.
Alcuni Kitsune possono volare, altri possono sputare fuoco, oppure controllare il tempo o vedere il futuro.
Nel folklore giapponese, ci sono molte storie di Kitsune, che si innamorano di un uomo e scelgono di vivere la propria vita nel mondo umano.
La maggior parte delle storie segue lo stesso schema: un giovane si innamora di una bella signora-Volpe e la sposa, ignaro della vera identità della donna, la quale dimostra di essere una moglie molto leale e buona.
Ma una volta che l’uomo casualmente scopre che sua moglie è una Volpe, il Mutaforma deve scappare, per sfuggire all’ira degli abitanti del villaggio.
La moglie-Volpe giapponese più famosa è ‘Kuzunoha’, madre di ‘Abe no Seimei’, un onmyōji, cioè un mago specializzato in onmyōdō (un misto di occultismo e di scienze naturali).
Inoltre, i figli partoriti dalle mogli-Volpi ricevono una parte delle capacità soprannaturali kitsune della madre.
Quando la pioggia cade in un cielo limpido, i Giapponesi dicono che due Kitsune si sposano, cosa naturalmente considerata di buon auspicio.
Per riconoscere ed allontanare dalla tua vita un Kitsune indesiderato, devi innanzitutto controllare, se i tratti del suo viso assomigliano a quelli di questo Mutaforma, tipo se gli occhi sono di un colore diverso, o se ha baffi simili a quelli della Volpe.
Poi, prova a trovare la sua coda: se ci riuscirai, esso scapperà imbarazzato.
Infine, presentati a lui con un cane, animale odiato dai Kitsune che, quindi, appena lo vedrà scapperà più velocemente possibile.
Altrimenti, se nessuno di questi consigli funzionerà, porta il tuo Kitsune al santuario di Inari più vicino e lì se ne occuperanno.
Se invece desideri attrarne uno, prova a lasciare del tofu fritto a portata di mano; oppure potresti anche passare un po’ di tempo in un santuario di Inari in Giappone e vedere se riesci a trovarne uno…
Il luogo perfetto sarebbe Zao Fox Village, nella prefettura di Miyagi.
Lì, attirerai sicuramente un sacco di volpi giapponesi!
Un’ultima curiosità, probabilmente per i più giovani (o aggiornati) di voi: la figura degli Kitsune si è diffusa in tutto il mondo infatti, poiché queste Volpi sono creature estremamente adorabili, si trovano nell’intrattenimento visivo come fumetti, anime e videogiochi: Naruto, Pokemon, Animal Crossing, Zelda e Mario.
Fate attenzione…
La Strige, in latino e in greco Strix, nella mitologia era un uccello notturno di cattivo auspicio, prodotto di una metamorfosi, che si nutriva di sangue e carne umana.
Nello stesso tempo, Strix (dal greco “stridere”, a causa del suo verso) è anche un genere di uccelli della famiglia degli Strigidae, che comprende Gufi ed Allocchi.
Pertanto, si accomunava il verso dei Gufi con quello della Strige e viceversa.
Questa creatura, con le altre varianti conosciute, era un demone che si credeva attaccasse i bambini, per prosciugarne il sangue.
Differiva dalle altre creature vampiro, in quanto era considerata un mutaforma, piuttosto di un morto che ritornava in vita.
Quindi, la Strige era una creatura terrificante, che possedeva una reputazione terrificante, ed era descritta come un uccello.
La Strige aveva il becco dorato, ali di colore rosso e zampe nere, con piedi artigliati, che l’aiutavano a cacciare le sue prede.
I suoi occhi erano diversi da quelli dei gufi, perché erano gialli e rotondi senza pupille.
Secondo Plinio, la Strige era impiegata nelle maledizioni e il suo nome poteva essere anche usato come un’invettiva.
Con le sue piume si creavano pozioni magiche d’amore, così come scrive Orazio nella sua opera “Epodi”.
In altre leggende, invece, il piumaggio della Strige veniva usato per creare una pozione di ringiovanimento, se combinato con vari altri ingredienti.
La Strige segnalava un attacco con terribili strilli e spesso stava appesa a testa in giù, come i pipistrelli.
Quando attaccava, quasi sempre in gruppo, questo essere causava disgrazie alle vittime, spruzzandole con latte maleodorante o causando danni più gravi, come usare i suoi artigli feroci per sventrare i bambini.
L’aglio era spesso utilizzato come un mezzo per sbarazzarsi dello spirito malvagio e prevenire tali attacchi.
Le Strigi si potevano trovare anche nel Tartaro o negli Inferi, luoghi in cui mostravano ulteriormente la loro natura oscura.
Il primo racconto ufficiale sulla Strige è tratto dalla perduta opera “Ornitologia”, dell’autore greco del III secolo a.C., Boeus, parzialmente inserita nelle “Metamorfosi” di Antonino Liberale.
Questo racconta la storia di Polifonte la quale, figlia di Ipponoo e Thraissa, respinse Afrodite ed andò sulle montagne, come compagna di Artemide nei suoi divertimenti.
Irritata per l’insulto, l’offesa Afrodite la fece innamorare follemente di un orso.
Quando Artemide scoprì questa situazione, sentendosi tradita, con odio amaro le rivoltò contro le bestie feroci.
Allora Polifonte fuggì spaventata nella casa del padre e, a tempo debito, diede alla luce due figli, Agrio e Oreio, che divennero uomini di grande statura e forza immensa.
Essi, però, non mostravano onore né a Dio né all’uomo, ed erano sfrenatamente insolenti verso tutti.
I gemelli rapivano tutti gli stranieri che incontravano e banchettavano con la loro carne.
Così incorsero nell’ira di Zeus, che mandò Hermes a punirli.
Il Dio stava per tagliare loro mani e piedi, ma Ares, a cui Polifonte faceva risalire la sua stirpe, li salvò da questo destino.
Così Polifonte ed i suoi figli furono trasformati in uccelli e la donna divenne una Strige “che piange di notte, senza cibo né bevande, con la testa in basso e la punta dei piedi in alto, presagio di guerra e conflitto civile per gli uomini“.
Il primo riferimento latino è nello “Pseudolus” di Plauto, datato 191 a.C., in cui un cuoco, descrivendo la cucina dei suoi inferiori, paragona la sua azione a quella degli Striges, cioè sventrare una sfortunata vittima.
Seneca il Giovane, nel suo “Hercules Furens”, mostra le Strigi che abitano alla periferia del Tartaro.
Ovidio racconta la storia delle Strigi, che attaccarono il leggendario re Proca nella sua culla, e di come furono respinte con il Corbezzolo e placate con carne di maiale, come spiegazione dell’usanza di mangiare fagioli e pancetta nelle Calende di giugno.
Nell’antichità, si credeva che le Strigi potessero essere delle vecchie malvage, che di notte assumevano sembianze di uccelli orrendi, per dilaniare i lattanti.
Invece Gaio Petronio Arbitro, nella sua opera “Satyricon”, usa il termine Striga intendendo “Strega”, narrando di un giovane, che era stato attaccato dalle streghe, e ne colpì una coprendosi col mantello, per evitare di entrare in contatto diretto con l’essere.
La Striga, però, lo toccò ugualmente e, di conseguenza, il ragazzo diventò paonazzo e morì pochi giorni dopo.
Questo racconto dimostra che, probabilmente, nel linguaggio popolare il termine Strige era passato dall’indicare l’uccello malefico e di malaugurio, a quello di una donna malvagia, che si nutre di sangue, la Strega.
Solo successivamente, la Strega divenne una donna con poteri soprannaturali e frequentazioni demoniache.
Le leggende sulle Strigi sopravvissero fino al Medioevo, come riportato nelle “Etymologiae” di Isidoro, dando sia nome che attributi agli esseri indicati come Striga in latino, in tutta l’Europa centrale ed orientale.
Per esempio in rumeno, Strigăt significa ‘urlo’, Strigoaică è il nome del vampiro femminile rumeno, Strigoi è il vampiro maschio rumeno e in albanese si dice Shtriga.
Strigăt è anche il nome rumeno del Barbagianni comune e della falena Sfinge Testa di Morto.
Anticamente in Germania, con l’aumento dell’importanza dell’agricoltura, nella popolazione contadina crebbe di pari passo l’interesse per gli Spiriti dei Campi, i Feldgeister.
Questi favorivano o inibivano la crescita dei raccolti, motivo per cui si cercava di non irritarli, di scacciarli o di renderli amichevoli, oppure spesso causavano fulmini e pioggia.
Ad esempio, l’ondeggiamento del grano nel vento era dovuto al Windkatze (Gatto del vento), o del Wetterkatze (Gatto del tempo).
Anche Windsauen (Scrofe del vento), Windböcke (Cervi del vento) o Windwölfe (Lupi del vento) provocavano le nuvole nel grano.
Ai bambini era vietato raccogliere fiordalisi nei campi di grano, in particolare quelli blu, poiché avrebbero potuto facilmente cadere vittime del Bullkaters (Gatto-toro).
Durante la raccolta, bisognava fare attenzione al Korndämonen (Demone del grano).
Prima della falciatura, questo demone si nascondeva nell’ultimo covone, dove doveva essere ucciso, altrimenti sarebbe andato nell’aia con la mietitura.
Oltre agli Spiriti dei campi in forma animale, ce n’erano anche alcuni in forma umana, come Kornmutter (Madre del grano) o Kornweiber (Donna del grano), Hafermuhme (Mamma dell’avena) o Alte (Vecchi), i cui nomi danno l’idea di una Grande Madre Terra.
Il compagno della Kornmutter era il selvaggio Kornmann (Uomo del grano) con la sua mazza di ferro.
Le ultime spighe di grano ed i frutti degli alberi spesso non venivano raccolti, come sacrificio per gli Spiriti agricoli.
Durante la stagione del raccolto, un Feldgeist correva nelle profondità dei campi, per sfuggire alle falci e, con gli ultimi gambi di mais, esso rimaneva intrappolato.
Oppure veniva ucciso, mentre si tagliavano le spighe del grano, trebbiando il mais, e poi veniva portato al villaggio in maniera cerimoniale, a forma di bambola di mais.
Infatti, era consuetudine per lasciargli gli ultimi steli del raccolto in piedi, o fare bambole con l’ultimo covone, le quali venivano vestite ed erano l’ospite d’onore alla successiva festa del raccolto.
La bambola, poi, veniva riposta con cura in casa.
Probabilmente, gli spaventapasseri possono essere visti anche in relazione a tali usanze.
Entrare a contatto diretto con il Feldgeist provocava malattia.
A volte, i Feldgeister potevano essere evocati da streghe, sciamani, druidi ed altri maghi della natura, nei terreni agricoli.
Gli Spiriti dei campi si materializzavano o si manifestavano come contadini o braccianti, solitamente vestiti con abiti antichi.
A seconda di dove erano stati evocati, essi apparivano come giardinieri con grembiuli verdi, cappelli di paglia e tagliasiepi, come boscaioli o persino come pastori di bestiame.
Ecco i Feldgeister più conosciuti.
Ø Roggenmuhme (o Rogenmühme): il suo nome si traduce in “Madre della segale“. Si dice che abbia il seno pieno di catrame, con le punte ricoperte di ferro. Roggenmuhme cammina su e giù per il campo, si nutre del mais e strappa le spighe acerbe. La punta delle sue dita sputa fuoco e tiene in mano un bastone, o una frusta di betulla, da cui produce fulmini. È anche nota per trasformarsi in altri animali, come serpenti, tartarughe, rane. Quando è arrabbiata con il contadino, prosciuga il suo campo e così lo punisce. In generale, però, l’attraversamento del campo da parte di questo Spirito garantisce la fertilità. Alla mietitura fugge nell’ultimo covone. Roggenmuhme riceve anche una parte del raccolto, che viene lasciato ai margini o gettato nel campo. Questa usanza dovrebbe mettere la Madre della segale in uno stato d’animo misericordioso e portare a un fruttuoso raccolto, l’anno successivo. Roggenmuhme è nota per rapire bambini umani che cercano fiordalisi, oppure sostituisce i bambini con i Cangianti (creature simili agli umani). Costringe i bambini a succhiare il suo petto mortale e può colpirli con esso. Roggenmuhme insegue anche i bambini a velocità simili a quelle di un cavallo in corsa. Spegne la luce dei bambini e li picchia con la sua zangola di ferro. Roggenmuhme è anche la madre dei Roggenwölf (Lupi di segale) potendo assumere, lei stessa, la forma di un lupo. A volte Roggenmuhme è accompagnata da cagnolini, che guidano i bambini nel suo abbraccio di ferro.
Ø Roggenwolf: equiparato al Lupo mannaro, il ‘Lupo di segale’ è uno spirito campale a forma di lupo. Questo Spirito ruba i bambini e si nutre di loro.
Ø Haferbock: il Caprone dell’avena è uno spirito strettamente legato alla vegetazione e alla coltivazione dei semi, che incarna l’atto di rigenerazione e il cerchio della vita per le piante o le cose in crescita. L’Haferbock solitamente assume la forma di una capra, ma può anche assumere la forma di un uccello a tre zampe, o di un ibrido capra-uccello. Si nasconde nei campi di grano, cercando di fuggire da eventuali intrusi o umani che incontra ma, se dovessi raggiungere l’Haferbock, o peggio, toccarlo, il meglio che potrà succederti, è avere sfortuna per il resto della giornata. Se incontri un Haferbock particolarmente malvagio, potrebbe schiaffeggiarti in faccia, prenderti a calci, morderti o persino divorarti. Inoltre, non imitare mai il grido dell’Haferbock, in quanto non ama le imitazioni, quindi farà tutto il possibile per catturarti. Anche se non ci riuscirà, troverai il mantello insanguinato di un uccello-capra morto, appeso fuori dalla tua finestra quando torni a casa e, fidati, non sarà uno spettacolo piacevole.
Inoltre, non dovresti mai lasciare che i tuoi figli si avvicinino ai tuoi campi di grano, poiché l’Haferbock ama molto i bambini e non in senso positivo. Sembra che questa leggenda abbia avuto origine dal desiderio dei contadini, di evitare che i loro figli entrassero nei campi di grano.
Ø Habergeiß: è l’equivalente femminile dell’Haferbock. Nel suo aspetto ricorda una capra domestica e bela anche così. Ma ride anche come un folletto, gracida come un rospo e bubola come un gufo. Infesta ogni sorta di luogo, anche fossi ed incroci, provocando ogni sorta di terrore alle persone. È un personaggio ambivalente, che da un lato assicura giustizia, come inseguire i ladri di legna, ma dall’altro deturpa grano e mucche, oppure opprime come un incubo le persone che dormono. Spaventa i bambini quando sono disobbedienti ed annuncia, bubolando come un gufo, la morte di una persona. A volte potrà apparire con solo tre zampe, o come capra-uccello e, chi imita il suo verso, verrà punito. L’ Habergeiß caccerà, graffierà o addirittura mangerà lo sbruffone. Questo Spirito del mais schiaffeggia anche le persone, che guardano fuori dalla finestra di notte. In un forte temporale l’ Habergeiß porta il grano tagliato dal campo dell’agricoltore a quello di un’altra persona. Fissare l’Habergeiß provoca sfortuna: il mais si rovinerà, le mucche perderanno peso, non daranno latte e feltro. E quando in autunno si sente il grido dell’Habergeiß, significa un lungo inverno e mancanza di fieno.
Ø Getreidehahn (Gallo del grano): è un demone del grano a forma di gallo, che siede in un campo di grano ed aspetta che i bambini si becchino gli occhi. Il suo equivalente femminile è Erntehenne o Aarhenne (entrambi Gallina del raccolto).
Ø Bilsenschnitter o Bilwisse (Gallina mietitrice): può essere trasformato in essere umano o originarsi come Bilwisse. Questo spirito può causare malattie alle vittime umane, lanciando frecce invisibili incantate. In forma umanoide, un Bilwisse è sempre scalzo, ma con una falce legata all’alluce destro. In questo modo, mentre cammina, taglia una linea attraverso il grano. Ma se qualcuno vede la creatura, mentre sta facendo questo e lo chiama, allora il Bilwisse è maledetto, e morirà nello stesso anno. Se, tuttavia, il Bilwisse vede qualcun altro e lo chiama prima di essere chiamato a sua volta, quella persona sarà invece maledetta e morirà entro l’anno. Ancora oggi, è credenza popolare che i Bilsenschnitter in forma umanoide escano nei campi molto presto, nei giorni di Himmelfahrt (Ascensione di Gesù o Maria ), la vigilia di San Giovanni o la domenica della Trinità , a piedi nudi e con un coltellino a forma di falce, che si legano all’alluce del piede destro. Passano attraverso i campi seminati e tagliano una linea con il coltello attraverso di esso. Al momento della raccolta e della trebbiatura, la decima parte del frutto di tale campo deve essere concesso al Bilsenschnitter. Ma, come dicevo prima, questa cosa è associata a un grande pericolo in quanto, il Bilsenschnitter sarà chiamato da qualcuno, o gli verrà sparato addosso con un fucile da caccia, quindi dovrà morire nello stesso anno. Quindi lo spirito, arrivando, cercherà di rivolgersi per primo verso qualcuno, per deviare il cattivo destino sull’altro. Pertanto, la maggior parte dei contadini cerca di salvarsi dai danni che minacciano i loro campi, arando e seminando il campo prima all’esterno, perché nel grano coltivato, in questo modo, nessun Bilsenschnitter potrà nascondersi.
Ø Windsbraut (Sposa del vento): è il nome delle trombe d’aria femminili, che volano con la polvere del turbine. Il mito si rifà ad Holda o Diana, che si dedicava alla caccia con passione. Poiché non prestò attenzione ai campi coltivati, fu maledetta a ruggire come un turbine per l’eternità.
In realtà questi Spiriti dei campi sono tantissimi, tutti interessanti, e tutti pericolosi.
Sembra che le storie su di loro venivano raccontate ai bambini, per dissuaderli dal giocare nei campi agricoli poichè, giocando, spesso calpestavano i raccolti, il che era dannoso per i contadini.
Comunque…fate attenzione…
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