SCILLA E CARIDDI, LA LEGGENDA DELLO STRETTO DI MESSINA
La piccola città costiera di Scilla, U Scigghiju, appena a nord di Reggio Calabria, sulla Costa Viola, oggi è una rinomata località turistica situata su un promontorio all’ingresso settentrionale dello Stretto di Messina.
Nel XIV libro delle ‘Metamorfosi di Ovidio’, Scilla era una ninfa di incredibile bellezza dai lunghi capelli corvini e gli occhi luminosi come stelle, la cui storia si intrecciò a quella di Glauco, un bellissimo pescatore della città di Antedone, in Beozia, dai lunghi capelli rossi, figlio di Poseidone.
Glauco era amato e corteggiato senza successo da molte sirene, finché un giorno, mangiando un’erba argentata cresciuta nei pressi di una spiaggia, il giovane si tramutò in un Tritone, diventando un semidio immortale del mare.
Continuando ad essere respinto, Glauco chiese aiuto alla maga Circe, dicendole di preparare una pozione magica che potesse fare bruciare Scilla d’amore verso di lui.
“meglio sarebbe che tu vagheggiassi chi ti vuole,
La maga, quindi, si offrì a Glauco, il quale la rifiutò provocando la sua ira e il suo desiderio di vendetta.
Così Scilla venne trasformata in un mostro con dodici zampe e sei teste che spuntavano da varie parti del corpo, ciascuna con tre feroci file di denti, così che il suo morso fosse decisamente peggiore della sua corazza.
“Nessuno poteva guardarla con gioia, nemmeno un dio se passava di lì. Ha dodici piedi, tutti penzolanti nell’aria, e sei lunghi colli magri, ognuno dei quali termina in una testa macabra con tripla fila di zanne, fitte e fitte, e cupamente minacciose di morte. Fino alla cintola è sprofondata nel fondo della caverna, ma le sue teste sporgono dal pauroso abisso, e così pesca dalla propria dimora, brancolando avidamente intorno alla roccia”.
“La sua cima affilata… è ricoperta da nuvole nere che non scorrono mai via né lasciano il tempo sereno intorno alla cima, anche in estate o al tempo del raccolto. Nessun uomo sulla terra potrebbe salire in cima o anche solo mettervi piede, nemmeno se avesse venti mani e piedi per aiutarlo, perché la roccia è liscia come se fosse stata levigata. Ma a metà della rupe c’è una caverna oscura, rivolta a ovest e che scende verso Erebus… Neppure un forte giovane arciere potrebbe raggiungere l’imboccatura spalancata della caverna con una freccia scagliata da una nave sottostante… Nessun equipaggio può vantarsi di aver mai navigato la loro nave oltre Scilla indenne … Scilla non è nata per la morte: è una cosa del terrore, intrattabile, feroce e impossibile da combattere”.
Nel V secolo a.C.,Scilla apparve sulle monete di Cuma e di Acragas (l’odierna Agrigento) e su numerosi vasi di ceramica a figure rosse del V e IV secolo a.C.,soprattutto in quelli della ceramica attica e dell’Italia meridionale a figure rosse, ritratta come una specie di sirena con teste di cane che escono dalla sua vita.
Cariddi prese come residenza una grotta, di fronte a quella di Scilla, compagna delle sue continue stragi di marinai e, mentre quest’ultima schiacciava nelle sue fauci gli incauti uomini, Cariddi li ingoiava e li respingeva con un possente ruggito.
E così, quando Poseidone entrò in guerra con il grande Dio Zeus e scatenò grandi tempeste, Cariddi cavalcò le maree, portando l’acqua sulle spiagge.
La nave oltrepassò le vittime ancora urlanti e riuscì a superare il passaggio, ma la fuga fu solo temporanea.
Questo mito è sicuramente l’interpretazione antropomorfica delle due correnti che si incontrano nello Stretto di Messina, prodotte dal Mar Ionio e dal Mar Tirreno, rispettivamente una più calda e l’altra più fredda.
Questa è una meravigliosa leggenda su un vero e proprio pericolo, che ci hanno tramandato navigatori e marinai un tempo terrorizzati…
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