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VEGVISIR, SEGUI LA VIA…

Scritto da MadameBlatt

“Se qualcuno porta con sé questo simbolo,

non perderà mai la propria strada nella tempesta o nel cattivo tempo,

anche se percorre una strada a lui sconosciuta”

-Manoscritto di Huld-

Il Vegvísir, che in islandese significa “cartello”, è un simbolo magico, con lo scopo di aiutare il portatore a trovare la giusta strada lungo il percorso della vita fisica e di quella metafisica.
La parola deriva da due termini islandesi: Veg (strada) e Vísir (guida), ovvero “guarda la via”.
Oggi, è considerato un simbolo di distinzione e patriottismo degli Islandesi, perché è uno dei pochi simboli “magici”, che sono stati trovati solamente in Islanda, al contrario di altri, che sono presenti anche in ulteriori territori che furono soggetti alla dominazione vichinga.
Infatti, alcune leggende narrano che i Vichinghi islandesi, intorno alla fine del IX sec., lo tracciavano abitualmente sulle navi, per non perdere la rotta e sapersi orientare, anche nelle peggiori condizioni meteorologiche.


Oppure, veniva tracciato con la saliva, con un carboncino o con il sangue anche sulla fronte o nella parte interna dell’elmo.
Come molti dei simboli magici il Vegvísir, per essere efficace, necessita del cosiddetto “testimone”, ossia una componente biologica del portatore: sangue, saliva o fluidi corporei, tessuti ecc., che devono essere parte integrante del supporto su cui il simbolo è disegnato, o essere il portatore stesso tale “supporto”.
Il Vegvísir è attestato nel manoscritto di Huld, redatto da Geird Vigfusson nel 1880, ma si pensa che abbia origini più antiche.
Convenzionalmente, rientra nella famiglia dei simboli islandesi, chiamata Staves, Doghe o Pentagrammi.
In questi simboli si ritrovano elementi grafici, richiamanti le Rune scandinave ed anche elementi occulti e cabalistici.
Questi erano utilizzati per aiutare a risolvere i problemi più semplici della vita quotidiana, come sconfiggere un nemico, catturare un ladro, guarire il bestiame, preservare il cibo ed il raccolto, favorire la pesca o prevenire la morte per annegamento.
Il Vegvísir incorpora 8 differenti glifi (incisioni, segni, caratteri), per difendere contro molti tipi di ostacoli, che potrebbero causare lo smarrimento della giusta strada, ma la scarsità di informazioni certe sulla loro interpretazione, non consente di stabilire se sia esistito un modello o una matrice arcaica del Vegvísir e, di conseguenza, quali eventuali elaborazioni siano state operate fino al modello ottocentesco, che si conosce e che si cerca di decifrare.

by ulfenborg on Pixabay

Per quanto concerne la somiglianze dei glifi con gli alfabeti runici, c’è da tener presente che, fino al XIII sec., Vichinghi ed Islandesi avevano un linguaggio scritto che, tuttavia, raramente veniva utilizzato, per redigere documenti che non fossero registri di proprietà di oggetti, terreni o tombe.
Per tutto il resto ci si affidava alla trasmissione orale.
Dei pochissimi testi scritti esistiti è rimasto poco o nulla: si sa che siano esistiti, solo perché sono citati in testi successivi.
Sembra certo, che lo scopo del Vegvísir fosse quello di guidare il portatore, di fargli trovare la via e difenderlo dagli ostacoli, che avrebbe potuto incontrare sul cammino.
Per fare tutto ciò, bisognava che esso fosse estremamente attivo, che interagisse come una specie di radar, emettendo e riassorbendo energie, che codificassero e consigliassero le scelte del portatore.
Proprio per questo motivo, la forma richiama quello di una bussola, dove ogni direzione è possibile e tutte vanno esplorate.
La “forcella” dalla quale partono i glifi, in realtà è una Runa, l’ALGIZ e reca con sé anche il significato tradizionale di protezione.
Su tale struttura sono state aggiunte delle variazioni, sono presenti accenni runici, decorazioni geometriche e frammenti, che richiamano il linguaggio archetipale.

Nel glifo Nord 1, le tre barre orizzontali sull’asse verticale inferiore funzionano come modificatore della Algiz e simboleggiano un’amplificazione della funzione di protezione.

 

Il glifo Nord Est 2 ha, sull’asse verticale inferiore, un semicerchio aperto verso l’esterno ed un secondo semicerchio più grande rivolto all’interno, che racchiude due punti separati da una barra trasversale all’asse. La parentesi piccola e la barra sono il primo elemento e rappresentano il portatore del Vegvisir, mentre l’altro glifo, che non è una runa, reca con se i richiami caratteristici di yin e di yang.

 

Il glifo Est 3 riporta due parentesi opposte separate da una “linea di forza”. E’ una runa abbastanza comune e simboleggia le “persone” ed il loro relazionarsi al portatore o, più esattamente, le “funzioni di relazione” tra il portatore e gli altri.

 

Il glifo Sud Est 4 è simile al Nord 1, ma il linguaggio è modificato da un accento circonflesso sull’asse superiore centrale, che indica forza nella trasmissione o emanazione, ma impenetrabilità alla ricezione: una trasmissione a senso unico verso l’esterno. Si riferisce alla runa Teiwaz, che rappresenta la guida, ma anche la forza ed il coraggio.

 

Il glifo Sud 5 è complesso ed originale. Il significato è solo intuibile e sembra sottintendere un’amplificazione della funzione trasmissione-ricezione, non dal punto di vista della “forza” quanto della “frequenza”, mediante l’utilizzo di maggiori strutture.

 

Il glifo Sud Ovest 6 sembra un tridente. Si tratta forse di una rielaborazione sincretica, operata in periodo rinascimentale, aggiungendo parti di elementi archetipici.

 

Il glifo Ovest 7 non è ben interpretabile.

 

 

Il glifo Nord Ovest 8 ha il cerchio che potrebbe essere un elemento scomparso per secoli dai vari alfabeti, per poi ricomparire con una pluralità di significati, in cui l’uomo è in relazione alla competizione o gara, alla famiglia, al grande artiglio del falco ed alla Madre terra.

 

by KELLEPICS on Pixabay

Il Vegvísir, proprio perché per attivarsi ha bisogno di un “testimone”, di una componente biologica del portatore, è molto utilizzato nei tatuaggi come “incantesimo di visione”.

Ne ho uno anche io.

“Non so bene dove andrò, sarà difficile ma,

sicuramente, non perderò me stessa…”

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