“La vita è un sogno da cui ci sveglia la morte”
(Hodjviri)
Il Giorno dei Morti è la festività che la Chiesa cattolica dedica alla commemorazione dei defunti.
La festa ha origini antiche, che uniscono Paesi lontani per epoche e distanze.
Il rito della commemorazione dei defunti sopravvive alle epoche ed ai culti: dall’antica Roma, alle civiltà celtiche, fino al Messico e alla Cina, è un proliferare di riti, in cui il comune denominatore è consolare le anime dei defunti, perché siano propizie per i vivi.
La data del festeggiamento è il 2 novembre, perché civiltà antichissime già celebravano la festa degli antenati o dei defunti, in un periodo che cadeva proprio tra la fine di ottobre e i primi giorni di novembre.
Per la tradizione celtica, la festività più conosciuta era quella della notte di Samhain, tra il 31 ottobre e 1 novembre, in cui si festeggiavano tutti i morti e tutte le anime.
Con l’affermarsi del Cristianesimo molti culti definiti pagani furono ostacolati e, nel 835, Papa Gregorio II spostò la festa di “Tutti i Santi” dal 13 maggio al 1° novembre.
In seguito nel 998, Odilo, abate di Cluny, inserì nel calendario cristiano il 2 novembre, come data per commemorare i defunti.
Durante questa festività le persone ricordavano i propri scomparsi travestendosi da santi o diavoli e accendendo grandi falò.
Per fare ciò, si utilizzava una sorta di galateo: si lasciava loro del cibo, gli si puliva le tombe, si rifacevano i letti affinché il morto che ritornava potesse riposare, si lasciava un lume acceso affinché nessuno perdesse la via e, così come veniva, sapesse anche andarsene.
In cambio si chiedeva ai defunti di vigilare, nel regno che compete, sulla prosperità della comunità, sulla fertilità del clan.
In alcune zone della Lombardia, la notte tra l’1 e il 2 novembre si mette in cucina un vaso di acqua fresca, affinché i morti possano dissetarsi.
In Friuli, si lascia un lume acceso, un secchio d’acqua e un po’ di pane.
Nel Veneto, per scongiurare la tristezza, nel giorno dei morti gli amanti offrono alle promesse spose un sacchetto, con dentro fave in pasta frolla colorata, i cosiddetti “Ossi dei Morti”.
A Treviso si mangiano per la ricorrenza focacce particolari chiamate “i morti vivi”.
In Trentino, le campane suonano per molte ore, per chiamare le anime, che si dice si radunino intorno alle case per spiare alle finestre. Per questo, la tavola si lascia imbandita ed il focolare resta acceso durante la notte.
Anche in Piemonte e in Val d’Aosta, le famiglie lasciano la tavola imbandita e si recano a far visita al cimitero. I Valdostani credono, che dimenticare questa abitudine significhi provocare tra le anime un fragoroso “tzarivàri” (baccano).
Nelle zone cremonesi, ci si alza presto la mattina e si rassettano subito i letti, affinché le anime dei cari possano trovarvi riposo. Si va poi per le case a raccogliere pane e farina, con cui si confezionano i tipici dolci detti “ossi dei morti”.
In Liguria, il giorno dei morti si preparano i “bacilli” (fave secche) ed i “balletti” (castagne bollite).
Tanti anni fa, alla vigilia del giorno dedicato ai morti, i bambini si recavano di casa in casa per ricevere il “ben dei morti” (fave, castagne e fichi secchi), poi dicevano le preghiere ed i nonni raccontavano storie e leggende paurose.
In Umbria si producono tipici dolcetti devozionali a forma di fave, detti “Stinchetti dei Morti”, che si consumano da antichissimo tempo nella ricorrenza dei defunti, volendo mitigare il sentimento di tristezza e sostituire le carezze dei cari che non ci sono più.
Sempre in Umbria, si svolge ancora oggi la Fiera dei Morti, una sorta di rituale che simboleggia i cicli della vita.
In Abruzzo, oltre all’usanza di lasciare il tavolo da pranzo apparecchiato, si lasciano dei lumini accesi alla finestra, tanti quante sono le anime care, ed i bimbi vanno a dormire con un cartoccio di fave dolci e confetti, come simbolo di legame tra le generazioni passate e quelle presenti.
Nel Lazio, la tradizione voleva che, il giorno dei morti, si consumasse il pasto accanto alla tomba di un parente, per tenergli compagnia.
Altra tradizione romana era una suggestiva cerimonia di suffragio, per le anime che avevano trovato la morte nel Tevere.
Al calar della sera, si andava sulle sponde del fiume al lume delle torce e si celebrava il rito.
In Sicilia, il 2 novembre è una festa particolarmente gioiosa per i bambini.
Infatti vien fatto loro credere che, se sono stati buoni ed hanno pregato per le anime care, i morti torneranno a portar loro dei doni.
Quando i piccoli dormono, i genitori preparano i tradizionali “pupi di zuccaro” (bambole di zucchero), con castagne, cioccolatini e monetine e li nascondono.
Al mattino, i bimbi iniziano la ricerca, convinti che durante la notte i morti siano usciti dalle tombe per portare i regali.
In Sardegna, la mattina del 2 novembre, i ragazzi si recano per le piazze e vanno di porta in porta, chiedendo delle offerte e ricevendo in dono pane fatto in casa, fichi secchi, fave, melagrane, mandorle, uva passa e dolci.
La sera della vigilia si accendono i lumini e si lasciano la tavola apparecchiata e le credenze aperte.
In Calabria invece, era consuetudine recarsi nei cimiteri in corteo.
Giunti in prossimità delle tombe, si recitavano benedizioni e preghiere per entrare in contatto con i defunti.
Dopo il rito, era consuetudine banchettare direttamente sulle tombe dei propri congiunti, invitando a mangiare chiunque fosse nei paraggi.
In generale, in tutta la Puglia la vigilia del giorno dei morti, esiste tutt’oggi l’usanza di imbandire la tavola per cena, completa di pane acqua e vino, per permettere ai morti che faranno visita alla casa di rifocillarsi.
Più grande ed invitante sarà il banchetto, maggiore sarà la possibilità che i defunti restino in casa fino a Natale ed in alcuni casi fino al giorno dell’Epifania.
Nel nord della Puglia, c’è la tradizione di preparare “il Grano dei Morti”, o Colva, biscotti a base di grano cotto, melagrana, uva, cioccolato e frutta secca, ma anche vincotto (mosto fresco a base di uva ma, per gli intenditori, il “vero vincotto” è a base di fichi).
Si tratta di una ricetta antica, che affonda le proprie radici in epoca romana, quando si usava consumare grano bollito benedetto durante la funzione religiosa.
Nella ricetta non mancano, comunque, i riferimenti alla mitologia greca ed in particolare al mito di Kore o Persefone (per i latini Proserpina), figlia di Zeus e della dea delle messi Demetra (Cerere nella mitologia latina), che venne rapita da Ade e trattenuta nel regno dell’oltretomba, dal quale non poteva tornare, per aver mangiato dei chicchi di melograna.
Demetra, che donava copiosi raccolti, disperata per aver perso sua figlia, smise di far crescere le messi, costringendo la terra ad un lungo inverno improduttivo. Solo un compromesso tra Zeus ed Ade consentì a Persefone di poter fare ritorno tra i vivi soltanto per alcuni mesi dell’anno, durante i quali, con la madre felice di avere la figlia accanto, faceva rifiorire la natura e germogliare la terra.
Nel Subappennino dauno, c’era l’usanza di svuotare le zucche e scolpirle con le fattezze di un teschio.
All’interno si ponevano delle candele, che ne illuminavano il mostruoso volto. Venivano chiamate “cocce priatorje” e con loro si decoravano le vie del paese, accendendo anche falò di rami di ginestre ad ogni crocevia.
Anticamente, questa festa era chiamata “Fuuc acost”.
Ed ora diamo uno sguardo al Mondo…
In India, la festa dei morti si chiama “Diwali” (Festa delle luci).
Per l’occasione, infatti, vengono accese delle lampade che, secondo le tradizioni, dovrebbero riportare in vita il sole morente.
La ricorrenza cade tra ottobre e novembre.
In concomitanza al quinto giorno di festeggiamenti, le sorelle preparano per i fratelli un buon bagno ed un ottimo pranzo.
Un modo per ricordare la nascita dell’umanità procreata dal Dio della morte Yama, unitosi alla sorella Yami.
Si crede, infatti che, per l’occasione, gli spiriti ritornino sulla Terra, invocati dalle preghiere.
In Giappone, i morti vengono festeggiati in luglio.
Il periodo è quello di “OBon”, che si apre con il “kama buta tsuitachi” (il primo coperchio della marmitta).
Infatti, il mondo degli Inferi è paragonato ad un enorme calderone che, in quei giorni, viene scoperchiato per permettere alle anime di risalire nel mondo dei vivi.
Si racconta che, appoggiando l’orecchio al terreno, non sia difficile sentirne le voci.
In segno di benvenuto, lungo la via del cimitero vengono accesi dei fuochi e le tombe sono ripulite.
Le anime degli antenati sono “buone” e portano prosperità, mentre quelle appartenenti a persone senza famiglia o morte violentemente sono pericolose.
Per le strade ci sono tavoli con dolcetti che solo i bambini possono assaggiare.
Al terzo e ultimo giorno, il cibo avanzato viene deposto fuori dai villaggi ed i fiumi si illuminano delle lampade votive accese sulle barchette di paglia abbandonate alla corrente.
In Messico, dove si celebra il “Día de los Muertos”, la festa è legata ad una tradizione ancestrale, secondo cui i morti tornerebbero in vita in alcuni giorni dell’anno, dura dal 30 ottobre al 2 novembre.
La commemorazione è un rito allegro e ironico: il simbolo della festa, le “calaveras”, sono infatti teschi e scheletri sorridenti di cartapesta sotto forma di pupazzi, o dolciumi.
Vengono offerti fiori bianchi e ceri, per i bambini morti prima di essere battezzati.
ll primo novembre, tra i rintocchi delle campane, arrivano i defunti adulti.
In questi giorni viene preparato il cosiddetto “pane dei morti” e composizioni di ghirlande di legno con foglie di palma.
I fidanzati si giurano amore eterno su delle piccole bare di zucchero, che si aprono facendo far capolino un simpatico piccolo scheletro.
In Cina, i morti sono festeggiati ai primi di aprile, nella festa di “Qingming” (Festa della Luminosità Pura).
L’osservanza di questa festività è stata reinserita come festività nazionale pubblica nella Repubblica Popolare Cinese nel 2008.
Tradizionalmente, prima dell’epoca moderna, la gente portava con sé alle tombe un gallo vivo.
Oggi, i cinesi ripuliscono dalle erbacce le tombe degli antenati, celebrano i morti e, visto il periodo, anche l’arrivo della primavera, con grandi picnic e gare d’aquiloni.
I contadini delle zone rurali portano dei rami di salice, o li appendono fuori ai cancelli ed alle porte delle proprie case, perché scacciano gli spiriti maligni che si aggirano durante il giorno dei morti.
In Cambogia, la festa dei morti si chiama “Pchum Ben” e si svolge di solito in 15 giorni di Settembre (oppure Ottobre a secondo del calendario di Khmer). “Pchum” significa un “incontro”, mentre “Ben” significa “una sfera di riso o carne”.
La festa nasce nell’eta’ di Angkor e vuole esprimere il rispetto e la mancanza della gente ai suoi antenati.
I primi 14 giorni si chiamano “Kan Ben”, durante i quali si portano le offerte: cibi e candele ai monaci ed in serata si ballano le danze tradizionali cambogiane: Vike e Lakhon basac.
L’ultima giornata è sempre considerata la più importante:
in quei giorni, si crede che si “aprano le porte dell’inferno”.
I monaci pregano a turno tutta la giornata, per salvare i poveri spiriti, aiutare gli antenati a ritornare a casa per visitare i loro parenti.
Allo stesso tempo, i Cambogiani preparano i pasti dedicati agli antenati defunti.
Inoltre, la notte prima della festa, i locali vanno alla Pagoda per preparare le offerte ai monaci per la cerimonia.
Questa dimostra il rispetto verso i monaci, lo spirito dei buddisti ed e’ anche un modo per pregare per gli antenati e chiedere la fortuna per i parenti.
In Slovacchia, si posizionano le sedie davanti al caminetto.
C’è una sedia per ogni parente vivente e per ogni parente defunto.
In Germania, si nascondono i coltelli, affinché le anime dei defunti, che sicuramente verranno, non si feriscano.
In Inghilterra, anticamente i bambini preparavano dei pupazzetti, i “Punkies”, intagliando le barbabietole (rape), perché la tradizione vuole che le lanterne si costruissero con esse.
Un’altra tradizione racconta che si lanciavano nel caminetto pietre, verdure e noci, per spaventare gli spiriti maligni.
Inoltre, si pensava che se un sasso, lanciato nelle fiamme durante la notte, la mattina non fosse più visibile, la persona che l’aveva scagliato non sarebbe sopravvissuta un altro anno.
In Irlanda, oltre ai falò accesi ed ai bambini che girano per le case al grido “trick –or-treat”, si consuma una torta tradizionale alla frutta, chiamata “barnbrack”.
Ricapitolando, il Giorno dei Morti è celebrato un po’ ovunque, in alcuni luoghi con tonalità macabre di un giorno che scaccia via i morti tramite travestimenti paurosi, in altri con atmosfere più cupe ed intimistiche della commemorazione.
In altri ancora, in toni vivaci e variopinti, perché la morte viene vissuta come qualcosa di inevitabile e i defunti anziché far paura, mettono allegria.
Comunque sia, ciò che deve trionfare sempre è il rispetto e l’amore per i defunti, soprattutto per coloro che, purtroppo in questo immondo periodo storico, muoiono senza l’affetto ed il cordoglio della loro famiglia, senza un funerale, senza saperlo.
In realtà, non occorre essere presenti, per manifestare il nostro amore verso coloro che non ci sono più.
A loro basta sapere che sono nelle nostre menti e nei nostri cuori, ogni momento della nostra vita.
Che andiamo avanti cercando di non demordere, di avere coraggio e di essere meritevoli e degni dell’opportunità di vita che abbiamo.
E ricordiamo, che non serve pensare ai nostri cari soltanto il 2 novembre, ma SEMPRE, perché loro non hanno bisogno di spettacolo e, soprattutto, rammentiamo che non serve far rivivere i defunti per un paio di giorni all’anno, per poi farli morire una seconda volta, dimenticandocene per tanto tempo.