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PROMETEO

Scritto da MadameBlatt

LA LEGGENDA DI PROMETEO

Quando Zeus scalzò il feroce Saturno dalla potestà dell’Universo, i Titani si ribellarono al potere del nuovo re.
Solo Prometeo, uno di essi, non partecipò alla sommossa, perché poteva vedere le cose future e le cose presenti e sapeva che era inutile opporsi alle decisioni ineluttabili del destino.
Prometeo era saggio, aveva gli occhi scuri, scintillanti, che rivelavano il suo potere divinatorio e il corpo immane, che gli dava l’aspetto di un generoso gigante, abituato a dominare gli elementi.
Egli voleva bene agli uomini.
A quel tempo, gli uomini erano poveri, non avevano armi né vestiti, vivevano selvatici nella boscaglia, cibandosi di cruda selvaggina e di frutta.
Si coprivano con le foglie e, per difendersi dalle belve feroci, usavano sassi e rami nodosi.

Dormivano nelle caverne e, di notte, sembravano miseri ciechi, paurosi di ogni rumore o della luce degli occhi delle fiere.
Prometeo non poteva sopportare quello spettacolo di miseria umana e decise di aiutare gli uomini.
Voleva che imparassero a difendersi dalle belve, a coltivare la terra, a lavorare i metalli, che si nutrissero con carne cotta e vestirsi con le pelli di animali.

Decise di donare loro il fuoco.

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Sapeva, però, che questo era contrario al volere di Zeus, che se avesse messo in pratica ciò che desiderava, sarebbe stata la sua rovina.
Una sera, egli salì sull’Olimpo, dove gli dei stavano banchettando.
Entrò nelle fucine di Vulcano che forgiava instancabilmente armi per gli eroi e monili per le belle dee dell’Olimpo.

Gli regalò un’ anfora di vino etneo e Vulcano lo accettò.
Dopo poco, reclinò il capo, addormentato, visto che il vino conteneva il succo dei rossi papaveri.

Quindi Prometeo rubò un po’ di fuoco, ora incustodito, e scese sulla Terra.
Intanto era scesa la notte, che impauriva i cuori degli uomini, e Prometeo andò da loro, donandogli il fuoco.
Furono accatastate fascine secche e gettati sopra i scintillanti tizzoni di Vulcano.
Prometeo accese un enorme rogo, che giunse fino al Cielo e fino all’Olimpo, insieme con le urla di gioia degli uomini.

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Zeus, irritato, capì ciò che era successo ed ordinò a Vulcano di forgiare delle catene enormi, per incatenare Prometeo ad una roccia.
Intanto, gli uomini, grazie al Titano, imparavano a cuocere, scaldarsi, forgiare, costruire case, ecc.
Ed erano così contenti, che cedettero di potersi paragonare agli dei.
Questa presunzione aumentò l’ira di Zeus e Vulcano, anche se voleva bene a Prometeo, dovette incatenarlo alle rupi inaccessibili del monte Caucaso.
I Ciclopi chiusero gli anelli intorno agli arti di Prometeo e lo issarono alto sul baratro, fra il cielo ed il mare.
Ogni mattina, un’aquila gigantesca si accostava al corpo di Prometeo e gli squarciava con un colpo di becco, il torace e si cibava del suo fegato sanguinante.
Di notte, il fegato miracolosamente ricresceva e, al sorgere del sole, tornava l’aquila affamata.
Ma, anche se dalle sue labbra sfuggivano tremendi lamenti, egli era contento del supplizio.
La sua sofferenza aveva dato felicità agli uomini.


Passarono così trent’anni, finché Zeus ebbe pietà di quel corpo roso dalle intemperie, degli occhi abbacinati dalle nevi, del petto squarciato, il cui sangue rigava in eterno la roccia.
Quindi liberò il gigante, accogliendolo immortale nelle felici praterie dei Campi Elisi.
Prometeo vive ancora.
E ogni volta che si compie tra gli uomini un’impresa ardita, ogni volta che un martire cade per la fede e per la gloria, lo spirito immortale di Prometeo alita intorno agli eroi.

Prometeo ha insegnato agli uomini, oltre alla civiltà, anche ad essere degni della propria origine divina e fieri dell’anima immortale.

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